Lavoro dipendente e co.co.co.: differenze


I criteri per stabilire se c’è una vera collaborazione coordinata e continuativa oppure sussiste un rapporto di lavoro subordinato.
Sei stato assunto per una collaborazione coordinata e continuativa – co.co.co. – ma in concreto ti stai accorgendo che ogni giorno il tuo datore di lavoro ti impartisce direttive molto dettagliate: ti dice in concreto cosa fare, quando e come.
Ti sembra che il progetto che fonda il tuo contratto di lavoro sia una scatola vuota, uno schermo per eludere le norme: nella sostanza ti senti a tutti gli effetti un lavoratore subordinato, ma non hai le relative tutele. Così vuoi sapere quali sono le differenze tra lavoro dipendente e cococo: questo è molto importante per individuare il regime applicabile al rapporto, soprattutto per garantire il prestatore. Ad aiutare nella risposta è arrivata una nuova circolare dell’Inl (Ispettorato Nazionale del Lavoro) diretta agli ispettori di vigilanza che fornisce importanti chiarimenti.
Indice
Lavoro subordinato e lavoro autonomo
Il co.co.co. è una figura ibrida, a metà strada tra il lavoro subordinato ed il lavoro autonomo. Nel lavoro subordinato, il prestatore [1] si impegna a prestare la propria attività di lavoro alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore. Nel lavoro autonomo [2], l’impegno riguarda la realizzazione di un’opera, o di un servizio, per il cliente, ed il prestatore si organizza autonomamente. È il caso degli artigiani e dei liberi professionisti.
Per capire quando ci si trova in presenza di un rapporto di lavoro subordinato, oppure autonomo, la giurisprudenza usa degli “indici” che fanno presumere la subordinazione: quando c’è un orario vincolato da rispettare, una prestazione svolta in maniera costante, una retribuzione prestabilita, l’esclusione dal rischio per il prestatore ed il suo inserimento nell’organizzazione del datore o committente è molto probabile che il tipo di lavoro sia dipendente anziché autonomo (leggi “differenze tra lavoro autonomo e lavoro subordinato“.
Collaborazioni coordinate e continuative
Tra queste due forme base c’è un vasto mondo intermedio che presenta “somiglianze” con entrambe le categorie: è il lavoro parasubordinato, in cui rientrano le collaborazioni coordinate e continuative.
Qui, c’è (o dovrebbe esserci) una piena autonomia del co.co.co. nello svolgimento della prestazione e, correlativamente, l’assenza di un vincolo di subordinazione nei confronti del committente, con il quale però nella pratica il rapporto è molto stretto, sia per l’intensità sia per la durata: nella maggior parte dei casi, il co.co.co. è di fatto inserito pienamente nell’organizzazione aziendale ed è soggetto al potere di coordinamento del datore, che spesso sfocia in una vera e propria direzione e controllo delle sue attività.
Di conseguenza, l’autonomia del collaboratore coordinato e continuativo viene fortemente limitata e compressa: i tempi e le modalità di esecuzione delle attività lavorative sono eterodiretti, ovvero etero-organizzati dal committente che così assomiglia ad un vero e proprio datore di lavoro, specialmente quando fornisce al co.co.co. i propri mezzi e strutture aziendali, necessari per svolgere le prestazioni.
I falsi co.co.co.
In questi casi, al di là del nome e della qualificazione data dalle parti al rapporto, il contratto del collaboratore coordinato e continuativo maschera un rapporto di lavoro dipendente, che non essendo formalmente instaurato lascia i lavoratori in regime di co.co.co. privo delle maggiori tutele previste per i lavoratori subordinati.
Per arginare il fenomeno dei falsi co.co.co. la giurisprudenza [3] ha individuato alcune presunzioni di subordinazione, che si realizzano quando risulta la prevalenza di prestazioni personali, continuative ed etero organizzate dal committente, oppure quando manca il progetto per il quale il collaboratore è stato assunto. In tali casi il rapporto viene considerato di lavoro subordinato, sin dal momento della sua instaurazione.
Le collaborazioni etero-organizzate
Ora l’Ispettorato Nazionale del Lavoro (Inl) per chiarire meglio questi requisiti ha emanato una nuova circolare [4] che si occupa delle collaborazioni etero-organizzate dai committenti, anche quando avvengono mediante piattaforme informatiche per la gestione degli ordini e la ripartizione dei compiti, come nel caso dei riders, i fattorini che effettuano consegne di prodotti a domicilio.
La circolare ricorda innanzitutto che il lavoro a progetto è stato quasi completamente abrogato dal Jobs Act, ma di converso la disciplina delle collaborazioni organizzate e continuative è stata modificata ed ampliata lo scorso anno [5].
I requisiti dei co.co.co.
Da queste premesse, il documento di prassi (che è rivolto agli ispettori che svolgono i controlli) stabilisce che per poter applicare ai co.co.co. la disciplina del rapporto di lavoro subordinato i tre requisiti (personalità, continuità ed etero organizzazione) devono sussistere tutti insieme; non è sufficiente accertarne uno o due soli.
Quanto alla personalità della prestazione, è ammessa la clausola che consente al collaboratore di farsi sostituire in caso di assenza: la legge infatti ammette i co.co.co. anche nel caso in cui le prestazioni siano «prevalentemente» e dunque non esclusivamente personali.
Sulla continuità si afferma che il co.co.co. può anche lavorare ad intermittenza, cioè a chiamata, come nel caso dei “riders on demand“. La continuità della prestazione è caratterizzata dalla ripetizione nel tempo, quindi è esclusa dall’occasionalità.
Inoltre, secondo l’Ispettorato l’etero-organizzazione si individua in base ai tempi ed ai luoghi di svolgimento del lavoro, e sussiste non solo quando l’attività del collaboratore è integrata in quella aziendale, ma anche quando il co.co.co. svolge attività per diversi committenti e sulle relative piattaforme digitali di ciascuno, perché ciò che conta è l’inserimento del collaboratore nella struttura organizzativa del committente.
Perciò, per l’Inl la sola sussistenza dell’etero organizzazione non comporta la riqualificazione del rapporto in lavoro subordinato, a meno che non sconfini in una etero-direzione delle prestazioni lavorative.
In tal caso, gli ispettori provvederanno a contestare ai datori di lavoro il mancato rispetto della normativa sui tempi di lavoro, sulla salute, sulla sicurezza ed anche sulla violazione delle retribuzioni minime previste dal Ccnl di settore, in base al livello ed alla qualifica individuata in base alle mansioni svolte. In assenza di un contratto specifico, si applicheranno i minimi tabellari stabiliti dai contratti collettivi nazionali di settore affini o equivalenti, come quello per la logistica.
note
[1] Art. 2094 Cod. civ.
[2] Art. 2222 Cod. civ.
[3] Cass. ord. n. 20666/2020 del 29.09.2020.
[4] Circolare Inl n.7 del 30 ottobre 2020.
[5] Art. 2, comma 1, D.Lgs. n. 81/2015 (Jobs Act) modificato dal D.L. n. 101/2019 (convertito in Legge n. 128/2019), che ha introdotto il Capo V bis (artt. da 47 bis a 47 octies).