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Diffamazione WhatsApp: prova

4 Novembre 2020 | Autore:
Diffamazione WhatsApp: prova

Tabulati, screenshot e trascrizioni: come provare i commenti oltraggiosi in chat? Come si estraggono i messaggi dallo smartphone?

Per diffamare una persona basta davvero poco: un commento tra amici o un post su Facebook sono sufficienti a integrare questo reato. Per legge, chi offende la reputazione di una persona che non è presente rischia un procedimento penale in piena regola, con tanto di possibile condanna finale. Sempre più spesso il teatro delle condotte diffamatorie è WhatsApp: all’interno dei gruppi di chat si leggono commenti denigratori che possono offendere pesantemente la dignità e il decoro di una persona, con conseguenze a volte drammatiche. Come si prova la diffamazione su WhatsApp?

Generalmente si ritiene che, per dimostrare di essere stati vittima di diffamazione su WhatsApp o su altri sistemi di messaggistica istantanea (Messengers, Telegram, ecc.), sia sufficiente mostrare le chat incriminate ai carabinieri o alla polizia, o al massimo farne una stampa cartacea. In realtà, le cose non sono così semplici. Un semplice screenshot potrebbe non servire a far valere i propri diritti. Perché? La risposta è semplice: la stampa o l’immagine della schermata non costituiscono una prova certa della condotta illecita, in quanto tali elementi potrebbero essere stati modificati dalla vittima stessa per incriminare altre persone. In altre parole, la stampa degli screenshot non costituisce una prova legale inconfutabile. Come tutelare le proprie ragioni in caso di diffamazione via WhatsApp? Come dimostrare il crimine subito? Te lo spiego con questo articolo.

Diffamazione: quand’è reato?

Per la legge [1], c’è diffamazione quando, comunicando con più persone, si offende l’altrui reputazione. Sono dunque due gli elementi fondamentali della diffamazione:

  • l’offesa alla reputazione, per tale dovendosi intendere la considerazione che si ha della vittima all’interno della società;
  • la pluralità di persone (almeno due) a cui il commento irriguardoso è comunicato.

Si ritiene inoltre che la persona offesa non debba essere presente al momento del fatto, o quantomeno non debba essere in grado di percepire l’espressione ingiuriosa.

WhatsApp: quando c’è diffamazione?

Diffamare una persona su WhatsApp è molto facile: è sufficiente un commento oltraggioso scritto all’interno di una chat per poter commettere questo reato.

Attenzione però: poiché è necessario che la frase diffamatoria sia percepita da almeno due persone, occorre che la condotta sia commessa in una chat di gruppo ove vi siano almeno due persone, diffamato e diffamatore esclusi.

È possibile tuttavia commettere una diffamazione anche comunicando con una sola persona, se si ha la consapevolezza che quest’ultima riferirà quanto detto ad altri.

In altre parole, se si intende screditare la vittima esprimendo commenti irriguardosi, si può anche comunicare con una sola persona, nella consapevolezza però che quest’ultima riferirà il messaggio a tante altre.

Insomma, chi si avvale del pettegolo provetto come cassa di risonanza delle proprie ingiurie commette comunque una diffamazione.

Tabulati WhatsApp per provare la diffamazione

Come detto in apertura, provare di aver subito una diffamazione su WhatsApp non è così semplice come si possa pensare. Non è sufficiente portare il proprio cellulare alla polizia e far leggere all’ufficiale di turno i messaggi ingiuriosi scritti nei propri riguardi.

Potrebbe essere insufficiente perfino la stampa dei messaggi diffamatori. Questi, infatti, potrebbero essere stati alterati e spacciati come originali. Chiunque abbia un po’ di dimestichezza con i mezzi informatici saprebbe falsificare i messaggi delle chat.

Come provare con certezza la diffamazione avvenuta su WhatsApp? Un modo c’è: affidarsi a un perito che estragga i tabulati dei messaggi di WhatsApp dal proprio smartphone.

Per compiere questa operazione occorre che un esperto, attraverso l’utilizzo di appositi software di estrazione, risalga alle chat presenti all’interno dello smartphone, anche se cancellate.

