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Vendite su internet: bisogna dichiararle?

30 Gennaio 2023 | Autore:
Vendite su internet: bisogna dichiararle?

Quando e come sono tassati i proventi delle operazioni di commercio online. Gli adempimenti da rispettare per chi opera abitualmente oppure occasionalmente.

Hai una collezione di giornalini, un vecchio impianto stereofonico, dei mobili che non ti servono più e alcuni oggetti per la casa di cui vuoi disfarti, per fare spazio ed anche per raggranellare qualche soldino. Così hai deciso di metterli in vendita su internet, approfittando di una delle numerose piattaforme, come Ebay, Vinted o Subito.it, per citarne alcune tra le più diffuse, o attraverso i social, come Facebook Marketplace. Sono luoghi di scambio assiduamente frequentati, che ti consentono di pubblicare facilmente la tua inserzione e spesso di trovare un acquirente in tempi rapidi.

Così inserisci le tue inserzioni, corredate di foto e descrittive, e a poco a poco riesci a vendere questi oggetti e a realizzare un piccolo guadagno. A questo punto, però, ti poni una domanda a proposito del gruzzoletto che hai guadagnato: «Bisogna dichiarare le vendite su internet?». Se la risposta è affermativa, dovrai indicare questi proventi nella tua prossima dichiarazione annuale dei redditi. Ma se la vendita diventa abituale e viene fatta a fine di lucro – ad esempio, acquistando e rivendendo prodotti in modalità e-commerce – occorrono degli adempimenti in più, anche ai fini Iva e dei contributi previdenziali da versare. Vediamo quando la vendita di oggetti online diventa fiscalmente rilevante e, dunque, quando le somme ricavate devono essere riportate in dichiarazione ed a quale tipo di tassazione sono soggette.

Venditori episodici, occasionali o abituali

Innanzitutto bisogna stabilire la tipologia del venditore, per inquadrare l’attività svolta ed i proventi realizzati nel corretto regime fiscale. Le cose cambiano molto a seconda che tu venda qualche oggetto una tantum, cioè in maniera del tutto episodica, oppure professionalmente. C’è poi l’ampia “zona grigia” di chi vende non una volta soltanto, ma neppure abitualmente: lo fa occasionalmente, anche come hobby, sentendosi libero su cosa, quando e quanto vendere.

Ebbene, ciascuna di queste tre categorie è assoggettata a un diverso regime fiscale, con un crescente grado di severità degli obblighi imposti e di pesantezza nella tassazione dei proventi ottenuti.

Il venditore una tantum

Se sei un venditore che cede una sola volta i beni usati, che avevi acquistato tempo prima per un uso personale o familiare, non ci sono formalità fiscali preventive o successive e puoi venderli liberamente, sia su internet sia presso un qualsiasi negozio fisico dell’usato. Non dovrai dichiarare nulla al Fisco e non ci saranno adempimenti da porre in essere.

Questa regola vale a prescindere dall’importo che avrai ottenuto dalla cessione. Quello che conta è che non stai svolgendo un’attività commerciale: la tua vendita è del tutto episodica, isolata. Facciamo un esempio

Marco sgombra la sua cantina e trova la vecchia batteria del complesso in cui suonava quando era ragazzo, un tappeto inutilizzato da anni ma di pregio, la carrozzina di suo figlio, ancora in buono stato, molti vecchi dischi in vinile a 33 e a 45 giri e una collezione di Topolino anni ’70. Pone in vendita tutti questi oggetti su e-Bay e trova gli acquirenti. I proventi così realizzati non sono tassabili, anche se alcuni dischi erano rari e molto richiesti e, dunque, gli hanno fruttato parecchio.

I venditori occasionali

Se, invece, la tua attività consiste nell’acquistare e rivendere, anche occasionalmente, oggetti usati, le cose cambiano. In questo caso, le cessioni, anche se sporadiche, sono ripetute nel tempo; avvengono con una certa frequenza, anche se si concretizzano solo poche volte per ogni anno d’imposta.

