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Condominio: riduzione volumetria a favore del sottotetto

28 Novembre 2020
Condominio: riduzione volumetria a favore del sottotetto

L’ingegnere incaricato del progetto ci ha fatto intendere che ai tre appartamenti costituenti l’immobile sarebbe diminuita l’altezza per l’installazione del riscaldamento sotto il pavimento. Ci siamo accorti che la diminuzione della volumetria dei singoli appartamenti è andata a favore dell’innalzamento del sottotetto di proprietà esclusiva di un condomino, anche se nello stato di progetto firmato non era riportato ciò.

Nessuna autorizzazione è stata data da noi condòmini per cedere volumetria di nostra proprietà a favore di un condomino. L’ing. incaricato ha detto che per ritornare alla vecchia volumetria occorre il consenso di tutti i condomini (che chiaramente il condomino avvantaggiato non fornirà) e paventando allungamenti corposi dei tempi per la definizione della pratica.

Chiediamo pertanto responsabilità di ingegnere incaricato progetto e come tutelare i nostri diritti.

Da quanto narrato nel quesito sembra sussistere la responsabilità professionale dell’ingegnere.

Secondo l’orientamento prevalente della Corte di Cassazione (Cass., 27 febbraio 1996, n. 1530; Cass., 22 marzo 1995, n. 3264), sull’ingegnere progettista grava un’obbligazione di risultato e non di mezzi. Cosa significa?

In pratica, vuol dire che l’ingegnere progettista è tenuto a raggiungere l’obiettivo prefissato dal committente, a differenza dell’ingegnere-direttore dei lavori, il quale è tenuto solamente a garantire il massimo impegno e la più alta diligenza nel raggiungere il risultato sperato.

Detto ancora in altre parole, l’ingegnere progettista non può sbagliare nel proprio lavoro, dovendo necessariamente produrre un elaborato tecnico non errato e, quindi, non difforme alla realtà né alle norme di legge vigenti. Secondo altra sentenza della Corte di Cassazione, l’obbligazione di redigere un progetto di ingegneria è di risultato perché ha per oggetto la sua concreta realizzabilità (Cass., sez. II, 21.3.1997).

Per far comprendere ancora meglio il concetto, si prenda l’esempio dell’avvocato. L’avvocato non può garantire il buon esito del procedimento giudiziario, ma solo il suo massimo impegno alla causa. È questa l’obbligazione di mezzi: il professionista garantisce la diligenza, l’impegno e il rispetto delle scadenze, ma non il risultato finale (cioè, nel caso dell’avvocato, la vittoria della causa).

Le ipotesi di obbligazione di risultato sono poche e tra queste rientrerebbe quella dell’ingegnere progettista. Da tanto deriva la maggiore facilità con cui si può agire contro di lui in caso di inadempimento.

Secondo la giurisprudenza, poiché l’obbligazione del professionista consiste nel redigere un progetto destinato all’esecuzione e, pertanto, realizzabile, il committente ha diritto di rifiutare il pagamento del compenso al professionista che abbia fornito un’opera irrealizzabile: l’obbligazione di redigere un progetto di ingegneria ha per oggetto un risultato ben definito che è la sua realizzabilità (Cass., 28 gennaio 1995, n. 1040).

Nel caso esposto all’interno del quesito l’opera è realizzabile, ma in maniera diversa da quella che era stata prospettata e sulla quale era stato prestato il consenso unanime.

È pur vero che esiste giurisprudenza di segno contrario, secondo cui l’attività professionale esercitata dal progettista può configurarsi indifferentemente come obbligazione di mezzi ovvero di risultato (Cass., sez. II, 27.5.1997, n. 4704).

Nel caso di specie, sembra sussistere la responsabilità dell’ingegnere, in quanto lo stato di progetto fatto approvare e sottoscrivere ai condòmini riporta una superficie che poi si è scoperto essere diversa da quella reale.

È appena il caso di ricordare che, secondo la Corte di Cassazione (Cass. sent. n. 11667/15), il singolo condomino non può abbassare autonomamente il piano di calpestio del proprio locale: infatti, l’area di superficie posta alla base dell’edificio è di proprietà comune di tutti i condomini (salvo che l’atto di provenienza non disponga diversamente). Pertanto, per ridurre il massetto della proprietà individuale occorre il consenso di tutti i condòmini.

