La crisi è una scusa per non pagare una transazione?


Cosa succede quando le difficoltà economiche sopravvenute impediscono di onorare l’accordo transattivo raggiunto?
La crisi economica non colpisce tutti allo stesso modo. È un po’ come la pioggia, dove c’è chi si ripara con l’ombrello e chi la evita rimanendo in casa. Così gli effetti non sono uniformi. Ma quando la crisi è grave, duratura e profonda, come quella provocata dalla pandemia di Covid-19, le conseguenze possono essere devastanti: i piani imprenditoriali vanno in fumo, la crisi di liquidità costringe moltissime persone a tirare la cinghia. E, talvolta, a non pagare i propri debiti; non per cattiva volontà, ma piuttosto per necessità.
Quando c’è una situazione di forte indebitamento, può essere conveniente, anche per il creditore, raggiungere una transazione con il debitore, che si impegna a pagare una somma minore del dovuto e con termini dilazionati. Dal lato del creditore, la riduzione dell’importo e le condizioni più favorevoli compensano i tempi lunghi e gli esiti incerti delle procedure giudiziarie. L’accordo è conveniente per entrambi.
In tempi di crisi, l’inadempimento è sempre dietro l’angolo, come ben sanno i locatori di immobili, abitativi o commerciali, che nei periodi di recessione, e specialmente durante l’emergenza Coronavirus, non riescono ad ottenere il pagamento dei canoni d’affitto. In tali periodi eccezionali, anche le transazioni possono rimanere inadempiute: i debitori potrebbero sostenere di non essere riusciti a pagare nei termini pattuiti proprio a causa delle insuperabili difficoltà economiche dovute alla crisi in atto.
Allora ci si deve chiedere se, in base alla legge, la crisi è una scusa valida per non pagare una transazione oppure no: in caso affermativo, la giustificazione sarà valida, altrimenti i patti dovranno essere comunque rispettati e la transazione non onorata produrrà altri pesanti effetti a carico della parte inadempiente.
Indice
La transazione: cos’è e a cosa serve
La transazione è un contratto, previsto dal Codice civile [1], con cui le parti si fanno reciproche concessioni, cioè si “vengono incontro”, in modo da prevenire una lite che può sorgere tra loro oppure per porre fine ad una lite già instaurata ed in corso.
Francesco pretende da Gino la somma di 1.000 euro per una fornitura di merce; Gino però ha contestato la cattiva qualità dei prodotti (ma non li ha restituiti). Anziché andare in causa, i due si accordano così: Francesco verserà a Gino la somma di 500 euro, di cui la metà subito e l’altra metà entro 6 mesi.
Il presupposto della transazione è quindi una lite, reale o anche solo potenziale. Non conta, invece, in questa fase la fondatezza delle rispettive pretese, perché la transazione, una volta raggiunta, pone fine alla controversia. Inoltre, le concessioni devono essere reciproche (se fossero unilaterali si avrebbe una rinuncia al diritto o alla pretesa).
Le transazioni sono vietate in materia di diritti indisponibili, come i rapporti di famiglia o lo stato e la capacità delle persone. Sono ammesse per la generalità dei rapporti contrattuali a contenuto patrimoniale, salvo che per i contratti illeciti.
La transazione deve essere provata per iscritto e se riguarda beni immobili la forma scritta è indispensabile per la validità dell’atto. Scopri come si scrive una transazione e scarica la formula dell’atto di transazione.
La transazione a saldo e stralcio
Nelle situazioni di forte indebitamento, si tende a realizzare una transazione a saldo e stralcio: questo accordo pone fine alla lite, già in essere o da instaurare, a fronte di un pagamento ridotto ma tempestivo. In tali casi, il pagamento viene accettato dal creditore a totale tacitazione della sua pretesa, che in seguito non potrà più essere azionata in giudizio.
Di solito, si ricorre al saldo e stralcio quando si è in prossimità di azioni esecutive (atti di precetto e pignoramenti): il debitore vuole liberarsi dai vincoli pregiudizievoli sui propri beni e il creditore vuole ottenere subito almeno una parte della somma, evitando di dover attendere i tempi dell’asta giudiziaria e della vendita. Quando gli impegni assunti nella transazione saranno adempiuti, le parti non avranno più nulla a pretendere l’una dall’altra.
La Srl Alfa deve alla banca 80mila euro, più interessi, per un mutuo ed un leasing di cui non ha pagato alcune rate. La banca ha già precettato la società e pignorato i locali aziendali. Creditore e debitore si accordano per definire la vertenza con il pagamento da parte di Alfa alla banca di 45mila euro, di cui 15mila al momento della sottoscrizione dell’atto e il restante in 6 rate mensili da 5mila euro ciascuna. Le parti convengono che a seguito del pagamento la banca non avrà più nulla a pretendere per il mutuo ed il leasing, rinuncerà alle azioni legali ed estinguerà la procedura esecutiva avviata.
Qui, trovi un fac simile di atto di transazione a saldo e stralcio. Ora, resta da vedere cosa succede nel caso in cui l’impegno non venga onorato. Cosa succede se il debitore non adempie ai pagamenti secondo le modalità previste nella transazione? Per scoprilo, prosegui nella lettura.
La transazione inadempiuta
Abbiamo visto che con la transazione le parti raggiungono un nuovo regolamento dei propri interessi, che sostituisce il precedente. Ma quando la transazione è inadempiuta può essere possibile raggiungere un nuovo accordo transattivo oppure azionare l’intero diritto di credito precedente (al netto delle eventuali somme già corrisposte) o ancora soltanto l’importo ridotto stabilito nel contratto di transazione e, dunque, non più quello originario.