In questi casi, i corrispettivi incassati dalle vendite sono tassati ai fini Irpef e devono essere indicati nella dichiarazione dei redditi. La loro collocazione rientra nella categoria dei «redditi diversi» previsti dal Testo Unico delle Imposte sui redditi [1], in quanto essi costituiscono «redditi derivanti da attività commerciali non esercitate abitualmente», ma sono comunque imponibili.

Questi proventi sono tassati al netto delle eventuali spese sostenute per la loro «produzione», come quelle di acquisto, riparazione o impiego di materiali per la produzione ed il confezionamento [2]. Per poter diminuire il reddito imponibile delle vendite su Internet, però, tutte le spese devono essere specificamente inerenti e vanno documentate: ad esempio, si potranno dedurre le commissioni applicate dalla piattaforma ed anche le spese di spedizione se sono rimaste addossate al venditore anziché pagate dall’acquirente in aggiunta al prezzo.

Per i venditori occasionali non è previsto, invece, nessun adempimento per le imposte diverse dall’Irpef, come l’Irap o l’Iva. Dunque, non sarà necessario aprire la partita Iva, emettere fattura, tenere libri o registri contabili e presentare la dichiarazione prevista per queste imposte.

Franco è un rigattiere occasionale. Non lo fa per mestiere, ma svolge saltuariamente questo lavoro nei weekend. Così talvolta acquisisce il possesso di oggetti ancora utilizzabili e con un certo valore di mercato: piccoli mobili, abiti usati, attrezzi vari. Li aggiusta quando occorre e poi li mette in vendita su internet. I ricavi incassati da queste vendite costituiranno redditi occasionali e andranno indicati in dichiarazione dei redditi, ma non c’è bisogno di aprire la partita Iva.

I venditori abituali

Il regime fiscale è del tutto diverso per chi svolge un’attività imprenditoriale o commerciale in maniera abituale ed in forma organizzata. In questo caso, il soggetto agisce in modo sistematico e professionale ed è sottoposto a tutti gli obblighi fiscali previsti per le imprese; non solo quelli relativi alle imposte dirette (Irpef, Ires, Irap) ma anche quelli inerenti l’Iva, a partire dalla fatturazione fino alla dichiarazione periodica, con la liquidazione ed il versamento del tributo.

Qui, infatti, c’è l’esercizio di una vera e propria attività di impresa che verrà trattata fiscalmente a tutti gli effetti come tale. Perciò, i ricavi ottenuti attraverso le vendite saranno considerati nell’apposita categoria dei redditi d’impresa [3]. Inoltre il venditore sarà considerato un soggetto Iva e, pertanto, dovrà essere dotato di partita Iva ed emettere la fattura per ogni operazione di compravendita effettuata, applicando l’aliquota prevista per la tipologia dei beni ceduti.

Aldo è un commerciante di abbigliamento e calzature. A fine stagione, mette annunci di vendita online per liberarsi degli stock invenduti, a prezzi scontatissimi, di realizzo. Siccome svolge attività commerciale in maniera abituale, anche i ricavi così ottenuti costituiranno reddito d’impresa. Inoltre, sarà tenuto a riportare i risultati delle operazioni in contabilità ed a fatturare, registrare e dichiarare ai fini Iva tutte le cessioni effettuate.

Vendita di oggetti nuovi o usati: cosa cambia

Come avrai capito, ciò che qualifica il regime fiscale della vendita su internet non è il fatto che gli oggetti siano nuovi o usati, ma piuttosto la qualità del soggetto che pone in essere l’operazione ed il fatto che le vendite siano ripetute nel tempo, anche se con frequenze rare, oppure no. Però, sia pur di riflesso, la natura dei beni rientra in questi aspetti poiché normalmente chi vende in maniera episodica o occasionale, come negli esempi che abbiamo visto, tratterà di regola oggetti usati, mentre chi è un venditore abituale e dunque un commerciante potrà trattare, a seconda del suo tipo di attività, sia beni nuovi sia di seconda o terza mano.

