Quando l’infedeltà provoca nel tradito un danno alla salute deve emergere un nesso specifico, ulteriore rispetto alla mera separazione e all’eventuale addebito.
Il tradimento del partner è sempre un trauma e comporta uno shock in chi lo subisce. Scoprire l’infedeltà del coniuge, o del compagno legato in un’unione stabile, è una brutta sorpresa che può comportare molta sofferenza ed anche serie conseguenze a livello psichico.
Talvolta il tradito cade in depressione: diventa triste, si isola, interrompe le sue frequentazioni, può perdere il lavoro. Così le conseguenze che patisce si allargano ben oltre l’evento e il momento specifico della conclamata infedeltà.
Pesa in modo insopportabile l’amara sensazione di aver gettato al vento una consistente parte della propria vita, con tutti i sentimenti dedicati a chi non li ha meritati. L’ombra del tradimento ricevuto può protrarsi molto a lungo e durare anche dopo la cessazione del rapporto matrimoniale a seguito della separazione dei coniugi.
Il trauma, se non viene metabolizzato, può addirittura impedire di rifarsi una vita e di instaurare nuove relazioni sentimentali; pregiudica molto chi lo subisce anche nella normale vita di relazione; dunque gli effetti sono estesi ben al di là delle conseguenze sulla reputazione dell’interessato, quando il tradimento è conclamato.
In questi casi bisogna capire come si può essere risarciti per la depressione da tradimento coniugale, in modo da avere un riconoscimento economico a fronte di questo fenomeno di sofferenza psicologica e prostrazione interiore, tenendo conto sia delle spese vive che le cure comportano sia dei danni non patrimoniali patiti a causa di tale penosa situazione.
Per rispondere a questa impegnativa domanda occorre chiedersi innanzitutto se il tradimento rappresenta un illecito, dal quale può scaturire il diritto della parte lesa ad essere risarcito da colui o colei che ha violato l’obbligo di fedeltà coniugale.
Se la risposta è affermativa, allora ne consegue che le corna “pesano” anche a livello economico ed essere risarciti potrebbe rappresentare un parziale ristoro. Ma la giurisprudenza, pur riconoscendo in linea di principio la possibilità risarcitoria per i danni provocati dal tradimento, pone specifiche e severe condizioni per averne il riconoscimento concreto. Non basta, cioè, produrre un certificato medico che attesta la depressione dopo il tradimento constatato per ottenere il risarcimento. Occorre molto di più e talvolta la prova da fornire non è semplice.
Il dovere di fedeltà coniugale
Con il matrimonio, entrambi i coniugi assumono per legge [1] una serie di diritti e di doveri reciproci, tra i quali spicca, per importanza e per le conseguenze, il dovere di fedeltà dell’uno verso l’altro.
Questo dovere va inteso in senso più ampio della semplice astensione dall’avere rapporti sessuali con persone diverse dal proprio coniuge, cioè di non commettere adulterio: esso implica una «comunione materiale e spirituale» della coppia, vale a dire un impegno reciproco alla lealtà ed alla dedizione affettiva verso il coniuge, e richiede di non tradire la sua fiducia e le sue aspettative sul sereno andamento del legame matrimoniale.
Perciò la violazione di questo dovere di fedeltà può consistere anche in una relazione soltanto platonica, purché sentimentalmente intensa, con persone diverse dal coniuge, oppure in un drastico irrimediabile distacco ed allontanamento affettivo e sentimentale dal partner. Leggi questo articolo per approfondire cosa richiede e comporta l’obbligo di fedeltà nel matrimonio.
Infedeltà coniugale: le conseguenze
L’inosservanza dell’obbligo di fedeltà coniugale determina innanzitutto l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza. È una conseguenza che si registra nella grande maggioranza dei casi; inoltre questo elemento è una delle principali condizioni legittimanti che consentono di addivenire alla separazione coniugale.
In fase di separazione, se il giudice accerta che uno dei coniugi ha violato taluno dei doveri derivanti dal matrimonio – dunque anche e proprio quello di fedeltà – disporrà l’addebito della separazione nei suoi confronti, cioè stabilirà che la fine del matrimonio è stata provocata da un comportamento indebito e particolarmente grave, che ha impedito la possibilità di continuare la convivenza insieme.
Nella pratica, i casi più frequenti in cui viene pronunciata la separazione con addebito sono appunto quelli in cui si è constatata una violazione del dovere di fedeltà, dunque un tradimento.
Qui, c’è da verificare se la violazione dell’obbligo di fedeltà sia stata la causa della rottura del vincolo coniugale oppure una sua conseguenza. Il matrimonio può naufragare per molte e spesso complesse ragioni. Spesso accade che una relazione extraconiugale sorge quando i coniugi erano già entrati in crisi di coppia per altri motivi preesistenti. In tal caso, questi elementi andranno valorizzati nel giudizio di separazione, al fine di stabilire le condizioni appropriate; ma questa valutazione, come vedremo subito, ha importanti conseguenze in tema di risarcimento del danno per il tradimento coniugale avvenuto.
