La riforma dei tributi locali, con la cancellazione della Tasi, ha lasciato gli enti locali liberi di attuare dei ritocchi alla tassa sugli immobili.
Aumenta l’Imu in circa la metà dei Comuni italiani. Secondo i dati elaborati da Bluenext per Il Sole 24 Ore e confrontati con quelli del 2019, 3.775 Comuni hanno aumentato l’aliquota ordinaria, e 4.029 hanno ritoccato anche quella relativa all’abitazione principale, che paga l’imposta nei circa 75mila casi in cui l’immobile è considerato «di lusso» dal catasto. Considerato che i Comuni in Italia sono poco meno di 7.900, la variazione interessa, appunto, la metà degli enti locali.
Tutta colpa della riforma dei tributi comunali, che prevedeva la cancellazione della Tasi per creare un tributo unico sulla stessa abitazione, e della mancanza di risorse per coprire il «buco» finanziario causato da questa riforma. In sostanza, i Comuni che una volta applicavano la tassa sui servizi hanno avuto il «permesso» di aumentare l’Imu per fare cassa e non perdere soldi. Di conseguenza, come spiega questa mattina il quotidiano di Confindustria, l’imposta ha soltanto cambiato nome, senza alleggerire il carico sui proprietari di immobili.
Non ha certo aiutato l’emergenza Covid: la crisi economica e le chiusure obbligatorie hanno avuto delle conseguenze non indifferenti sui bilanci comunali, oltre che su quelli nazionali. Le proroghe attuate sul pagamento delle imposte hanno portato al 31 ottobre il termine per chiudere bilanci preventivi e delibere sui tributi e al 30 novembre la scadenza per la salvaguardia degli equilibri di bilancio. Il termine per la pubblicazione delle delibere Imu sul portale del ministero dell’Economia è slittato dopo il 16 dicembre, data entro la quale va versata l’imposta di quest’anno. Il risultato – conclude Il Sole – è un terzo appuntamento alla cassa, entro il 28 febbraio, per l’eventuale conguaglio del saldo di dicembre se la delibera pubblicata porterà novità.