Se smetto di pagare Iva e Irpef cosa rischio? Conseguenze civili e penali, il pignoramento.
Un nostro lettore, stretto dalle difficoltà economiche e nell’impossibilità di pagare le tasse, ci chiede cosa succederebbe se smettesse di versare, all’Agenzia delle Entrate, l’Iva e l’Irpef collegati alla sua attività di imprenditore individuale. Lo stesso è sposato in regime di comunione dei beni e, al momento, è proprietario di un immobile che è anche abitazione principale. Il suo timore è che il Fisco possa chiudergli la partita Iva e pignorargli la casa e l’autocarro utilizzato per lavoro.
Cosa prevede la legge? Gli eventuali debiti contratti con lo Stato possono passare in capo ai figli? Chi non paga le tasse può essere arrestato? Ecco alcuni chiarimenti che serviranno a chiunque si trovi nell’impossibilità di pagare le tasse e che versi in una condizione simile a quella del lettore.
Indice
Non pagare le tasse è reato?
Partiamo dall’aspetto penalistico. Non pagare le tasse non è reato se non si superano determinate soglie stabilite dalla legge.
Per quanto riguarda l’Irpef e l’Ires, il reato scatta se sussistono entrambi questi due presupposti:
- l’evasione di imposta è superiore a 30mila euro per ogni singola annualità;
- l’ammontare complessivo degli elementi sottratti all’imposizione è superiore al 5% dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione. O, comunque, è superiore a 1,5 milioni di euro.
Per quanto invece riguarda l’Iva, il reato scatta in caso di evasione superiore a 150mila euro per singola annualità.
In entrambi i casi, sarà sempre meglio inviare la dichiarazione dei redditi, la dichiarazione Iva e il modello 770. Difatti, chi non provvede a tali adempimenti viene punito penalmente se l’imposta evasa supera solo 50 mila euro.
Al di sotto di queste soglie, non pagare le tasse non è reato ma implica solo l’applicazione di sanzioni di carattere tributario (che faranno chiaramente lievitare il debito con lo Stato) e l’avvio delle procedure di riscossione forzata di cui parleremo a breve.
Impossibilità a pagare le tasse: quali conseguenze?
A prescindere dalla sussistenza dei presupposti penali appena illustrati, il mancato pagamento delle tasse implica sempre l’iscrizione a ruolo del credito da parte dell’Agenzia delle Entrate e la delega delle operazioni di riscossione ad Agenzia Entrate Riscossione. Quest’ultima notificherà una cartella esattoriale per chiedere il pagamento entro 60 giorni, pena l’avvio delle procedure esecutive.
Attenzione però: se non è in contestazione l’ammontare delle imposte non versate (perché le stesse sono state correttamente quantificate nella dichiarazione dei redditi), prima della cartella il contribuente non riceve alcun avviso di accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate.
Altro aspetto a cui prestare attenzione sono i tempi. Prima dell’arrivo della cartella, possono passare diversi anni. I termini di prescrizione per le imposte dirette sono di 10 anni e, di solito, gli uffici dell’amministrazione finanziaria si muovono con estremo ritardo.
È escluso che il Fisco possa “bloccare” la partita Iva a chi non paga le tasse, impedendogli così di continuare a lavorare.
Pignoramento della casa per chi non paga le tasse
Una volta notificata la cartella esattoriale, l’Agente per la riscossione può avviare le procedure esecutive. Potrà iscrivere ipoteca sulla casa, anche se si tratta dell’abitazione principale, solo a condizione che il debito maturato sia superiore a 20mila euro. L’ipoteca non impedisce di utilizzare l’immobile né di venderlo, anche se difficilmente sarà possibile trovare un interessato.
Se si tratta dell’unico immobile di proprietà del debitore, adibito a civile abitazione e luogo di residenza, non di lusso, non è possibile il pignoramento (è il cosiddetto divieto di pignoramento della prima casa). È necessario però che il contribuente non sia titolare di altri immobili, neanche per una minima quota. Dovrebbe quindi guardarsi bene, in futuro, dall’acquistarne di nuovi o dall’accettare eredità che implichino l’acquisizione di quote in immobili.
Per evitare l’ipoteca, il debitore potrebbe intestare l’immobile ai figli o alla moglie, previa separazione dei beni. Ma in questi casi c’è il rischio che vada incontro a un’incriminazione per sottrazione fraudolenta alle imposte, che scatta quando il debito Irpef è superiore a 50mila euro e si renda più difficoltoso all’Erario il recupero dei propri crediti (come nel caso di chi si spogli dell’unico immobile di proprietà).
Pignoramento del conto e fermo auto
Nell’impossibilità di pignorare la prima casa, l’Agente per la riscossione potrebbe procedere al “blocco” del conto corrente per una misura pari all’importo del debito riportato nelle cartelle esattoriali. Se anche il conto dovesse essere “vuoto” nel momento in cui arriva il pignoramento, lo stesso però resterebbe soggetto al pignoramento, sicché tutti i pagamenti che dovessero arrivare nei 60 giorni successivi alla notifica del pignoramento, verrebbero appresi da Agenzia Entrate Riscossione.
Nel caso invece del lavoratore dipendente, il conto resta bloccato sino a quando il debito non viene saldato. Tuttavia, in questo caso, la banca dovrà lasciare al debitore i quattro quinti di ogni mensilità versata dal datore di lavoro.
Quanto al fermo auto questo non è possibile sull’autocarro e sui veicoli strumentali all’esercizio dell’attività. Resta invece sempre possibile sull’auto privata, anche se di scarso valore.
I debiti con il Fisco si trasferiscono sui figli
I debiti lasciati dal contribuente si trasferiscono, alla sua morte, sui figli che accetteranno l’eredità. Per evitare che il patrimonio del contribuente vada disperso a seguito della rinuncia da parte dei suoi eredi, i coniugi potrebbero optare per una separazione dei beni intestando alla moglie i beni che si intende lasciare in eredità, in modo che i relativi eredi non siano costretti a rinunciarvi.