Contagio Covid sul luogo di lavoro: sono stato ricoverato in ospedale e attualmente sono in infortunio Inail. È possibile una richiesta di risarcimento danni al datore di lavoro, secondo l’art. 2087 codice civile?
Tutti i lavoratori assicurati Inail, del settore pubblico e privato, che abbiano contratto il contagio da Covid-19, in occasione di lavoro, hanno diritto all’indennità Inail, visto che l’infezione Covid-19 è considerata a tutti gli effetti infortunio sul lavoro.
In particolare, ai sensi dell’articolo 42, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, “nei casi accertati di infezione da coronavirus (Sars- CoV-2) in occasione di lavoro, il medico certificatore redige il consueto certificato di infortunio e lo invia telematicamente all’Inail che assicura, ai sensi delle vigenti disposizioni, la relativa tutela dell’infortunato. Le prestazioni Inail nei casi accertati di infezioni da coronavirus in occasione di lavoro sono erogate anche per il periodo di quarantena o di permanenza domiciliare fiduciaria dell’infortunato con la conseguente astensione dal lavoro”.
L’Inail ha precisato che il termine iniziale per l’erogazione dell’indennità decorre dal primo giorno di astensione dal lavoro attestato da certificazione medica per avvenuto contagio, ovvero dal primo giorno di astensione dal lavoro coincidente con l’inizio della quarantena, sempre per contagio da nuovo coronavirus (contagio che può essere accertato anche successivamente all’inizio della quarantena), computando da tali date i giorni di franchigia ai fini del calcolo della prestazione economica per inabilità temporanea assoluta al lavoro.
Trattandosi di inabilità temporanea assoluta, in termini economici, l’indennità è pari al 60% della retribuzione media giornaliera fino al 90° giorno, e al 75% della retribuzione media giornaliera dal 91° giorno fino alla guarigione clinica. Il datore di lavoro è tenuto a corrispondere l’intera retribuzione per il giorno dell’infortunio, ed il 60% nei successivi 3 giorni, salvo migliori condizioni contrattuali.
La tutela Inail appena descritta non deve essere confusa con l’eventuale diritto al risarcimento del danno a seguito di responsabilità civile o penale del datore di lavoro. I due istituti non hanno alcun legame, come chiarito anche da una recente circolare dell’Inail (circolare n. 22/2020), ove si legge: “Il riconoscimento cioè del diritto alle prestazioni da parte dell’Istituto non può assumere rilievo per sostenere l’accusa in sede penale, considerata la vigenza del principio di presunzione di innocenza nonché dell’onere della prova a carico del Pubblico Ministero. Così come neanche in sede civile l’ammissione a tutela assicurativa di un evento di contagio potrebbe rilevare ai fini del riconoscimento della responsabilità civile del datore di lavoro, tenuto conto che è sempre necessario l’accertamento della colpa di quest’ultimo nella determinazione dell’evento”.
La Corte di Cassazione ha recentemente ribadito che “l’articolo 2087 cod. civ. non configura, infatti, un’ipotesi di responsabilità oggettiva, essendone elemento costitutivo la colpa, intesa quale difetto di diligenza nella predisposizione delle misure idonee a prevenire ragioni di danno per il lavoratore. Né può desumersi dall’indicata disposizione un obbligo assoluto in capo al datore di lavoro di rispettare ogni cautela possibile e diretta ad evitare qualsiasi danno al fine di garantire così un ambiente di lavoro a “rischio zero”, quando di per sé il pericolo di una lavorazione o di un’attrezzatura non sia eliminabile, neanche potendosi ragionevolmente pretendere l’adozione di strumenti atti a fronteggiare qualsiasi evenienza che sia fonte di pericolo per l’integrità psicofisica del lavoratore, ciò in quanto, ove applicabile, avrebbe come conseguenza l’ascrivibilità al datore di lavoro di qualunque evento lesivo, pur se imprevedibile ed inevitabile […]; non si può automaticamente presupporre, dal semplice verificarsi del danno, l’inadeguatezza delle misure di protezione adottate, ma è necessario, piuttosto, che la lesione del bene tutelato derivi causalmente dalla violazione di determinati obblighi di comportamento imposti dalla legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche in relazione al lavoro svolto” (Cass. n.3282/2020).
In ipotesi di diffusione del Covid tra i lavoratori, è possibile affermare la responsabilità del datore di lavoro ai sensi dell’art. 2087 c.c., qualora si dimostri che questi ha violato, con dolo o colpa, le misure di contenimento del rischio di contagio di cui ai protocolli o alle linee guida regionali e nazionali. Difatti, l’articolo 1, comma 14, del decreto-legge 16 maggio 2020, n.33, statuisce che “le attività economiche, produttive e sociali devono svolgersi nel rispetto dei contenuti di protocolli o linee guida idonei a prevenire o ridurre il rischio di contagio nel settore di riferimento o in ambiti analoghi, adottati dalle regioni o dalla Conferenza delle regioni e delle province autonome nel rispetto dei principi contenuti nei protocolli o nelle linee guida nazionali. In assenza di quelli regionali trovano applicazione i protocolli o le linee guida adottati a livello nazionale”.
Inoltre, ai sensi dell’art. 29bis del Decreto liquidità (convertito in Legge n. 40/2020): “Ai fini della tutela contro il rischio di contagio da COVID-19, i datori di lavoro pubblici e privati adempiono all’obbligo di cui all’articolo 2087 del codice civile mediante l’applicazione delle prescrizioni contenute nel protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del COVID-19 negli ambienti di lavoro, sottoscritto il 24 aprile 2020 tra il Governo e le parti sociali, e successive modificazioni e integrazioni, e negli altri protocolli e linee guida di cui all’articolo 1, comma 14, del decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33, nonché mediante l’adozione e il mantenimento delle misure ivi previste. Qualora non trovino applicazione le predette prescrizioni, rilevano le misure contenuti nei protocolli o accordi di settore stipulati dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”.
Alla luce di quanto precede, oltre all’indennità Inail, il lettore può agire contro il datore di lavoro, per il risarcimento del cosiddetto “danno differenziale” (dato appunto dalla differenza tra quanto versato dall’Inail a titolo di indennizzo per infortunio sul lavoro e quanto dovuto, appunto, a titolo di risarcimento del pregiudizio subìto per effetto della responsabilità del datore di lavoro). Tuttavia, la risarcibilità del danno differenziale, non è automatica, ma presuppone:
- la prova del danno biologico;
- la prova della violazione, per colpa o dolo, da parte del datore di lavoro, dell’obbligo di adozione di misure idonee per la tutela della salute dei lavoratori e, più precisamente, della violazione delle linee guida e dei protocolli previsti a livello nazionale – regionale, nonché del protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del Covid-19 negli ambienti di lavoro, sottoscritto il 24 aprile 2020 tra il Governo e le parti sociali, e successive (consultabile cliccando qui);
- la prova del nesso causale tra il danno biologico e la responsabilità del datore di lavoro.
Articolo tratto da una consulenza dell’avv. Maria Monteleone