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Covid: quanto tempo per negativizzarsi?

5 Gennaio 2021 | Autore:
Covid: quanto tempo per negativizzarsi?

Che periodo occorre per escludere la positività al Coronavirus e cosa serve per essere considerati veramente guariti e non più contagiosi?

Il Covid-19 è una malattia ancora nuova e molte cose si stanno scoprendo adesso, praticamente giorno dopo giorno. Una delle domande fondamentali, tuttora aperte, riguarda il tempo entro cui il virus rimane nell’organismo.

Sappiamo che, in molti casi, la malattia può essere presente anche senza manifestare sintomi e allora bisogna capire se e fino a quando il paziente può considerarsi ancora infetto ed anche contagioso. Invece, nei casi conclamati, si tratta di stabilire quando cessa di esserlo, e per fare questo occorre considerare il periodo di insorgenza e di durata dei sintomi tipici dell’infezione, conteggiando i giorni in cui si sono manifestati e il momento in cui sono terminati.

Gli scienziati hanno studiato molto la cosiddetta “persistenza” del Covid e stanno tuttora esplorando il fenomeno. Questa informazione è indispensabile per capire quanto tempo occorre per negativizzarsi ed anche per rispondere alle domande conseguenti, cioè per accertare se ci sono possibilità di reinfezione dopo aver avuto la malattia e per sapere se l’immunità acquisita – attraverso l’infezione oppure dal vaccino – è di lungo periodo oppure no.

Concentrandoci sulla guarigione – almeno quella iniziale – ci sono dei criteri per stabilire a livello convenzionale quando essa è avvenuta. Ma questa risposta è ancora provvisoria e non risponde a tutti i quesiti. Infatti, sappiamo per esperienza che parecchie infezioni virali di altro tipo guariscono apparentemente, ma in alcuni soggetti possono ripresentarsi a distanza di molto tempo dalla prima manifestazione. Pensa alla varicella, che di solito si contrae da giovani ma poi può rimanere latente per decenni e sviluppare, in età adulta o nella vecchiaia, altri fenomeni come l’herpes zoster.

La novità del fenomeno Coronavirus – dalla sua comparsa è passato circa un anno e quindi è mancato un congruo tempo di osservazione – unitamente alla variazione delle risposte immunitarie nei diversi pazienti complicano ancor più la situazione. Tutto questo rende alquanto arduo capire quando il paziente può dirsi guarito e se lo è davvero e definitivamente.

Ma gli studiosi stanno a poco a poco acquisendo gli elementi necessari per esaminare la persistenza virale e l’immunità acquisita; intanto, l’Oms a livello internazionale e il ministero della Salute, in Italia, hanno emanato direttive per stabilire in modo certo, o comunque con buona approssimazione statistica, quando la guarigione può dirsi avvenuta.

Covid: chi è contagioso e per quanto tempo

Scorrendo le Faq del ministero della Salute, nelle risposte alle domande frequenti viene messo subito in evidenza che «il Covid è una malattia nuova, ogni giorno sono disponibili nuove informazioni ma rimangono ancora molti aspetti da chiarire».

Tra i temi su cui ancora ci si interroga c’è la concentrazione di virus necessaria per la trasmissione e la conoscenza esatta dei fattori che determinano il contagio. Invece, sembra acclarato che anche gli asintomatici possono trasmettere il virus. «Le persone che non manifestano mai sintomi possono trasmettere il virus anche se non è ancora chiaro in che misura tale eventualità si verifichi: sono necessari ulteriori studi», spiega il ministero della Salute.

Ma precisamente chi deve essere considerato contagioso e per quanto tempo dura questo stato, che com’è noto comporta l’isolamento del soggetto e la quarantena per coloro che sono entrati in contatto con lui?

Dalle elaborazioni degli esperti sembra assodato che le persone affette da Covid-19 sono più contagiose durante il periodo di manifestazione dei sintomi, ma si sospetta che il periodo infettivo possa iniziare uno o due giorni prima della loro comparsa. Tutto questo vale – avverte il ministero della Salute – «anche se i sintomi sono molto lievi e aspecifici». A partire da questo momento «si stima che il periodo infettivo duri 7-12 giorni nei casi moderati e in media fino a due settimane nei casi gravi».

