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Perché la legge è incomprensibile?

13 Gennaio 2021 | Autore:
Perché la legge è incomprensibile?

Le ragioni per cui il legalese è poco chiaro e non si lascia comprendere dal cittadino.

Se vi chiedo perché la legge è incomprensibile sono sicuro che molti di voi, fedeli alle teorie del complotto, diranno che è una scelta consapevole del Parlamento, costituito in gran parte da avvocati, per tenere il cittadino nell’ignoranza, dominarlo, controllarlo e obbligarlo a servirsi di legali e notai. 

Quello che non mi spiego è come si possa credere più facilmente a tesi così strampalate che non alla realtà. Probabilmente, perché la realtà richiede documentazione e conoscenza, mentre le teorie del complotto solo un bel po’ di immaginazione. E quella non manca a nessuno.

Una cosa è certa: dire che la legge è incomprensibile è un controsenso. E questo per due ragioni. La prima: se è vero che la nostra è una democrazia del popolo, il senso alla legge lo dovrebbe dare il popolo e non il burocrate. Eppure, avviene il contrario. La seconda: se è vero che la legge non scusa l’ignoranza e che, in caso di violazione, ad andarci di mezzo è il cittadino e non il suo avvocato o il commercialista, è anche giusto che il suo lessico sia da tutti comprensibile. Ma sappiamo tutti che non è così.

Tutto risale agli antichi romani, quando i ricchi, ben impegnati nei loro trastulli, avevano affidato la gestione dei propri affari a una classe di esperti, appunto gli avvocati. Che evidentemente, una volta acquisito il potere, non lo hanno più lasciato.

Stabilire però oggi perché la legge è incomprensibile richiede innanzitutto coscienza e conoscenza del fenomeno, per poi risalire alle cause. Cercherò qui di seguito di essere più preciso e di spiegarvi quali sono, a mio avviso, le ragioni che rendono le norme del nostro ordinamento poco chiare. 

La terminologia

La prima fonte di difficoltà nel comprendere la legge è la terminologia da questa usata. Il vocabolario, come sappiamo, si vale di sinonimi. Non invece il diritto che ad ogni parola collega un solo significato. E la ragione è facilmente comprensibile: serve per non lasciare incertezze. 

Facciamo un esempio. Il concetto di residenza, di domicilio, di abitazione e di dimora vengono, nel linguaggio corrente, usati in modo indistinto. Invece, per il diritto hanno uno specifico significato che chiaramente non può che essere diverso l’uno dall’altro. 

Ecco un altro esempio: i termini proprietà e possesso che, per il diritto, sono due cose diverse. Ma anche la parola parenti che per la gente comprende anche i cognati mentre tecnicamente questi ultimi sono solo affini.

È chiaro allora che chi non conosce la terminologia tecnica – e quella si studia prevalentemente nei corsi universitari – avrà difficoltà a comprendere il significato delle norme. 

Cosa può fare il cittadino per colmare questa lacuna? Potrebbe ad esempio comprare un vocabolario giuridico, un testo che serve per comprendere il linguaggio giuridico. Ve ne sono di diversi in giro e sono di solito usati dagli universitari, i primi che si affacciano a questo incomprensibile mondo del legalese.

I richiami

Spesso, il legislatore, per regolamentare un determinato aspetto, si limita a richiamare altre norme, a volte prese in prestito da un contesto completamente diverso. Così, un articolo richiama altri articoli, che a loro volta richiamano altri articoli a ancora. Sembra quasi una caccia al tesoro.

Prima di internet, andare a trovare queste norme era un lavoro certosino, che non tutti erano in grado di fare, ancor meno il cittadino. Questo ovviamente ha creato dei grossi gap culturali. Oggi, invece, con il web esistono le banche dati online e chiunque è in grado di risalire a una normativa, anche se datata. Tuttavia, questa tecnica legislativa non agevola certo la fruibilità dei testi di legge. 

Le norme si modificano nel tempo

Non tutte le norme che si trovano in circolazione sono in vigore. La regola vuole che la norma successiva, in contrasto con quella precedente, la cancelli ossia la abroghi.  

