Stop studi di settore: i beni strumentali acquistati con mutui non vanno considerati


Nell’attività commerciale con grande flusso di cassa e ricambio di merce ma ridotto margine di utile, il reddito dichiarato può essere vero perché la liquidità è reinvestita invece che costituire introito.
Non si possono applicare gli studi di settore all’azienda se, nella ricostruzione del reddito, il fisco fa rientrare anche i beni strumentali contratti col mutuo. Le “immobilizzazioni materiali” non sono beni destinati alla vendita e, dunque, non possono concorrere a formare la stima degli acquisti effettuata dall’Ufficio.
Lo ha chiarito la Commissione Tributaria Regionale di Potenza con una recente sentenza del 21 ottobre scorso [1].
Nel merito, spiegano i giudici, bisogna tenere conto della natura dell’attività svolta dall’impresa e del tipo di prodotti venduti. Se, infatti, come nel caso di vendita al dettaglio di un discount, tale attività commerciale viene esercitata in base a pronta disponibilità che viene impiegata negli acquisti di merce da rivendere, nella copertura dei costi di gestione ( canone di locazione, dipendenti, utenze e così via) e negli investimenti con un mutuo, allora l’applicazione “cieca” del redditometro può portare a dei risultati errati.
L’attività del discount si fonda sull’eccezionale flusso di cassa, con rapida rotazione di merce e riduzione del margine di utile. Dunque, il reddito netto dichiarato non appare incompatibile con la gestione che predilige la destinazione della liquidità al reinvestimento a breve termine (acquisto di merce, generi alimentari ) e a medio e lungo termine (mutuo per beni strumentali ) piuttosto che la diversa destinazione del ricavato a reddito di impresa.
note
[1] CTR Potenza, sent. n. 542/14 del 21.10.2014.
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