Quando si trasmette l’infezione

Sui tempi e sui modi di trasmissione del virus il ministero della Salute dice che «sulla base delle attuali conoscenze, la trasmissione del virus avviene principalmente da persone sintomatiche, ma può verificarsi anche poco prima dell’insorgenza della sintomatologia, quando sono in prossimità di altre persone per periodi di tempo prolungati. Le persone che non manifestano mai sintomi possono trasmettere il virus anche se non è ancora chiaro in che misura tale eventualità si verifichi: sono necessari ulteriori studi».

Le evidenze scientifiche che emergono dalle ricerche attuali affermano che, nella maggioranza dei casi osservati, la contagiosità diminuisce in modo netto e drastico dopo 7-10 giorni dalla durata dei sintomi, ma non è ancora chiara e definita la percentuale di “tracce” residue del virus nell’organismo e, dunque, la probabilità di diffusione dell’infezione dopo questo periodo, che rimane del tutto indicativo, anche perché la persistenza può variare da soggetto a soggetto.

Quanto tempo occorre perché il tampone diventi negativo?

Abbiamo appena visto che, in linea approssimativa e generale, la durata della malattia viene fatta praticamente coincidere, a livello clinico, con la durata dei sintomi. Ma questo non basta per poter terminare l’isolamento e riprendere ad uscire, circolare, frequentare altre persone e recarsi al lavoro. Per poterlo fare è necessario munirsi di un accertamento diagnostico che attesti l’avvenuta guarigione.

La guarigione effettiva deve essere “certificata” con un tampone negativo, intendendo come tale quello che, prelevato nelle mucose del naso e della gola del paziente, una volta analizzato in laboratorio non presenta più tracce rilevabili dell’Rna (acido nucleico) che contraddistingue la presenza del virus. Deve trattarsi di un tampone molecolare, non di quello rapido (detto anche antigenico) che fornisce risultati meno attendibili e, perciò, non può essere preso in considerazione ai fini della guarigione “ufficiale”.

Per arrivare a questo essenziale risultato ci sono però tempi differenziati: questo dipende dal fatto che il virus interagisce con il sistema immunitario dell’organismo e con le cure prestate. Perciò, gli esperti del ministero della Salute, ai fini del termine dell’isolamento e, dunque, della data a partire dalla quale il soggetto è considerato guarito e può riprendere le consuete attività, distinguono tra:

  • positivi asintomatici, che possono rientrare in comunità «dopo un periodo di isolamento di almeno 10 giorni dalla comparsa della positività, al termine del quale risulti eseguito un test molecolare con risultato negativo»; dunque, sono “liberi” dopo 10 giorni più il tempo necessario per ottenere il risultato del tampone.
  • positivi sintomatici, che hanno bisogno di 10 giorni di isolamento, nei quali debbono però esserci almeno 3 giorni senza sintomi; al termine di questo periodo si esegue un test molecolare che deve fornire riscontro negativo.

Tra i sintomi tipici, la cui assenza serve per conteggiare i tre giorni dopo i quali ci si può sottoporre al tampone, non rientrano l’anosmia (cioè la perdita dell’olfatto) e l’ageusia o la disgeusia (cioè la perdita o l’alterazione del gusto) perché essi possono avere una persistenza protratta nel tempo.

Quando il tampone non si negativizza

Queste due categorie però non esauriscono la casistica. Ci sono anche i «positivi a lungo termine», definiti dal ministero della Salute come «le persone che, pur non presentando più sintomi, continuano a risultare positive al test molecolare per Sars-Cov2, in caso di assenza di sintomatologia da almeno una settimana».

