Inammissibili le impugnazioni penali inviate a mezzo posta elettronica certificata: le norme emergenziali consentono questa modalità solo nei processi civili.
Arriva la prima interpretazione della Corte di Cassazione sulla normativa emergenziale Covid per le impugnazioni penali e la decisione è molto rigida: il ricorso penale inviato via Pec è considerato inammissibile.
Per la Suprema Corte, come si legge nella sentenza depositata oggi [1], la posta elettronica certificata costituisce un «mezzo non consentito» in quanto in materia di impugnazioni penali «vige il principio di tassatività ed inderogabilità delle forme stabilite per la presentazione del ricorso [2] e la loro inosservanza «è sanzionata a pena di inammissibilità» [3].
Per i giudici di piazza Cavour «con riferimento al processo penale in generale, non è consentito alla parte privata l’uso della Pec per la trasmissione dei propri gli atti alle altre parti né per il deposito presso gli uffici», mentre la cancelleria può utilizzarlo per le comunicazioni richieste dal Pm e per le notificazioni disposte nei confronti dei difensori.
Gli Ermellini respingono anche l’equiparazione del valore legale della Pec a quello della raccomandata postale con ricevuta di ritorno [4] a motivo della «persistente mancanza nelle disposizioni che regolamentano il processo penale, a differenza di quanto previsto per il processo civile, di una norma che consenta l’inoltro in via telematica degli atti di parte».
E questi principi non vengono scalfiti neppure dalla normativa emergenziale emanata per contrastare la pandemia di Covid-19 in quanto – spiega il Collegio – il Decreto Cura Italia [5] «ha previsto tale possibilità solo per i ricorsi civili», tant’è che la sentenza ricorda come già in numerose altre precedenti pronunce «sono stati dichiarati inammissibili i ricorsi per Cassazione proposti a mezzo Pec nel periodo di vigenza delle indicate disposizioni emergenziali».
A tal proposito, la Suprema Corte – che ha deciso il caso nell’udienza del 30 ottobre scorso, ma la sentenza è stata pubblicata solo oggi – sottolinea anche l’irrilevanza del più recente “Decreto Ristori” [6] richiamando un orientamento già espresso [7] in base al quale esso ha «natura non derogante» delle disposizioni codicistiche e, dunque, «trova applicazione esclusivamente in relazione agli atti di parte per i quali il Codice di procedura penale non disponga specifiche forme e modalità di presentazione».
note
[1] Cass. Sez. I Penale, sent. n. 487/21 del 8 gennaio 2021.
[2] Artt. 582 e 583 Cod. proc. pen.
[3] Art. 591, lett. c), Cod. proc. pen.
[4] Art. 48 D.Lgs. n. 82/2005 (Codice dell’Amministrazione Digitale).
[5] Art. 83, comma 11 bis, D.L. n.18/2020, convertito, con modificazioni, in Legge n.24/2020.
[6] Art. 24, comma 4, D.L. 28 ottobre 2020, n.137.
[7] Cass. Sez. I Penale, sent. n. 32566/20 del 3 novembre 2020.