Come fare a stabilire quindi se una norma è ancora valida ed efficace? In alcuni casi, l’intervenuta abrogazione viene annotata a margine dell’articolo non più in vigore. Ma ciò avviene solo quando l’abrogazione è espressa, ossia quando una norma dice chiaramente «È abrogata la legge… o l’articolo numero…». L’abrogazione però può essere anche tacita: ciò avviene quando vi è una semplice incompatibilità tra due discipline opposte, di cui l’una è successiva all’altra. In questi casi, solo un giudice può stabilire quale norma è in vigore. Il che significa trovarsi già in causa. 

Le norme cambiano nel tempo non solo quando vengono abrogate ma anche perché è diversa la loro interpretazione. L’incertezza del diritto è dovuta soprattutto a questo. Si pensi all’evoluzione del concetto «mezzi adeguati», in assenza dei quali l’ex coniuge può vantare il diritto all’assegno di divorzio. La Cassazione ha oggi ribaltato un orientamento stabile per oltre 30 anni, determinando che i mezzi adeguati oggi sono solo lo stretto indispensabile per vivere. 

Certo, un po‘ di incertezza nella formulazione delle norme ci vuole: è sintomo di dinamismo del diritto che si adegua ai tempi, ma il troppo storpia.

La vocazione all’autoreferenzialità 

Vi voglio svelare una cosa che potrà lasciarvi di stucco. Le nostre leggi non le scrivono mica i parlamentari. E lo credo bene: non hanno le competenze per farlo. In Parlamento ci vanno i politici che, a volte, non hanno alcuna conoscenza della legge, almeno nei suoi aspetti più specifici. 

La redazione dei corpi normativi è allora affidata a tecnici del settore. Così, se si deve fare un testo di legge in materia fiscale si chiameranno gli esperti del diritto tributario o gli stessi comandanti della finanza. Se si deve emanare una norma in materia di materiali pericolosi si procederà convocando gli specialisti del campo. E così via. 

Ebbene, tanto più le persone sono “tecniche” tanto più hanno un linguaggio autoreferenziale, per niente fruibile. È una sorta di autocompiacimento, se vogliamo, di un ceto intellettuale. 

Compromessi politici

Un colpo al cerchio e un colpo alla botte. Anche questa è la politica. Lo chiamano “compromesso”, ma è un abile modo per non scontentare nessuno. Certo, questo da un lato fa sì che le leggi non siano assolutistiche e spesso svantaggiose per molti, ma la conseguenza è che, tra tante eccezioni e deroghe, le norme siano tutt’altro che chiare. Così i confini restano volutamente incerti, nebulosi. Si usano termini generici, molto generali e astratti. Il legislatore, così facendo, lascia la patata bollente al giudice che poi dovrà decidere il singolo caso. E qui il caos. Perché ogni giudice, in assenza di indicazioni da parte del legislatore, ha la sua interpretazione del linguaggio. 

L’incompetenza 

Dulcis in fundo, come dicevano i latini, c’è l’incompetenza di alcuni autori. Ho detto che le norme le redigono i tecnici. Ma non sempre. A volte, viene dato spazio a giovani che non hanno alcuna esperienza nel campo. Tant’è che ne escono norme che, dopo poco, vengono subito modificate o addirittura portate dinanzi alla Corte Costituzionale. È chiaro che chi scrive una norma incostituzionale non conosce la Costituzione e meriterebbe di tornare alle scuole superiori. 

Il diritto è il linguaggio in cui le norme si esprimono, quindi per giudicare se è buono o cattivo basta guardare la qualità delle norme. Mi viene in mente la nostra Costituzione nel 1946 che, seppur già approvata, prima di essere pubblicata fu sottoposta al vaglio di un illustre linguista dell’epoca per verificare se i termini erano comprensibili.

Ecco perché, come in tutti i campi, per avere un futuro migliore bisogna studiare. Perché la legge, prima ancora di essere uguale per tutti, deve essere di tutti. 



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