Quindi, il tipo di oggetti commercializzati online può essere un indice per aiutare a capire, nei casi dubbi, se si tratta di una compravendita esercitata in forma occasionale oppure abituale, ma quello che conta per stabilire il discrimine è se la vendita è sistematica e avviene in forma organizzata o, invece, resta occasionale e sporadica. A tal fine l’Agenzia delle Entrate considera come indici rivelatori l’apertura di un proprio sito ed anche l’entità del volume d’affari ricavato: un’attività di vendite su internet che porta ad incassare più di 5.000 euro all’anno viene considerata dal Fisco come svolta allo scopo di produrre un profitto e un’utile, quindi sarà tassata, ai fini Irpef ed Iva, come reddito di impresa commerciale.

Renato è uno studente universitario; quasi tutte le sere nelle ore libere svolge attività di dropshipping, cioè ha un negozio online dove vende prodotti di grido molto richiesti, elettronici ed informatici, senza averli in un suo magazzino, di cui è privo, ma procurandoseli dal suo fornitore. Quando trova gli acquirenti, gli passerà l’ordine e sarà lui a spedirli al destinatario. Siccome questa attività di e-commerce è svolta in maniera stabile, con un sito di riferimento e operazioni svolte in via continuativa, anche se in numero limitato, pur non avendo uno stock di merce fisica e non avendo mai maneggiato gli articoli che vende, Renato è un soggetto Iva e i suoi proventi costituiscono reddito d’impresa.

Vendita online di creazioni artigianali

C’è ancora un importante fenomeno da analizzare per completare il quadro: quello di chi vende su internet le proprie creazioni, prodotti homemade fatti in casa e con le proprie mani. Anche qui i criteri per stabilire il corretto inquadramento fiscale sono gli stessi: contano soprattutto l’abitualità dell’attività e la frequenza delle vendite.

Se il produttore degli oggetti non è un artigiano di mestiere e non opera professionalmente, non dedica cioè a questa attività la maggior parte del proprio tempo e delle proprie risorse, manuali o intellettuali, e non ha bisogno di un costoso laboratorio o di particolari attrezzature, l’attività sarà occasionale e i ricavi delle vendite rientreranno tra i redditi diversi. Quando invece il creatore opera in modo continuativo e propone abitualmente i suoi prodotti in vendita sui portali online, sarà considerato un piccolo imprenditore, sia pure a livello artigianale, e dovrà dotarsi di partita Iva, emettendo fattura per ogni cessione avvenuta. Chiariamo questo concetto con due esempi.

Stefano è un artigiano “a tempo perso” e produce pregevoli statuine in legno e in terracotta, ma senza una frequenza prestabilita. Quando realizza le sue creazioni, le mette in vendita su internet. Questo avviene in media una o al massimo due volte al mese. I proventi dell’attività artigianale di Stefano sono tassabili come reddito d’impresa, perché egli stesso, anche se per hobby, produce comunque beni destinati alla vendita. Inoltre essendo un (piccolo) imprenditore è assoggettato al regime Iva, sia pure in forma semplificata.

Cinzia ama l’uncinetto e realizza dei deliziosi centrini fatti a mano. Con essi ha arredato la sua casa e, talvolta, li ha regalati a parenti e amiche. Ogni tanto, per arrotondare le sue modeste entrate, ne mette in vendita qualcuno su internet. L’attività di Cinzia dal punto di vista fiscale è saltuaria e occasionale; non dovrà dotarsi di partita Iva e le sarà sufficiente riportare i guadagni in dichiarazione come redditi diversi.

Vendite su internet: come cautelarsi fiscalmente

Ora che abbiamo esposto le regole per tutti i principali casi, ti forniamo un consiglio utile per cautelarsi fiscalmente, soprattutto per chi svolge l’attività in forma episodica e potrebbe essere chiamato dall’Agenzia delle Entrate a fornire spiegazioni del ricavato, specialmente se l’accredito è avvenuto su conto corrente o con altri strumenti che rendono tracciabile il pagamento.

Il Fisco infatti ben potrebbe chiedere conto della ragione di questi incassi, e allora è meglio premunirsi conservando la documentazione che prova il fatto che il corrispettivo ricevuto proviene da determinate inserzioni su internet che si sono concluse con delle vendite. Il contratto intercorso con l’acquirente, a seconda dei casi, potrà consistere in una scrittura privata o in un accordo concluso direttamente sulla piattaforma utilizzata (leggi, ad esempio, come funzionano le vendite su e-Bay); qui, potranno costituire valide prove lo “storico” delle transazioni intercorse ed anche l’eventuale chat svolta tra le parti attraverso i sistemi di messaggistica.