Costoro «potranno interrompere l’isolamento dopo 21 giorni dalla comparsa dei sintomi», ma non è un termine univoco per tutti perché – prosegue il dicastero «questo criterio potrà essere modulato dalle autorità sanitarie d’intesa con esperti clinici e microbiologi/virologi, tenendo conto dello stato immunitario delle persone interessate» e così diventa variabile e dipendente dalle decisioni assunte dai sanitari. Infatti, qui, bisogna decidere caso per caso: ad esempio, nei pazienti immunodepressi il periodo di contagiosità può essere prolungato rispetto ai 21 giorni standard.

Le regole che abbiamo esposto sono state introdotte in Italia [1] ad ottobre 2020, mutuando le linee guida emanate dall’Oms, ed hanno sostituito il criterio del doppio tampone negativo (i due esami eseguiti ad almeno 24 ore di distanza l‘uno dall’altro) che in precedenza serviva ad attestare l’avvenuta guarigione ed ora non è più necessario, salvi i casi particolari che abbiamo esposto. Leggi anche gli articoli “Tampone Covid: quando bisogna farlo” e “Covid: quale tampone fare a seconda dei casi“.

Covid: quando si guarisce davvero

Avrai capito che sinora, in assenza di dati validi per tutti, la risposta alla domanda che riguarda il momento in cui viene raggiunto il risultato di negatività al tampone non è generale ed univoca ma si gioca su un fattore probabilistico, che in concreto è differenziato e variabile da soggetto a soggetto; mentre non è ancora chiaro per quanto tempo si possa rimanere contagiosi anche dopo.

Perciò il metodo del tampone ci restituisce una guarigione “convenzionale” e come abbiamo visto legalmente accettata per rientrare in comunità, ma non ci offre la garanzia di una guarigione clinica effettiva e completa, dunque senza possibilità di ricadute.

Il virus, insomma, potrebbe ancora esserci e, in tal caso, potrebbe manifestarsi di nuovo. Uno studio italiano che si è occupato dello “strano caso dei guariti positivi” afferma che si può rimanere positivi al Covid 19 anche dopo aver ottenuto l’esito negativo del tampone ed ha riscontrato che questo dato emerge concretamente in quasi un caso su cinque (precisamente, il 16,7% degli esaminati).

Questo significa che una quota rilevante di soggetti considerati ufficialmente guariti potrebbe essere ancora, in realtà, portatrice del virus, ma non è ancora stato accertato se questi individui apparentemente sani siano anche in grado di contagiare altre persone.

Sembra che nel caso del Covid, come anche per le altre malattie infettive, tutto dipenda dalla “carica virale” cioè dalla concentrazione delle particelle del virus nell’individuo: se è rilevante questo incide sulla possibilità del Sars-Cov2 di replicarsi e di essere infettivo, altrimenti se è trascurabile ciò non avviene e allora una modestissima quantità permane in alcune cellule senza più rappresentare un problema per sé e per gli altri.

Tuttavia, ad oggi, ancora non si conosce a quanto ammonta l’esatto livello della carica virale al di sotto del quale si può con sicurezza essere considerati non contagiosi e neppure si è capito in quali parti del corpo il virus possa “nascondersi” sfuggendo all’esito del test molecolare rino-faringeo, che esamina il tratto del naso e della gola, cioè quello dove più comunemente il virus è presente e manifesta l’infezione in atto. Perciò a livello empirico, ci si accontenta dell’esito del tampone negativo.

Tra le altre questioni ancora aperte c’è quella se di Covid ci si può riammalare dopo averlo avuto: alcuni casi esaminati fanno propendere per il sì, ma i numeri sono ridotti (si parla di percentuali al di sotto del 2%) e il fenomeno deve essere meglio esplorato, analizzando il livello di anticorpi raggiunto dall’organismo e la loro durata e stabilità.

Si tratta, anche in questo caso, di un valore variabile da persona a persona, in base alla risposta immunitaria di ciascun individuo, che è piuttosto difficile da calcolare e generalizzare. Intanto, sembra certo che anche chi ha già avuto il Covid si dovrà vaccinare per diventare stabilmente immune e, dunque, quasi sicuro di non contrarre nuovamente l’infezione.


note

[1] Ministero della Salute, circolare n. 32850 del 12 ottobre 2020.


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