Il dubbio insinuato dalle mutazioni è che possano rendere inefficace il vaccino. Un’ipotesi sulla quale sono in corso analisi di laboratorio.
E se il Coronavirus, mutando, diventasse qualcosa di diverso rispetto alla malattia per la quale si è messo a punto il vaccino? Molti esperti, a questa domanda, hanno risposto che non è una prospettiva concreta al momento, ma si sta cercando di saperne di più.
L’azienda tedesca BionTech, per esempio, ha avviato dei test in laboratorio per saggiare l’efficacia del suo vaccino, realizzato insieme all’americana Pfizer, sul virus mutato nella cosiddetta variante sudafricana. Serviranno, però, settimane per venirne a capo.
Intanto, di variante, ce n’è ormai più di una ed è quasi certo che aumenteranno, dal momento che è stato già osservato come, diffondendosi, il Covid muti.
La preoccupazione sta crescendo non solo per l’aspetto vaccino, ma perché è documentato come la variante renda spesso il virus più contagioso. Non di per sé anche più letale, ma è ovvio che se i contagi aumentano, aumenta di conseguenza anche la probabilità che il virus possa uccidere.
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La variante sudafricana
L’ultima emersa, in ordine di tempo, è la variante sudafricana (501.V2), scoperta a novembre. Non è ancora chiaro se sia originaria del Paese o di importazione. Quello che si sa, al momento, è che chi contrae il virus con questa mutazione ha, in genere, una carica virale più alta.
Si ipotizza possa essere più contagiosa anche della variante inglese, non è però più pericolosa di per sé, nel senso che non rende automaticamente il virus più aggressivo. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), «Non ci sono prove chiare che la nuova variante sia associata a forme di malattia più gravi o a esiti peggiori».
Resta il problema di cui sopra: se davvero fosse più contagiosa, attecchirebbe su un numero di persone con patologie o in età avanzata, dunque più fragili ed esposte a maggiori rischi.
La variante inglese
Appena prima della mutazione proveniente dal Sudafrica o comunque scoperta in Sudafrica, è stato il turno della variante inglese (B.1.1.7). A confermarne la maggiore contagiosità, la curva dei contagi in Gran Bretagna: da due giorni, i contagi giornalieri non scendono sotto quota cinquantamila.
Ieri sera, il premier Boris Johnson ha parlato al Paese, che si avvia al terzo lockdown e potrebbe andare avanti fino a primavera. La variante riguarda la posizione della «501» della proteina Spike, quella che il virus usa per agganciarsi alle cellule umane e infettarle ed è acclarato che questo tipo di mutazione rende il virus più contagioso.
Non si hanno però ancora certezze sull’eventualità che, chi contrae il virus in questa forma, una volta vaccinato, non produca anticorpi. Il timore c’è, molti esperti sono scettici, ma evidenze scientifiche, in un senso o nell’altro, non ci sono. L’unica certezza è che è molto diffusa, presente in 33 Stati del mondo tra cui l’Italia.
La variante italiana
È stata chiamata N501T: la variante italiana. Scoperta di recente da Arnaldo Caruso dell’università di Brescia e da Massimo Ciccozzi del Campus Biomedico di Roma, potrebbe essere stata presente nel nostro Paese fin da agosto. Il caso che permise di isolarla era quello di un paziente che rimase positivo e asintomatico per mesi.
È simile alla variante inglese e a quella sudafricana, perché la variazione è sempre nella posizione 501. Per questo si è ipotizzato un legame e che la variante inglese fosse una derivazione di quella italiana, ma si sa ancora molto poco di questa mutazione. Non c’è, tra l’altro, alcun test in corso per dire se renda il virus più contagioso.
La variante dei visoni
Qualche mese fa, scattò l’allarme perché in un allevamento di visoni, in Danimarca, si era osservata una nuova variante del Covid (chiamata tecnicamente «cluster 5») poi contratta da una decina di agricoltori. Fu in quel momento, per la prima volta, a vaccino ancora in corso di sperimentazione, che ci si interrogò sull’eventualità di una sua inefficacia contro le mutazioni.
Alla fine, il problema non si è posto: il numero di persone infettate è molto più ristretto di quante si pensava inizialmente. A novembre, il Governo danese ha annunciato che il cluster 5 era stato annientato e che i visoni risultavano essere l’unico animale in grado di contrarre il virus con quella mutazione e poi contagiare l’uomo.
Prima, è stato ordinato l’abbattimento di circa 15 milioni di esemplari; poi, in queste ultime settimane, l’annuncio di voler cremare i visoni abbattuti, perché si teme che possano contaminare le falde acquifere e, dunque, espandere il contagio.
La variante europea
La prima variante che abbiamo conosciuto è quella cosiddetta europea (D614G), diversa dal virus osservato per la prima volta a Wuhan. È responsabile della seconda ondata di Coronavirus, dove il numero dei contagi è aumentato.
Da approfondimenti scientifici, si ritiene che sia 13 volte più contagiosa di quello che in particolare l’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump amava definire «virus cinese». Anche qui: nessuna maggiore pericolosità intrinseca. Ma va da sé che, se il virus aumenta la sua capacità di replicarsi, aumentano anche ricoverati e morti.