Tieni presente che, se rientri nella categoria di venditori abituali, oltre a presentare la normale dichiarazione dei redditi dovrai necessariamente aprire la partita Iva, iscriverti alla Camera di commercio competente per territorio, comunicare l’inizio di attività al Comune con la Scia (Segnalazione Certificata di Inizio Attività) ed iscriversi alla Gestione commercianti Inps, versando i contributi previdenziali Ivs (invalidità, vecchiaia e superstiti) sul minimale, cioè con una quota minima che non dipende dal reddito prodotto.

Vendite su internet in regime forfettario 

La normativa fiscale prevede delle agevolazioni per i rivenditori di beni usati acquistati da privati, come i mobili, gli oggetti d’arte, da collezione o di antiquariato: in particolare, per l’Iva si applica lo speciale regime del margine, che calcola la base imponibile sulla sola differenza tra il prezzo di vendita e quello di acquisto del bene (incluse le eventuali spese di riparazione). In questo modo la tassazione è di gran lunga inferiore rispetto al regime normale.

Nelle vendite su internet, i piccoli imprenditori possono rientrare nel regime forfettario, che abbatte la base imponibile. Dal 2023 può rientrarvi chi non supera gli 85.000 euro di ricavi annui (fino al 2022 il limite era di 65.000 euro) e beneficia della flat tax al 15% (ridotta al 5% nei primi cinque anni di attività). Inoltre, gli artigiani fruiscono di speciali agevolazioni (in proposito leggi “quali sono le tasse per un artigiano”).

Tassazione vendite su internet: vale la buona fede?

In un recente caso, la Corte di Cassazione [4] ha stabilito che i proventi delle vendite su internet sono tassati anche se l’attività viene svolta tra privati. C’è da dire, però, che la vicenda non riguardava un rivenditore occasionale, bensì un commerciante di orologi preziosi usati, il quale non aveva dichiarato l’inizio dell’attività, non aveva emesso le fatture per le operazioni poste in essere e non aveva neppure presentato le relative dichiarazioni annuali dei redditi ed Iva.

Ora che hai appreso tutti i principi in materia, puoi ben comprendere come egli era soggetto a tutti questi obblighi, poiché svolgeva l’attività commerciale con carattere di abitualità. Perciò, l’Agenzia delle Entrate, implacabilmente, ha calcolato i maggiori ricavi conseguiti, li ha accertati (applicando lo studio di settore relativo al commercio al dettaglio di beni usati) e li ha ripresi a tassazione, applicando anche le sanzioni sugli importi evasi.

A nulla è valsa la difesa del contribuente, che aveva sostenuto la propria buona fede e l’irrilevanza fiscale dei trasferimenti di beni realizzati tra privati: la Suprema Corte ha osservato che è sufficiente la coscienza e volontà della condotta realizzata. La colpa – afferma il Collegio – si presume fino alla prova della sua assenza, che va offerta dal contribuente; mentre la prova della buona fede può rilevare, come esimente, solo se l’agente è incorso in un errore inevitabile, per essere incolpevole l’ignoranza dei presupposti dell’illecito e, dunque, non superabile con l’uso della normale diligenza [5]. In altre parole, l’asserita buona fede soggettiva (il contribuente – annota la sentenza – aveva il «convincimento di svolgere un’attività priva di rilevanza fiscale») non conta nulla, a differenza della buona fede oggettiva, cioè una situazione di obiettiva incertezza della norma tributaria, che però in questi casi non può sussistere, in quanto, come hai constatato, la disciplina fiscale delle vendite su internet è abbastanza chiara e si tratta solo di stabilire, in base alla situazione di ciascun contribuente, la corretta categoria di inquadramento.


note

[1] Art. 67 D.P.R. n. 917/1986.

[2] Art. 71, comma 2, D.P.R. n. 917/86.

[3] Art. 55 D.P.R. n. 917/1986.

[4] Cass. ord. n. 26554/20 del 23 novembre 2020.

[5] Cass. sent. n. 2139/20 del 30 gennaio 2020.


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