Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 9 luglio – 19 ottobre 2020, n. 28886
Presidente Cervadoro – Relatore Di Pisa
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza in data 13/09/2019, la Corte d’appello di Torino confermava la sentenza del Tribunale di Torino pronunciata il 27/10/2016 in forza della quale FR. Gi. era stato condannato alla pena di giustizia per il reato di circonvenzione di incapace in danno di Bi. An. Gi..
2. Avverso la sentenza di appello, nell’interesse di FR. Gi., viene proposto ricorso per cassazione con il quale viene dedotta violazione dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen., per mancanza, contraddittorietà ed illogicità della motivazione quanto all’ affermazione della penale responsabilità dell’ imputato.
La difesa assume che i giudici di merito avevano ritenuto configurabile il reato di circonvenzione di incapace in danno di Bi. An. Gi. sebbene agli atti non vi fosse alcuna emergenza istruttoria idonea a comprovare sia la circonvenibilità della persona offesa che relativamente alla consapevolezza in capo all’ imputato della condizione in cui versava la vittima.
Deduce che, erroneamente, i giudici di merito, senza valutare i motivi di appello ed omettendo di considerare una serie di elementi emersi nel corso del processo, avevano ritenuto che la predetta vittima fosse soggetto circonvenibile e che tale condizione fosse percepibile, solamente sulla base della relazione del consulente Prof. Fr. e non considerando che la sindrome di Crouzon, da cui era affetta la persona offesa, sebbene lo rendeva parzialmente incapace non per questo gli precludeva di avere una vita normale, inserita appieno in un contesto sociale.
Rileva, in particolare, che la corte di appello aveva omesso di valutare due dati significativi che andavano in una direzione completamente opposta rispetto al ragionamento accusatorio circa la riconoscibilità della condizione della vittima: in primo luogo il fatto che il Gruppo di supporto al Comitato Tecnico per l’ impiego di Rivoli, che aveva esaminato il sig. Bi. nel 2012, aveva riferito di un soggetto curato nell’ aspetto e nella persona, adeguata alle richieste ed in grado di accedere autonomamente al posto di lavoro con mezzi propri o pubblici nonché di svolgere il proprio lavoro autonomamente ed, altresì, il fatto che la famiglia, a causa dei suoi comportamenti illeciti, aveva allontanato il Bi. dall’ abitazione privandolo di ogni sostegno, dato quest’ ultimo che dimostrava da un lato che l’ incapacità da cui era affetto il predetto non costituiva la causa immediata e diretta dei suoi comportamenti illegali e dall’ altro che questi era in grado di badare a sé stesso in autonomia, altrimenti i suoi familiari non l’ avrebbero abbandonato.
3. Il Sostituto Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, in persona del Dott. Do. A.R. Seccia, ha inviato alla cancelleria a mezzo P.E.C, in data 24 Giugno 2020 conclusioni scritte ex art. 83, comma 12 ter, decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, chiedendo dichiararsi l’ inammissibilità del ricorso.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è inammissibile in ragione della manifesta infondatezza di tutte le censure proposte.
2. Occorre premettere che il sindacato di legittimità non ha per oggetto la revisione del giudizio di merito, bensì la verifica della struttura logica del provvedimento e non può quindi estendersi all’esame ed alla valutazione degli elementi di fatto acquisiti al processo, riservati alla competenza del giudice di merito, rispetto alla quale la Suprema Corte non ha alcun potere di sostituzione al fine della ricerca di una diversa ricostruzione dei fatti in vista di una decisione alternativa.
Né, la Suprema Corte può trarre valutazioni autonome dalle prove o dalle fonti di prova, neppure se riprodotte nel provvedimento impugnato. Invero, solo l’argomentazione critica che si fonda sugli elementi di prova e sulle fonti indiziarie contenuta nel provvedimento impugnato può essere sottoposto al controllo del giudice di legittimità, al quale spetta di verificarne la rispondenza alle regole della logica, oltre che del diritto, e all’esigenza della completezza espositiva (Sez. 6, n. 40609 del 01/10/2008, Ciavarella, Rv. 241214).
In tema di sindacato del vizio di motivazione non è certo compito del giudice di legittimità quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito ne’ quello di “rileggere” gli elementi di fatto posti a fondamento della decisione la cui valutazione è compito esclusivo del giudice di merito: quando, come nella specie, l’obbligo di motivazione è stato esaustivamente soddisfatto dal giudice di merito, con valutazione critica di tutti gli elementi offerti dall’istruttoria dibattimentale e con indicazione, pienamente coerente sotto il profilo logico- giuridico, degli argomenti dai quali è stato tratto il proprio convincimento, la decisione non è censurabile in sede di legittimità.