Questi programmi (cosiddetti software di mobile forensics) consentono di effettuare un’acquisizione integrale di dispositivi mobili come smartphone, tablet e telefoni cellulari, generando un’immagine forense che può poi essere analizzata nell’ambito di una perizia sullo smartphone.

All’interno dei software di analisi forense di smartphone sarà possibile visualizzare l’intero tabulato dei messaggi di WhatsApp, comprendendo sia i messaggi inviati che ricevuti, nonché quelli cancellati ancora presenti sul cellulare.

Solo in questa maniera le autorità potranno essere certe della veridicità di quanto scritto in chat, nonché della provenienza dei messaggi.

Il problema di questo metodo di prova della diffamazione via WhatsApp è che la perizia può essere compiuta solamente su uno smartphone di cui si ha la disponibilità. Se la vittima sa che è stata diffamata ma non ha accesso alle chat incriminate, non potrà portare alla polizia il proprio cellulare affinché venga fatta l’estrazione, né potrà incaricare un perito per fare ciò.

Ciò che occorrono per la perizia e la conseguente estrazione sono i dispositivi su cui tali chat sono state conservate (anche se cancellate).

La polizia non può infatti chiedere direttamente a WhatsApp i tabulati: in virtù del particolare sistema (cosiddetta crittografia end-to-end, che impedisce perfino al fornitore del servizio di visualizzare la conversazione) che protegge le conversazioni, solamente accedendo agli smartphone coinvolti si può risalire ai tabulati.

Estrazione dei tabulati WhatsApp da altri smartphone

Se la diffamazione è avvenuta su chat di WhatsApp presenti su altri dispositivi, l’unica cosa da fare è sperare che la polizia disponga l’analisi di quei cellulari.

Affinché la polizia possa procedere a tanto, occorre che vi sia un atto motivato dell’autorità giudiziaria: è necessario, quindi, che un giudice autorizzi la polizia a prelevare lo smartphone e a sottoporlo a perizia.

Come ricordato, infatti, non è possibile ottenere i tabulati WhatsApp senza avere il possesso del cellulare: per tale ragione, la polizia dovrà procedere prima al sequestro dello smartphone e, successivamente, estrarre i tabulati.

È facile comprendere che questa ipotesi è più unica che rara; bisognerà sperare che, una volta sporta querela per diffamazione, la polizia giudiziaria ottenga dal giudice il permesso di sequestrare i cellulari incriminati al fine di estrarre i tabulati WhatsApp contenenti la diffamazione.

Un’ipotesi del tutto remota, considerato che a tale operazione si procede solo per reati molto gravi, ad esempio per provare gli scambi di messaggi tra spacciatori.

Eppure, sul punto la Corte di Cassazione è molto chiara: le chat di WhatsApp possono costituire prova in un processo penale, a patto che sia stato acquisito il supporto telematico o figurativo, in maniera tale che si possa verificare l’affidabilità in sede processuale [2].

Diffamazione WhatsApp: altri modi per provarla

Se non è possibile ottenere l’estrazione legale dei tabulati WhatsApp, per denunciare una diffamazione potrebbero essere sufficienti gli screenshot delle chat incriminate. Ottenute queste immagini (magari grazie a un amico che le ha inviate alla vittima), bisognerà stamparle e allegarle alla querela.

In alternativa alla stampa, è possibile caricare le immagini su un dispositivo Usb (come la chiavetta, per intenderci) da allegare alla denuncia/querela.

Ancora, si può procedere alla trascrizione dei messaggi direttamente all’interno dell’esposto alla polizia; anche in questo caso, però, andranno comunque allegate le immagini, a sostegno della veridicità di quanto riportato nella denuncia.

In ogni caso, questi metodi non sono infallibili come l’ottenimento del tabulato WhatsApp che, come detto, è l’unica prova che non può essere contestata dal diffamatore.

Stampe, trascrizioni e fotografie possono essere sufficienti tutt’al più per far partire un’indagine ma, in sede processuale, lasciano il tempo che trovano.


Per provare una diffamazione su WhatsApp non sono sufficienti gli screenshot dei messaggi ma occorre l’estrazione dei tabulati dallo smartphone.

note

[1] Art. 595 cod. pen.

[2] Cass., sent. n. 49016/2017.

Autore immagine: Pixabay.com


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