Il direttore generale della Prevenzione del dicastero della Salute, all’incontro con i giornalisti, non svela l’informazione più attesa.
Per conoscere quali regioni saranno zona rossa bisognerà aspettare ancora. «Sono ancora in corso valutazioni», ha risposto il direttore generale della Prevenzione del ministero della Salute, Gianni Rezza, ai giornalisti che glielo chiedevano, durante il punto stampa sulla pandemia in Italia.
Valutazioni che devono essere particolarmente difficili, perché Rezza ha aggiunto che «sono ore particolarmente frenetiche e intense, siamo riuniti in cabina di regia e stiamo ancora lavorando».
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Zone rosse, arancioni e gialle: più difficile del previsto
L’automatismo con il quale ogni regione sarebbe stata inserita in fascia gialla, arancione o rossa si rivela più complicato del previsto, nella pratica. Rezza ha ammesso che ci sono problemi di metodo.
«Se una regione non riporta con completezza i dati, o se semplicemente non riporta la data di comparsa dei sintomi, potrebbe sottostimare l’incidenza e in questo caso l’Rt tende a sballare – ha detto -. Purtroppo non si può ricorrere a un automatismo semplicissimo, bisogna vedere anche la resilienza, quanto è la capacità di resistenza del sistema».
Le regioni più colpite
Il numero uno della Prevenzione, al ministero della Salute, si sofferma, però, sulle regioni più colpite: Lombardia, Piemonte e Campania.
La prima «ha circa 11 milioni di abitanti e conta 7.800 casi». Nella seconda i casi sono, invece, 3.577; nella terza più di quattromila. In altri luoghi l’incidenza dei casi è relativamente elevata, come in Veneto (più di 2.400 casi), nel Lazio (2.400), dove «si registra un leggero incremento ma effettivamente sembra abbastanza graduale».
«Ci sono poi le Regioni più piccole – è andato avanti a spiegare Rezza -, con una popolazione meno numerosa, come per esempio l’Umbria, che ha una popolazione paragonabile a quella di una Asl di Roma, con quasi 500 casi. E questo, in termini di incidenza, è un dato piuttosto elevato».
Seconda ondata meno letale, per ora
Il dato rassicurante è che la letalità, rispetto alla prima ondata, «tende a essere più bassa», ma non ci si può adagiare su questo, ammonisce Rezza.
«Come avete visto quando aumentano i casi, le persone decedono dopo un po’ di tempo. L’approccio anche terapeutico è certo migliorato ma io resto con i piedi per terra: queste sono valutazioni che vanno fatte un po’ più in là nel tempo. Comunque – conclude – bisogna intervenire prontamente».