Tradimento coniugale e risarcimento del danno
Non c’è un’equazione di corrispondenza automatica tra addebito della separazione e diritto al risarcimento del danno. Esso sorge solo quando, al di là della mera pronuncia di addebito, emerge che i comportamenti illeciti hanno leso in modo significativo i diritti fondamentali della persona, come quello alla dignità ed alla reputazione oppure quello della salute, intesa in senso non solo fisico ma anche psichico.
Si tratta evidentemente di danni non patrimoniali [1]; una vasta categoria che comprende quelli morali, esistenziali o di lesione dell’immagine, accomunati dal fatto che non nascono come pregiudizio direttamente economico (come nel caso di una somma di denaro non pagata dal creditore) ma solo successivamente al loro insorgere nella sfera del soggetto vengono quantificati e “tradotti” in un ammontare ritenuto corrispondente alla loro entità ed al pregiudizio arrecato nello stato d’animo e nell’integrità psico-fisica di chi li ha subiti.
Ma la risarcibilità dei danni non patrimoniali è ammessa solo nei casi determinati dalla legge (tipicamente, i danni derivanti da un fatto costituente reato, ma anche quelli conseguenti ad una violazione di norme civilistiche); quindi per far sorgere il diritto al risarcimento del danno in capo al coniuge tradito è necessario che vi sia stato un illecito civile da parte del traditore, che ha violato l’obbligo di fedeltà.
Quindi non rileva affatto se il fallimento del matrimonio sia o meno imputabile all’altro coniuge e in caso affermativo in quale misura o percentuale: non è da ciò che deriva la possibilità di risarcimento del danno, che non ha la funzione di “punire” il responsabile della fine dell’unione. Occorre qualcosa di più, anzi molto di più, del fatto storico del tradimento. Bisogna dimostrare che c’è stata la lesione di un diritto. La depressione clinicamente diagnosticata senza dubbio lede il diritto alla salute, ma non basta esserne affetti dopo la scoperta, inaspettata, dell’infedeltà del coniuge.
Il risarcimento della depressione derivante dal tradimento
A chiarire questo importante punto è arrivata una nuova pronuncia della Cassazione [3] che, riportandosi ad un orientamento ormai consolidato, ha affermato come la violazione del dovere di fedeltà derivante dal matrimonio non debba essere sanzionata soltanto con l’addebito della separazione, ma possa dar luogo al risarcimento dei danni non patrimoniali – anche in assenza di pronuncia di addebito – «sempre che la condizione di afflizione indotta nel coniuge superi la soglia della tollerabilità e si traduca, per le sue modalità o per la gravità dello sconvolgimento che provoca, nella violazione di un diritto costituzionalmente protetto, quale, in ipotesi, quello alla salute o all’onore o alla dignità personale» [4].
Siamo così arrivati al nocciolo della questione: la Suprema Corte afferma che il danno da depressione è risarcibile, e perciò il coniuge tradito ha diritto al risarcimento del danno anche se non c’è stato addebito della separazione nei confronti dell’altro; ma sottolinea che ciò non è automatico, ma anzi il danno deve essere particolarmente grave, per il superamento della soglia di tollerabilità e per lo sconvolgimento che provoca nella vita di chi lo subisce.
Depressione e tradimento: quale legame?
In sintesi, siamo arrivati a stabilire che questo danno riportato dal tradito deve ledere in maniera palpabile il diritto alla salute. E la depressione è una patologia che astrattamente rientra in questa ipotesi, per le conseguenze che può provocare.
Il percorso per arrivare all’affermazione del risarcimento però è ancora in salita, perché è necessario dimostrare di avere subito un danno derivante proprio dal tradimento, non dalla fine dell’unione.
La differenza sembra sottile, ma è essenziale. In concreto questo danno patito dal depresso deve emergere sia nella sua consistenza sia sotto il profilo del nesso causale, cioè del legame tra la depressione e il tradimento. Deve cioè emergere in modo chiaro che la sindrome depressiva si è instaurata proprio a causa del tradimento, anziché essere dovuta ad altri fattori indipendenti, compresa la separazione stessa.
La depressione e le conseguenze negative che essa provoca, quand’anche provate nella loro sussistenza, non bastano per ottenere il risarcimento, in quanto un certo grado di sofferenza psicologica sussiste inevitabilmente in tutti i casi in cui il matrimonio fallisce a causa dell’evento, tanto inaspettato quanto doloroso, del tradimento.
