Il lavoro da remoto va preferito a quello dalla tradizionale postazione in ufficio nella Pubblica Amministrazione ed è fortemente raccomandato ai privati.
Nell’ultimo Dpcm, firmato in nottata dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte, si prescrive di potenziare lo smart working, tanto nel settore pubblico quanto nel privato.
In particolare, nel testo si legge che «la Pubblica Amministrazione organizza il proprio ufficio assicurando, su base giornaliera, settimanale o plurisettimanale, lo svolgimento del lavoro agile nella percentuale più elevata possibile» ed è «fortemente raccomandato l’utilizzo della modalità di lavoro agile da parte dei datori di lavoro privati».
Quindi, mentre per gli uffici pubblici l’ordine è perentorio, con ingressi scaglionati per l’apertura, per i privati non c’è un’imposizione ma una raccomandazione.
È comunque verosimile che si andrà verso una più consistente adozione dello smart working per almeno due motivi: l’escalation di contagi che spaventa tutti e le conseguenze a cui potrebbe andare incontro il datore di lavoro, nel caso in cui un dipendente si ammalasse di Covid in ufficio e gli facesse causa.
Il fatto che lo smart working sia solo raccomandato potrebbe non bastare a convincere il giudice che il comportamento del datore di lavoro sia stato corretto, tenendo conto sia della circolare Inail dei mesi scorsi che prescrive alle aziende di rispettare le regole, sia del principio di maggiore prudenza che il datore di lavoro deve seguire, tanto a detta del Codice civile quanto secondo il Testo unico sulla sicurezza.
Se il lavoratore, continuando a stare in ufficio, si dovesse ammalare di Covid, il capo potrebbe risponderne anche penalmente, perché sarebbe considerato a tutti gli effetti come un infortunio sul lavoro (ne abbiamo parlato qui: Covid, contagio in azienda: il datore rischia il penale). Resterebbe comunque in capo al dipendente l’onere di dimostrare di essersi contagiato in ufficio.
Neanche durante la prima ondata di Coronavirus ci si era perfettamente adeguati all’indicazione di preferire lo smart working. Secondo l’osservatorio sul lavoro agile del Politecnico di Milano, il 78% delle piccole aziende non lo avrebbe applicato fino in fondo, diversamente da quelle più grandi.
È però un dato di fatto che, nel pieno della crisi Covid, ci fossero 6,5 milioni di lavoratori da remoto, ben più di quanti ce n’erano a settembre, quando la seconda ondata non era ancora iniziata (5,8 milioni).
Per tutti questi motivi si andrà dunque verso un più massiccio impiego dello smart working.