Orbene, se i lavori sono stati approvati all’unanimità, in effetti l’assemblea dei condòmini ha deliberato una modifica della volumetria interna dell’edificio (con conseguente modifica delle tabelle millesimali, se del caso).

La volumetria preesistente costituisce lo standard massimo di edificabilità in sede di ricostruzione. L’intento del legislatore, infatti, è quello di impedire soltanto aumenti della complessiva cubatura degli edifici esistenti, ma non diminuzioni della stessa (cfr. Tar Napoli, sentenza 25 luglio 2014 n. 4265).

Come giustamente affermato nel quesito, lo status quo ante potrebbe dunque essere ripristinato solamente con una decisione ugualmente assunta all’unanimità: e infatti, anche se è vero che i condòmini non erano consapevoli dell’aumento della volumetria del sottotetto, hanno comunque accettato tutti la riduzione delle proprietà individuali di ciascuno.

Atteso dunque che lo stato di progetto non corrisponde alla reale realizzazione dei lavori, posta la sussistenza dell’errore, si potrà agire nei riguardi dell’ingegnere progettista per far valere la sua responsabilità professionale.

Innanzitutto, occorrerà una formale messa in mora (raccomandata a/r oppure pec) in cui si chiede il risarcimento dei danni per via dell’inadempimento al mandato professionale. Solo nel caso di esito negativo del tentativo bonario di risoluzione della controversia si potrà procedere in giudizio.

Posto che la responsabilità dell’ingegnere progettista sembra piuttosto evidente, risultando dal confronto tra lo stato di progetto fatto approvare e la realizzazione finale dei lavori, il problema è dimostrare l’entità del danno subito dalla condotta negligente del professionista.

Nel caso di specie, i condòmini erano consapevoli di ridurre la volumetria del proprio appartamento per favorire l’installazione dei pannelli radianti. Ciò che bisogna dimostrare, dunque, è che l’aumento della volumetria del sottotetto (di cui non si aveva contezza) abbia arrecato un pregiudizio agli altri condòmini.

La conseguenza più percepibile di tale situazione è quella di aver provocato uno scompenso delle tabelle millesimali che rischia di influire sulle future decisioni in assemblea. Ma non solo: la rinuncia a parte della proprietà ha comportato una cessione a favore di terzi che non era voluta; di conseguenza, l’entità del risarcimento potrà essere calcolata sulla scorta proprio della porzione di proprietà ceduta (per il calcolo concreto occorre ovviamente un perito di parte).

Inoltre, dall’affidamento dell’incarico all’ingegnere potrebbe emergere che condizione essenziale della realizzazione dei lavori fosse che le quote millesimali rimanessero invariate a seguito dei lavori.

Dunque, tenuto conto che la giurisprudenza è piuttosto ondivaga circa la natura dell’obbligazione dell’ingegnere progettista (secondo l’orientamento prevalente, trattasi di obbligazione di risultato; secondo altro minoritario, di obbligazione di mezzi), prima di agire in giudizio è sempre opportuno riuscire a provare ogni circostanza, e dunque che:

  • il progetto è difforme all’esecuzione dei lavori;
  • dagli accordi presi non emergeva alcuna cessione di proprietà a favore di uno dei condòmini;
  • eventualmente, condizione dei lavori era che le tabelle rimanessero inalterate;
  • è derivato un danno ai condòmini, consistente nella riduzione della propria capacità decisionale e, comunque, in un impoverimento del valore delle singole proprietà a favore di quella di uno dei condòmini.

In luogo della richiesta di risarcimento, se l’onorario del professionista non è stato ancora pagato, si potrà anche raggiungere un accordo volto a ridurre il compenso dell’ingegnere. E infatti, questi chiederà comunque di essere pagato per il lavoro svolto, soprattutto in ragione della realizzabilità del riscaldamento a pavimento.

Il compenso non sarà dovuto affatto solamente in caso di progetto irrealizzabile o illecito perché non conforme a legge (ma non è questo il caso) oppure se, al momento del conferimento dell’incarico, era stata posta qualche condizione essenziale (a pena di risoluzione dell’intero contratto di mandato) che non è stata rispettata, come ad esempio la condizione che le tabelle millesimali rimanessero inalterate.

Articolo tratto dalla consulenza resa dall’avv. Mariano Acquaviva



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