In genere, i contratti di transazione a saldo e stralcio prevedono sempre una clausola di inadempimento, nella quale stabiliscono che se le prestazioni non saranno eseguite nei modi e nei tempi stabiliti (come il versamento delle rate nell’esempio precedente) l’accordo si intenderà decaduto e riprenderanno vita le pretese rinunciate con la transazione: in particolare, il creditore potrà avviare o proseguire le procedure esecutive per recuperare l’intera somma richiesta, alla quale dovranno aggiungersi gli interessi di mora e le spese legali.
In tali casi, infatti, la parte non soddisfatta promuoverà (o proseguirà) la causa davanti al giudice chiedendo la risoluzione della transazione per inadempimento e la condanna del debitore inadempiente al pagamento dell’intero importo relativo al diritto preesistente alla transazione raggiunta e non onorata. Questo però è possibile se la transazione non è novativa cioè non sostituisce la situazione precedente, annullandola; altrimenti, sarà possibile agire in giudizio per chiedere soltanto l’importo già ridotto, cioè quello indicato nel contratto di transazione [2].
Nei casi controversi, spiega la Cassazione [3], bisogna considerare «l’effettiva o presumibile volontà delle parti, quale può essere ricostruita in relazione alle vicende preesistenti e coeve alla conclusione dell’accordo ed alle modalità di svolgimento e di esecuzione del rapporto», tenendo presente anche ciò che si verifica nei casi simili a quello di specie.
Un vantaggio della transazione, anche se inadempiuta, consiste comunque nel fatto che il contratto varrà come riconoscimento del debito e, perciò, potrà essere utile per ottenere un decreto ingiuntivo, velocizzando la procedura di recupero del credito rispetto ai tempi delle cause ordinarie.
Inadempimento della transazione per crisi economica
Essendo la transazione un contratto, essa soggiace alle possibilità di risoluzione per impossibilità sopravvenuta, totale o parziale, della prestazione [4] o per eccessiva onerosità sopravvenuta [5]. Per capire quando si verificano questi casi, può essere utile ripercorrere il vademecum elaborato dalla Corte di Cassazione nell’estate 2020, relativo alla grave situazione di crisi provocata dalla pandemia di Covid-19 (per approfondire leggi Coronavirus, contratti e debiti: quali regole).
I criteri elaborati dalla Suprema Corte, al di là degli specifici richiami alle norme emergenziali, appaiono validi ed applicabili in tutti i casi di pesanti crisi economiche e recessioni, quando determinano un’impossibilità assoluta della prestazione per fatti che esulano dalla sfera di controllo e dalle possibilità di intervento delle parti.
Ma la Suprema Corte adotta criteri restrittivi su questi inadempimenti eccezionali e tiene fermo il principio secondo cui il debitore deve «dimostrare di aver fatto uso della ordinaria diligenza per rimuovere gli ostacoli creati all’esatta esecuzione degli impegni contrattualmente assunti»: già da qui si comprende che una crisi generale, per quanto grave e profonda come quella dovuta all’emergenza Covid, non può mai diventare una scusa per non adempiere.
Eventi eccezionali, difficoltà e impotenza finanziaria
Per liberare il debitore occorre, piuttosto – precisa la Corte – che vi sia «un evento esterno alle parti contrattuali, straordinario sul piano oggettivo, improcrastinabile e inevitabile su quello soggettivo, in quanto estraneo a qualsiasi ragionevolezza previsionale, non risolvendosi esso nel quadro delle oscillazioni di valore delle prestazioni e delle normali fluttuazioni del mercato, ma travalicandole».
Perciò – avvertono gli Ermellini – «non è sufficiente una mera difficoltà rivelatasi esclusivamente nella sfera del singolo, occorrendo una situazione operante presso qualsiasi debitore e tale da modificare il valore di mercato della prestazione».
Così neppure l’impotenza finanziaria, che è il classico effetto che affligge le imprese in crisi, può giustificare l’inadempimento: «il concetto di impossibilità della prestazione non ricomprende, infatti, la c.d. impotenza finanziaria, per quanto determinata dalla causa di forza maggiore in cui si compendia l’attuale emergenza sanitaria», scrivono nel vademecum i giudici di piazza Cavour.
La transazione pagata in parte e in ritardo
Anche la giurisprudenza di merito sta seguendo questa linea: in un recente caso deciso dal tribunale di Roma [6], una parte inadempiente ad una transazione (non aveva versato entro i termini la seconda rata stabilita) è stata condannata a pagare le spese di lite, perché aveva costretto la controparte ad intraprendere il giudizio.
La vicenda riguardava un condominio che con una transazione si era impegnato a pagare in due rate la somma dovuta per i compensi spettanti all’ex amministratore (che aveva già in precedenza ottenuto il decreto ingiuntivo); per giustificare il mancato pagamento della seconda tranche, aveva invocato le difficoltà causate dall’emergenza Covid, ma il giudice ha rigettato questa tesi, ritenendo la condotta del debitore non conforme a correttezza e buona fede.
In corso di causa, le spettanze dovute sono state saldate, ma troppo tardi: se da un lato è stata dichiarata la cessata materia del contendere – e, dunque, la causa è terminata – dall’altro lato, la sentenza sottolinea che addurre a giustificazione del mancato adempimento della seconda rata nel termine concordato la nota pandemia è contrario al principio di lealtà processuale, in quanto l’emergenza epidemiologica era sorta solo due mesi dopo l’inadempimento.
note
[1] Art. 1965 Cod. civ.
[2] Art. 1976 Cod. civ.
[3] Cass. sent. n. 7208/14 del 27 marzo 2014.
[4] Artt. 1463 e 1464 Cod. civ.
[5] Art. 1467 Cod. civ.
[6] Trib. Roma, sent. n. 13277/20 del 1 ottobre 2020.