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Ambiente di lavoro nocivo: quando spetta il risarcimento?

2 Gennaio 2021 | Autore:
Ambiente di lavoro nocivo: quando spetta il risarcimento?

Se il lavoratore si ammala per cause riconducibili al luogo in cui è svolta l’attività ha diritto al risarcimento da parte dell’azienda?

Il Testo Unico in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro [1] prevede un articolato sistema finalizzato alla tutela dell’integrità psicofisica dei lavoratori durante lo svolgimento dell’attività.

Ogni datore di lavoro deve obbligatoriamente valutare i rischi presenti nel luogo di lavoro e adottare gli interventi necessari per il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori.

Inoltre, secondo il Codice civile [2], il datore di lavoro ha la responsabilità di mettere in atto tutti gli accorgimenti possibili per preservare l’incolumità del lavoratore, sia fisica che psichica: il datore è responsabile se non attua tutti gli interventi necessari alla tutela della salute e della sicurezza, anche in relazione al luogo in cui si svolge l’attività e può essere obbligato a risarcire eventuali danni.

Se, dunque, il lavoratore si ammala a causa dell’ambiente di lavoro nocivo, quando spetta il risarcimento? Bisogna innanzitutto ricordare che il lavoratore risulta comunque tutelato, sia contro il rischio di infortunio sul lavoro, che di malattia professionale, dall’assicurazione Inail.

Più precisamente, il lavoratore è tutelato contro i danni fisici ed economici derivanti da infortuni causati dall’attività lavorativa e malattie professionali, mentre il datore di lavoro è esonerato dalla responsabilità civile conseguente alla lesione subita dal dipendente. L’esonero, però, non opera se è riconosciuta la sua responsabilità nella violazione delle norme a tutela della sicurezza sul lavoro.

A questo proposito, la Cassazione, con una nuova ordinanza [3], ha chiarito in quali casi il datore possa essere considerato responsabile e sia tenuto a risarcire i danni, nel caso in cui il lavoratore si ammali a causa dell’ambiente di lavoro.

Ma procediamo con ordine ed osserviamo nel dettaglio quali sono gli obblighi del datore di lavoro, in materia di salute e sicurezza, nonché quali siano i limiti relativi alla sua responsabilità.

Obblighi del datore di lavoro in materia di salute e sicurezza

Il testo unico in materia di salute e sicurezza sul lavoro [1] prevede i seguenti obblighi per il datore di lavoro:

  • nominare il medico competente per l’effettuazione della sorveglianza sanitaria, se prevista e comunicargli nei casi di sorveglianza sanitaria, la cessazione del rapporto di lavoro;
  • nominare gli addetti alla gestione delle emergenze (antincendio, primo soccorso, etc.);
  • affidare i compiti ai lavoratori tenendo conto delle loro capacità e condizioni;
  • fornire i dispositivi di protezione individuali Dpi ai lavoratori e analizzarne l’impatto;
  • consentire l’accesso a determinate zone ed attrezzature solo ai lavoratori con istruzione e addestramento specifico;
  • inviare i lavoratori alla visita medica entro le scadenze previste dal programma di sorveglianza sanitaria;
  • adottare le misure per il controllo delle situazioni di rischio in caso di emergenza;
  • dare istruzioni affinché i lavoratori, in caso di pericolo grave, immediato ed inevitabile, abbandonino il posto di lavoro o la zona pericolosa;
  • informare il più presto possibile i lavoratori esposti al rischio di un pericolo grave e immediato;
  • astenersi dal richiedere ai lavoratori di riprendere la loro attività in una situazione di lavoro in cui persiste un pericolo grave e immediato, salvo ragioni motivate da esigenze connesse alla salute e alla sicurezza;
  • adempiere agli obblighi di informazione, formazione e addestramento;
  • consentire al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (Rls) di verificare l’applicazione delle misure di sicurezza e di protezione della salute, consultarlo nei casi previsti e comunicare il suo nominativo all’Inail;
  • consegnare copia del documento di valutazione dei rischi e del documento di valutazione dei rischi da interferenze al Rls su richiesta;
  • prendere appropriati provvedimenti per evitare che le misure tecniche adottate possano causare rischi per la salute della popolazione o deteriorare l’ambiente esterno, verificando periodicamente la perdurante assenza di rischio;
  • inviare, in caso d’infortunio sul lavoro e malattia professionale, la denuncia all’Inail;
  • nell’ambito dello svolgimento di attività in regime di appalto e di subappalto, munire i lavoratori di apposita tessera di riconoscimento, corredata di fotografia, contenente le generalità del lavoratore e l’indicazione del datore di lavoro;
  • se l’unità produttiva ha più di 15 lavoratori, convocare la riunione periodica;
  • aggiornare le misure di prevenzione in relazione ai mutamenti organizzativi e produttivi che hanno rilevanza ai fini della salute e sicurezza del lavoro, o in relazione al grado di evoluzione della tecnica, della prevenzione e della protezione;
  • vigilare affinché i lavoratori per i quali vige l’obbligo di sorveglianza sanitaria non siano adibiti alla mansione lavorativa specifica senza il prescritto giudizio di idoneità.

