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Si possono fotografare gli edifici storici?

14 Novembre 2020
Si possono fotografare gli edifici storici?

Ho intenzione di realizzare insieme all’editrice di un mio libro una videointervista a me come autore con un video in strade di un centro storico di un piccolo paese. Non verrà ripresa alcuna persona, non verranno utilizzati cavalletti e simili, ma sarà inquadrato eventualmente, un edificio risalente al Cinquecento. Volevo sapere se è necessaria una autorizzazione da parte del Comune. Se questa autorizzazione occorre vorrei sapere se posso applicare la regola del silenzio assenso in caso di mancata risposta del Comune.

A parere dello scrivente, occorre la previa autorizzazione dell’ente pubblico che ha la gestione del bene, se la ripresa indugia sull’edificio e questo diventa parte integrante della ripresa. I motivi sono i seguenti.

Il tema della riproduzione di monumenti pubblici è affrontato dal decreto legislativo n. 42 del 22 gennaio 2004. L’art. 107 di questo testo normativo afferma, al primo comma, che il Ministero, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali possono consentire la riproduzione nonché l’uso strumentale e precario dei beni culturali che abbiano in consegna, fatte salve le disposizioni in materia di diritto d’autore.

In base alla normativa sul diritto d’autore (legge n. 633/41), risultano oggetto di protezione le opere d’arte figurativa che presentano un carattere creativo, comprese le sculture e le opere di architettura (cfr. artt. 1 e 2, L. 633/1941). In tal senso, qualora un edificio, un palazzo o un monumento presentassero carattere creativo, ricadrebbero entro la protezione del diritto d’autore (benché pubblici).

Il diritto d’autore, comunque, non è perpetuo: esso si estingue 70 anni dopo la morte del suo autore (architetto, ingegnere, artista, ecc.).

Dal combinato di queste norme la riproduzione delle opere d’arte esposte al pubblico sembrerebbe lecita, se l’autore è deceduto da oltre 70 anni e se, nel frattempo, all’opera non sia stata oggetto di qualche modifica, aggiunta o abbellimento che comporterebbe la “rinnovazione” dei 70 anni (colui che ha compiuto le modifiche, infatti, verrebbe considerato a sua volta autore).

Il problema è comprendere se l’edificio storico in questione rientri o meno tra i beni culturali, per i quali vige appunto la normativa del d. lgs. n. 42/2004. Secondo l’art. 10, sono beni culturali le cose immobili e mobili appartenenti allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici territoriali, nonché ad ogni altro ente ed istituto pubblico e a persone giuridiche private senza fine di lucro.

Sono altresì beni culturali, quando sia intervenuta dichiarazione di interesse culturale, le cose immobili e mobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico particolarmente importante, appartenenti a soggetti diversi dallo Stato, dalle regioni e dagli altri enti pubblici territoriali.

Secondo l’art. 12, i beni appena indicati che siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre settanta anni, sono sottoposte alle disposizioni particolari del d. lgs. n. 42/2004.

Secondo l’art. 108 del medesimo decreto legislativo, per la riproduzione dei beni culturali occorre pagare anticipatamente dei canoni di concessione e dei corrispettivi connessi alle riproduzioni di detti beni, determinati dall’autorità che ha in consegna i beni, tenuto conto:

  • del carattere delle attività cui si riferiscono le concessioni d’uso;
  • dei mezzi e delle modalità di esecuzione delle riproduzioni;
  • del tipo e del tempo di utilizzazione degli spazi e dei beni;
  • dell’uso e della destinazione delle riproduzioni, nonché dei benefici economici che ne derivano al richiedente.

Il terzo comma dell’art. 108 afferma che nessun canone è dovuto per le riproduzioni richieste o eseguite da privati per uso personale o per motivi di studio.

Alla stessa maniera, sono libere le attività, svolte senza scopo di lucro, per finalità di studio, ricerca, libera manifestazione del pensiero o espressione creativa e promozione della conoscenza del patrimonio culturale, se l’oggetto della riproduzione non riguarda beni archivistici sottoposti a restrizioni di consultabilità (come ad esempio i beni conservati nei musei, volumi antichi custoditi nelle biblioteche, ecc.).

Da tanto si evince che chi intende fare riprese o fotografie del patrimonio culturale italiano deve chiedere l’autorizzazione all’ente pubblico (il Comune, la Provincia, ecc.) che ne ha la gestione e pagare un corrispettivo. Non può valere la regola del silenzio assenso.

Nulla è dovuto, però, se foto e video sono per uso esclusivamente personale (ad esempio, foto delle vacanze da tenere con sé e mostrare solo alla propria famiglia) oppure sono effettuate per fini di promozione delle opere stesse oppure per manifestare il proprio pensiero (si pensi a un servizio giornalistico, ad esempio).

Deve tuttavia ritenersi che, anche non sussistendo le condizioni appena elencate che giustificano la libertà della riproduzione (uso personale, motivi di studio, promozione dei beni culturali, ecc.), sia lecita la ripresa o la fotografia di un monumento pubblico o edificio di particolare pregio storico quando tale opera non sia l’oggetto principale della riproduzione. In altre parole, se si gira un video ove si intravede sullo sfondo un bene culturale di particolare rilievo, non occorre chiedere il consenso all’ente pubblico se l’oggetto del video o della fotografia è tutt’altro.

In altre parole, il permesso (con relativo pagamento della concessione) si rende necessario se la riproduzione indugia sul bene culturale; se, invece, esso è ripreso en passant, allora non si dovrà nulla all’ente pubblico.

In sintesi, se la videointervista non insisterà sull’edificio cinquecentesco, allora non sarà necessario chiedere l’autorizzazione al Comune, né pagargli il relativo canone; al contrario, se l’edificio diviene parte integrante e significativa del video, allora sarà opportuno formulare per iscritto un’autorizzazione da sottoporre al Comune, il quale peraltro, qualora ritenesse che il video possa fungere da spot o promozione per il territorio, potrebbe anche non chiedere nulla come corrispettivo.

Tirando le fila di quanto finora detto:

  1. se l’edificio storico rientra tra i beni culturali in quanto di proprietà pubblica oppure perché sussiste una dichiarazione di interesse culturale, allora per la sua riproduzione occorre l’autorizzazione espressa dell’ente pubblico e il pagamento di un canone, a meno che la ripresa non sia meramente occasionale e, quindi, l’immagine non sia del tutto trascurabile all’interno della riproduzione;
  2. se l’edificio storico non rientra tra i beni culturali, non c’è dichiarazione di interesse culturale e il suo autore è deceduto da oltre settanta anni, allora la riproduzione sarà libera.

 Articolo tratto dalla consulenza resa dall’avv. Mariano Acquaviva



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