Il dipendente può ottenere il Trattamento di fine rapporto se si licenzia volontariamente? Che succede se invece il datore di lavoro fallisce?
Un nostro lettore ci chiede cosa può succedere al proprio Tfr se dovesse firmare le dimissioni volontarie piuttosto che subire il licenziamento da parte della ditta. Potrebbe comunque pretendere il pagamento da parte del datore di lavoro? In secondo luogo, ci chiede cosa succederebbe se l’azienda dovesse fallire e, per tale ragione, non fosse più nelle condizioni di pagare le somme maturate dal dipendente a titolo di trattamento di fine rapporto.
Cerchiamo di fare il punto della situazione.
Il lettore confonde la disciplina del Tfr con quella dell’assegno di disoccupazione, la cosiddetta Naspi. Solo per quest’ultima, infatti, non è possibile invocare il diritto alla corresponsione delle somme riconosciute dall’Inps in caso di dimissioni volontarie. La Naspi, infatti, spetta solo a chi perde involontariamente il posto, sia che ciò sia determinato dal licenziamento che da dimissioni dovute a giusta causa (è il caso, ad esempio, di chi non vede pagato il proprio stipendio o subisce mobbing).
Al contrario di quanto avviene con l’assegno di disoccupazione, il Tfr invece spetta sempre al dipendente, a prescindere dalla causa di risoluzione del rapporto di lavoro. E ciò vale sia per il Tfr accantonato in azienda che in appositi fondi. Quindi, il dipendente che si dimette piuttosto che essere licenziato, ha diritto ad ottenere immediatamente il trattamento di fine rapporto che ha maturato durante l’esecuzione del contratto di lavoro. Si tratta, più o meno, di una somma corrispondente a una mensilità per ogni anno lavorato. Quindi, per una persona che abbia prestato servizio per 10 anni, il Tfr sarà pari a circa 10 mensilità di stipendio base.
Il versamento del Tfr deve avvenire all’atto stesso della formalizzazione delle dimissioni, secondo la nuova procedura telematica prevista dalla legge. Il datore non può cioè giustificare il ritardo o un pagamento rateale solo per via dell’entità dell’importo maturato dal lavoratore. Naturalmente, nulla esclude un accordo diverso tra le parti. Il lavoratore cioè potrebbe concordare una corresponsione in più rate piuttosto che agire in giudizio contro l’azienda e attendere i tempi del tribunale.
Ovviamente, il dipendente non ha il diritto di ricevere il Tfr, o meglio ha diritto a riceverne soltanto una parte, se ha già richiesto un’anticipazione. In via generale, è possibile anticipare sino al 70% del trattamento maturato, se l’anzianità lavorativa è pari almeno a 8 anni, nel caso in cui il lavoratore debba sostenere spese sanitarie per sé o per i familiari, acquistare la prima casa per sé o per i figli, fruire di congedo parentale o per formazione.
Vediamo ora che succede al Tfr del lavoratore se il datore di lavoro dovesse fallire. In tali casi, con la procedura di fallimento, vengono nominati dal tribunale un giudice delegato e un curatore, a cui i creditori dovranno far pervenire le prove dei rispettivi crediti con le relative richieste di pagamento.
Anche il lavoratore può insinuarsi alla procedura per ottenere le ultime tre mensilità non corrisposte dal datore e il Tfr. Se però le tre mensilità vengono riscosse solo nella misura in cui il curatore riesca a recuperare un attivo dal patrimonio aziendale (ad esempio, tramite la vendita dei beni rimasti o la riscossione dei crediti), il Tfr viene sempre pagato dall’Inps attraverso il cosiddetto Fondo di Garanzia dell’Inps. Per ottenere il Tfr dall’Inps è necessario inoltrare una domanda al curatore e attendere che lo stato passivo venga dichiarato esecutivo. Solo allora si potrà presentare in via telematica l’istanza all’Inps.
Diversa è l’ipotesi in cui sia il datore di lavoro a chiudere l’azienda, senza però fallire. In tal caso, è sempre quest’ultimo responsabile del pagamento ed è contro l’azienda che bisogna agire. Se però risulta che quest’ultima è insolvente e non può fallire per assenza dei presupposti previsti dalla legge fallimentare, resta possibile chiedere l’intervento al Fondo di Garanzia dell’Inps.