Covid: cos’è lo scenario 4 che porta al lockdown


Il rapporto dell’Iss: l’andamento dell’indice di contagiosità deve rientrare, altrimenti ci vorranno «misure di contenimento molto aggressive».
Per ora, come ha ammesso lo stesso premier Giuseppe Conte, l’Italia si trova nello scenario 3 dell’emergenza Covid: una situazione seria per la quale ci vogliono delle misure restrittive severe ma non estreme. Il problema è che i numeri e la sofferenza a cui è sottoposto il sistema sanitario suggeriscono in questi giorni che il Paese si sta avviando verso il cosiddetto «scenario 4», il più grave, quello che potrebbe comportare la necessità del lockdown. Lo temono sia il Governo sia il Comitato tecnico scientifico, cioè chi dovrà prendere eventualmente la decisione della chiusura totale.
Secondo l’Istituto superiore di sanità, l’allarme è alto per cinque regioni, ovvero Lombardia, Campania, Lazio, Liguria e Valle d’Aosta, oltre che per la Provincia autonoma di Bolzano. Il tempo incalza: Conte potrebbe firmare un nuovo Dpcm tra una settimana con un ulteriore giro di vite. Ma se, trascorsi altri sette giorni, non si inverte la tendenza dei contagi, si entrerà nel fatidico scenario 4 e l’ipotesi del lockdown generale sarebbe concreta. Ci troveremmo in questo modo con una chiusura totale a metà novembre, circa. Con gli acquisti di Natale alle porte.
Lo scenario 4 viene spiegato in uno studio che l’Iss ha consegnato al Governo e che si basa sull’andamento dell’indice Rt, quello che stabilisce la capacità di contagio tra i cittadini. Scrivono gli esperti: «In questo scenario si hanno valori di Rt regionali prevalentemente e significativamente maggiori di 1.5 (ovvero con stime dell’intervallo di confidenza al 95% di Rt maggiore di 1.5). Uno scenario di questo tipo – si legge ancora nel dossier – potrebbe portare rapidamente a una numerosità di casi elevata e chiari segnali di sovraccarico dei servizi assistenziali, senza la possibilità di tracciare l’origine dei nuovi casi. Questo potrebbe comportare un sovraccarico dei servizi assistenziali entro 1-1.5 mesi, a meno che l’epidemia non si diffonda prevalentemente tra i più giovani, come osservato nel luglio/agosto 2020, e si riuscisse a proteggere le categorie più fragili come gli anziani».
Il problema, secondo l’Istituto superiore di sanità, è che «appare piuttosto improbabile riuscire a proteggere le categorie più fragili in presenza di un’epidemia caratterizzata da questi valori di trasmissibilità».
In conclusione: «Se la situazione di rischio alto dovesse persistere per un periodo di più di tre settimane, si rendono molto probabilmente necessarie misure di contenimento molto aggressive». Leggasi, appunto, lockdown.