Molte volte risulta difficile capire e distinguere se la depressione, e la sofferenza psichica che comporta, oltre a tutte le sue conseguenze e ricadute sulla vita materiale di chi ne è affetto, derivi dalla separazione in sé, come evento, oppure se sia riferibile proprio al tradimento del partner. Ma è solo quando ciò avviene e può essere dimostrato che il risarcimento spetta. Il nesso tra la depressione e il tradimento è un elemento indispensabile.
Quando la depressione non basta per avere il risarcimento
Su questi aspetti la giurisprudenza è molto rigorosa ed infatti la Cassazione che abbiamo richiamato (puoi leggere l’intera sentenza nel box al termine di questo articolo) ha negato il diritto al risarcimento chiesto dal marito tradito per la mancanza della prova del nesso tra lo stato depressivo ed il tradimento subìto.
Ciò significa che può anche dimostrarsi che il tradimento sia stata la causa principale del fallimento dell’unione e che il tradito abbia riportato un serio pregiudizio psicofisico da questo accadimento, ma serve anche la prova che proprio quel tradimento, e non in generale la fine del vincolo matrimoniale, ha provocato l’insorgere della depressione.
In applicazione di questi principi, nel caso deciso dalla Cassazione il diniego è avvenuto nonostante il fatto che la separazione fosse stata addebitata alla moglie in quanto responsabile dell’infedeltà. «Il marito non ha provato il danno ingiusto e il nesso causale con una condotta illecita della moglie, non riscontrabile nella sola infedeltà coniugale», afferma la sentenza, prospettando poi che «la dedotta depressione di cui soffriva l’uomo» era «riferibile alla separazione in sé piuttosto che al tradimento».
Non è bastata, quindi, la constatata violazione dei doveri coniugali da parte della moglie e lo stato depressivo, pur riscontrato sussistente nel marito, in quanto è mancata la prova del legame tra la depressione e il tradimento: la sentenza adombra l’ipotesi che la sindrome potrebbe essersi verificata per la constatazione del fallimento del matrimonio anziché per la scoperta della relazione sentimentale intrattenuta dalla moglie con un altro uomo.
In ogni caso, la prova del nesso tra l’evento lesivo, costituito dal tradimento, ed il danno subìto, rappresentato dalla depressione insorta, non può essere presunta o desunta in modo automatico, ma deve essere fornita in modo specifico, chiaro e convincente dal danneggiato.
Per ulteriori informazioni sulla problematica trattata leggi anche questi articoli:
note
[1] Art. 143 Cod. civ.
[2] Art. 2059 Cod. civ.
[3] Cass. sez. VI Civile, ord. n 26383/20 del 19 novembre 2020.
[4] Cass. sent. n.6598/19 del 7 marzo 2019.
Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 14 ottobre – 19 novembre 2020, n. 26383
Presidente Acierno – Relatore Lamorgese
Rilevato che
La Corte d’appello di Salerno, con sentenza del 15 maggio 2018, in parziale accoglimento del gravame di Gr. Lu., per quanto ancora interessa in questa sede, ha dichiarato la separazione personale del Gr. con addebito al coniuge Ca. Re. ed ha confermato la sentenza impugnata nella parte in cui aveva rigettato la sua domanda di risarcimento del danno non patrimoniale nei confronti della moglie. La Corte ha motivato l’addebito per l’infedeltà coniugale della Ca., quale causa determinante della intollerabilità della convivenza matrimoniale, e il rigetto della domanda risarcitoria per non avere il Gr. provato il danno ingiusto e il nesso causale con una condotta illecita della moglie, non riscontrabile nella sola infedeltà coniugale, essendo la dedotta depressione di cui egli soffriva riferibile alla separazione in sé piuttosto che al tradimento della moglie.
Avverso questa sentenza il Gr. ha proposto ricorso per cassazione, illustrato da memoria, resistito dalla Ca..
Considerato che
Con il primo motivo il Gr. denuncia violazione di legge, vizi motivazionali, travisamento delle prove e delle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, in ordine all’esame, che assume erroneamente svolta, della domanda di risarcimento del danno da illecito endofamiliare, in conseguenza della violazione da parte della moglie dei doveri coniugali, che avrebbe determinato in lui uno stato depressivo dopo l’allontanamento della moglie dalla casa familiare.
