Insulti ai vicini: scatta lo sfratto


Insulti, aggressioni e minacce violano il principio sancito dal Codice civile sull’obbligo di osservare la diligenza del buon padre di famiglia.
Per una discussione animata si può essere richiamati all’ordine, ma per insulti o aggressioni ad un vicino di casa si rischia lo sfratto. Anche per un singolo episodio, se di una certa gravità. Lo ha stabilito la Cassazione con un’ordinanza appena depositata [1].
Basta, quindi, qualche parola di troppo per vedersi arrivare l’ufficiale giudiziario. Questo perché, secondo la Suprema Corte, l’inquilino deve osservare «la diligenza del buon padre di famiglia nel servirsi dell’immobile», atteggiamento che, certamente, non corrisponde a quello di chi si mette a insultare il vicino di pianerottolo. Anzi: proprio per questo motivo – sottolineano gli Ermellini – un simile comportamento costituisce un abuso del bene locato, come sancito dal Codice civile a proposito degli obblighi principali del conduttore [2].
Non sarebbe, certo, l’esempio corretto da dare con la diligenza del buon padre di famiglia, come nel caso esaminato dalla Cassazione, minacciare i vicini, appendere dei cartelli con degli insulti a loro dedicati o imbrattare la loro porta con della vernice bianca. Elementi che, oltre allo sfratto, portano anche sul terreno penale.
Il fatto diventa ancora più grave se, facendosi prendere dalla rabbia, l’inquilino viola un contratto in virtù del quale non gli è consentito «compiere atti e tenere comportamenti che possano recare molestia agli altri abitanti dello stabile».
note
[1] Cass. ordinanza n. 22860/2020.
[2] Art. 1587 cod. civ.