Tutti questi obblighi vanno integrati con le previsioni del Codice civile [2], secondo le quali il datore di lavoro è tenuto a mettere in atto tutti gli accorgimenti possibili per la tutela dell’integrità psicofisica dei lavoratori.

Malattia del lavoratore o infortunio: il datore è sempre responsabile?

Come abbiamo appena osservato, sono veramente molto numerosi gli obblighi in materia di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori che gravano sul datore di lavoro, ancora di più se consideriamo che, oltre agli obblighi specifici previsti dal Testo unico, il Codice civile dispone l’obbligo di attuare tutte le attività possibili per garantire questa tutela.

Ma l’obbligo di attuare ogni accorgimento possibile per tutelare l’integrità psicofisica del lavoratore comporta, di fatto, che il datore debba essere considerato sempre responsabile nell’ipotesi in cui si verifichi un infortunio in occasione di lavoro o una malattia professionale? L’ordinanza della Cassazione [3], inizialmente citata, risponde proprio a questa domanda.

Malattia del lavoratore e ambiente di lavoro nocivo: responsabilità del datore

Il caso affrontato dalla Suprema Corte, in particolare, chiarisce entro quali limiti il datore possa essere considerato responsabile nell’ipotesi in cui il dipendente si ammali a causa dell’ambiente di lavoro nocivo.

In primo luogo, la Cassazione spiega che il Codice civile [2] non configura un’ipotesi di responsabilità oggettiva, o extracontrattuale, a carico del datore di lavoro, cioè non considera il datore responsabile sempre e comunque, ogni qualvolta si verifichi un infortunio sul lavoro o una malattia professionale.

La responsabilità del datore di lavoro è invece di natura contrattuale e deve essere collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento.

Se il lavoratore subisce un danno nell’esecuzione dell’attività lavorativa, perché il datore sia considerato responsabile e, quindi, tenuto al risarcimento, occorre sempre che l’evento sia riferibile a sua colpa, per violazione di obblighi di comportamento, concretamente individuati:

  • imposti da norme di legge e di regolamento;
  • imposti da norme contrattuali;
  • suggeriti dalla tecnica e dall’esperienza.

Malattia del lavoratore e ambiente di lavoro nocivo: prova per il risarcimento dei danni

Considerando che il datore di lavoro non è gravato da responsabilità oggettiva, ma contrattuale, deve essere il lavoratore a provare:

  • di avere subito, a causa dell’attività lavorativa svolta, un danno alla salute;
  • che l’ambiente di lavoro è nocivo;
  • che il danno alla salute è collegato all’ambiente di lavoro nocivo.

Solo se il lavoratore fornisce queste prove sussiste per il datore di lavoro l’onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno.

In pratica, una volta che il lavoratore provi il danno alla salute, la nocività dell’ambiente di lavoro e il nesso tra malattia e ambiente lavorativo, in capo al datore sorge l’onere di provare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, cioè di aver adottato tutti gli accorgimenti necessari per tutelare l’integrità psicofisica dell’interessato.

Se non riesce a provarlo, allora scatta il risarcimento del danno a favore del lavoratore.


note

[1] D.lgs. 81/2008.

[2] Art. 2087 Cod. civ.

[3] Cass. ord. 23921/2020.


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