Il motivo è inammissibile, essendo diretto a sollecitare una impropria rivisitazione di un apprezzamento di fatto incensurabilmente operato dai giudici di merito, il cui esito decisorio contestato dal ricorrente è applicazione di un principio di diritto acquisito nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui la natura giuridica del dovere di fedeltà derivante dal matrimonio implica che la sua violazione non sia sanzionata unicamente con le misure tipiche del diritto di famiglia, quale l’addebito della separazione, ma possa dar luogo al risarcimento dei danni non patrimoniali ex art. 2059 c.c., senza che la mancanza di pronuncia di addebito in sede di separazione sia a ciò preclusiva, «sempre che [tuttavia] la condizione di afflizione indotta nel coniuge superi la soglia della tollerabilità e si traduca, per le sue modalità o per la gravità dello sconvolgimento che provoca, nella violazione di un diritto costituzionalmente protetto, quale, in ipotesi, quello alla salute o all’onore o alla dignità personale» (vd. Cass. n. 6598 del 2019; anche n. 18853 del 2011). La sussistenza di tale condizione in concreto costituisce oggetto di accertamenti e valutazioni di fatto riservate al giudice di merito, censurabili alle ristrette condizioni, non ricorrenti nella specie, di cui al novellato art. 360 n. 5 c.p.c.
Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la disposta compensazione delle spese con statuizione, tuttavia, incensurabile in questa sede, avendola la Corte territoriale motivata in ragione della reciproca soccombenza, in conseguenza dell’accoglimento del motivo di gravame riguardante l’addebito e del rigetto del gravame sulla domanda risarcitoria. Ed infatti, la valutazione delle proporzioni della soccombenza reciproca e la determinazione delle quote in cui le spese processuali debbono ripartirsi o compensarsi tra le parti, ai sensi dell’art. 92, secondo comma, cod. c.c., rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, che resta sottratto al sindacato di legittimità, non essendo egli tenuto a rispettare un’esatta proporzionalità fra la domanda accolta e la misura delle spese poste a carico del soccombente (vd. Cass. n. 30592 del 2017).
Il ricorso è rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, condanna il ricorrente alle spese, liquidate in Euro 3100,00, oltre accessori di legge.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi.
Ci sono uomini e donne, indistintamente, senza scrupoli che ti fanno sentire uno straccio, un nonnulla, colpevole per qualche strano motivo o atteggiamento irrilevante, perché hanno la coda di paglia e non ti vogliono far capire che il problema sono loro che hanno altre frequentazioni, relazioni, figli fuori dal matrimonio e tu invece sei tranquillo/a che il tuo lui o la tua lei non abbia occhi che per te…e che magari sei tu quello/a sbagliato/a… Che vigliaccata. E poi magari scopri che si vede in piazza, nel cuore della notte, pensando che nessuno possa beccarlo/a a baciare un’altra persona. E capisci che non sei tu l’infame…. ma è quella feccia che avevi accanto!!! E per cui magari eri caduto/a in depressione.
Io ho capito che la mia ex mi tradiva quando ha iniziato a cambiare il suo look. Da che prima era più goffa e più comoda, anche in casa, ma io l’amavo in qualunque veste, lei invece ha iniziato a fare la civetta. Ho pensato fosse la crisi di mezza età e volesse fare un restiling per vedervi ancora bella e giovane, nonostante i miei commenti e complimenti quotidiani. E invece. Un bel giorno, lei ha lasciato il cellulare incustodito. Le scrive un contatto di un’amica che faceva apprezzamenti sulla sua vestaglia. Ora, per quanto un’amica possa volerti bene, non penso che ti scrivi certe cose… Oltretutto io questa non l’avevo mai sentita. Insomma, l’ho beccata in flagranza. Mi ha fatto davvero schifo.
Ma dico io… Vale la pena cadere in depressione per una persona che vi ha traditi? Alla faccia di quell’infame, qualunque sia stata la vostra storia, non vale la pena buttare i vostri giorni dietro una persona che vi ha fatto soffrire. Che senso ha poi buttarsi giù? E darla vinta a quella persona che non vi apprezzava pienamente? Ma cambiate vita e trovate la felicità!!!
Fabiola, fosse così semplice. La depressione è una malattia…un disturbo mentale che non puoi controllare se non con l’aiuto di uno specialista… Per uscirne, la persona deve fare un percorso interiore non indifferente e imparare ad amarsi nonostante quello che ha vissuto e le ferite che porta con sé a seguito del tradimento. Io ci sono passata e non è stato affatto semplice. Ne sono uscita dopo tanto tempo e poi ho avuto la fortuna di incontrare un altro uomo che mi ha amata e mi ha aiutata a ricucire le ferite
Quell’ispido e frigido del mio ex tornava a casa e ogni volta diceva che era stanco per il negozio che gestiva e ad ogni iniziativa di uscita per andare a trovare amici e per serate romantiche declinava sempre gli inviti… Diceva che era stressato e che aveva bisogno di riposarsi. E, poi, sapete che cos’è successo? Si è fatto l’amante. Una cliente con cui mi hanno detto che lui faceva sempre il piacione. Che uomo viscido che ho avuto accanto. Sono sì caduta in depressione ma grazie al mio avvocato gliel’abbiamo fatta pagare fino all’ultimo centesimo!