Senz’altro l’accesso al preparato artificiale per l’immunità dal Sars-CoV-2 sarà prioritario per alcune categorie di persone. Le ipotesi su quali saranno.
La buona notizia del vaccino Pfizer, efficace al 90%, è che proietta alla fine dell’incubo. I nodi sul siero che promette di sconfiggere il Coronavirus, però, sono tanti, dalla distribuzione alla conservazione.
È di stamattina un approfondimento del Corriere della Sera secondo il quale l’Italia è carente, sotto questo aspetto: non avremmo i frigoriferi adatti dove mantenere il preparato artificiale.
L’altra grande questione che si pone è quella della somministrazione, che va a braccetto col problema numero uno: rispondere a una domanda altissima, globale.
Proprio per questo, si dovrà ragionare secondo un’ottica di priorità che dovrà necessariamente prevedere un accesso agevolato al vaccino per alcune categorie di persone. Al momento, non c’è accordo nel mondo scientifico su quali saranno di preciso. Si ragiona su una serie di ipotesi, non sempre conciliabili.
La professoressa dell’Università di Padova Antonella Viola, per esempio, non è d’accordo con l’opinione largamente diffusa di far vaccinare per primi i più fragili, quindi gli anziani, i più colpiti dal Covid.
«Il vaccino, a oggi, è stato sperimentato su persone sane, che non hanno altre patologie – ha dichiarato Viola al Messaggero -. Solo ora si sta cominciando anche con ultraottantenni. Nei più anziani la risposta del sistema immunitario è diversa, non si può rischiare».
Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, il 25 ottobre, ha dichiarato il contrario: le prime dosi del vaccino, nelle sue idee, devono essere riservate alle «categorie più fragili ed esposte al pericolo», dunque anziani e malati cronici che soffrono di patologie respiratorie, cardiocircolatorie e di altro tipo.
Considerando che la distribuzione non avverrà prima della primavera 2021, il dibattito è senz’altro prematuro. Si parla di includere tra le categorie prioritarie anche il personale sanitario e le forze dell’ordine e, poi, i lavoratori in genere, motore economico del Paese.
C’è chi avanza anche l’idea di inserire i giovani tra i primi vaccinati, in base allo stesso presupposto per cui è raccomandato il vaccino antinfluenzale ai bambini tra i 6 mesi e i 6 anni, in modo da diminuire la circolazione del virus tra gli adulti.
Secondo Ezekiel Emanuel, della Perelman School of Medicine dell’Università della Pennsylvania, bisogna pensare non solo alle singole persone fragili, ma anche agli Stati che rischiano di restare indietro, per fare in modo che la distribuzione del vaccino sia equa.