3. Muovendo da tali premesse le censure in questione si appalesano prive di pregio alcuno.
Osserva il collegio che la corte territoriale, nel confermare la ricostruzione operata dal primo giudice, con motivazione che non appare né carente né illogica né contraddittorie ha ritenuto l’ imputato responsabile del reato di circonvenzione di incapace in danno di Bi. An. Gi. ritenendo comprovato che la persona offesa era soggetto affetto da “una condizione di deficienza psichica e suggestionabilità particolare” e che si trovava in una “situazione pervasiva e duratura caratterizzata da una significativa difficoltà di giudizio sociale” e, quindi, certamente circonvenibile.
La sentenza appare, invero, conforme alla giurisprudenza di legittimità in forza della quale è stato affermato che «il delitto di circonvenzione di incapace non esige che il soggetto passivo versi in stato di incapacità di intendere e di volere, essendo sufficiente anche una minorata capacità psichica, con compromissione del potere di critica ed indebolimento di quello volitivo, tale da rendere possibile l’altrui opera di suggestione e pressione» (Sez. 2, n. 3209 del 20/12/2013 – dep. 23/01/2014, P.O. in proc. De Mauro Luigi e altro, Rv. 25853701); rientra, pertanto, nella nozione di “deficienza psichica” ex art. 643 cod. pen. la minorata capacità psichica, con compromissione del potere di critica ed indebolimento di quello volitivo, tale da rendere possibile l’altrui opera di suggestione, perché è “deficienza psichica” qualsiasi minorazione della sfera volitiva ed intellettiva che agevoli la suggestionabilità della vittima e ne riduca i poteri di difesa contro le altrui insidie (Cass. Sez. 2, sent. n. 24192 del 05/03/2010, dep. 23/06/2010, Rv. 247463).
I giudici di merito, con. argomentazioni congrue e prive di aporie, hanno ritenuto che la persona offesa, affetta da ritardo mentale e disturbo della personalità NAS, si trovava in una condizione di infermità e deficienza psichica rilevante ex art. 643 cod. pen. percepibile da parte di terzi, muovendo dalla conclusioni del perito del P.M. Dott. Fr. il quale, con specifico riferimento alla profilo della percepibilità, aveva chiarito come “Gli elementi psicologici del disturbo psichico e la suggestionabilità particolare del Bi. possono essere facilmente percepibili da coloro che abbiano instaurato un rapporto non occasionale con la persona offesa anche in considerazione dell’ aspetto fisico del Bi. che… presenta alcune caratteristiche somatiche della sindrome di Crouzon nonché in forza della stranezza puerile di ragionamento che immediatamente colpisce l’ interlocutore”, ritenendo, quindi, accertata la prova della consapevolezza dell’ imputato della condizione della vittima in ragione del livello di conoscenza e di frequentazione come ricostruito in fatto.
Va, del resto, rilevato che il giudizio sulla rilevanza ed attendibilità delle fonti di prova è devoluto insindacabilmente ai giudici di merito e la scelta che essi compiono, per giungere al proprio libero convincimento, con riguardo alla prevalenza accordata a taluni elementi probatori, piuttosto che ad altri, ovvero alla fondatezza od attendibilità degli assunti difensivi, quando non sia fatta con affermazioni apodittiche o illogiche, si sottrae al controllo di legittimità della Corte Suprema. Si è in particolare osservato che non è sindacabile in sede di legittimità, salvo il controllo sulla congruità e logicità della motivazione, la valutazione del giudice di merito, cui spetta il giudizio sulla rilevanza e attendibilità delle fonti di prova, circa contrasti testimoniali o la scelta tra divergenti versioni e interpretazioni dei fatti. (Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011 – dep. 25/05/2011, Tosto, Rv. 25036201).
Pertanto non essendo evidenziabile alcuno dei vizi motivazionali deducibili in questa sede quanto alla affermazione della penale responsabilità dell’ imputato in ordine al reato di cui sopra e non essendo configurabile, quindi, la dedotta contraddittorietà della motivazione anche tenuto conto dei poteri del giudice di merito in ordine alla valutazione della prova, le censure, essendo sostanzialmente tutte incentrate sulla asserita omessa valutazione di taluni dati probatori e, quindi, su una nuova rivalutazione di elementi fattuali e, quindi, di mero merito, appaiono del tutto infondate.
5. Per le considerazioni esposte, dunque, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Alla declaratoria d’inammissibilità consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al pagamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro duemila.
5.2. In caso di diffusione del presente provvedimento vanno omesse le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 D.Lgs. 196/03 in quanto disposto d’ufficio e/o imposto dalla legge.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 D.Lgs.196/03 in quanto imposto dalla legge.