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Si può fare una denuncia via Pec?

13 Gennaio 2021
Si può fare una denuncia via Pec?

Sporgere una querela o una denuncia via posta elettronica certificata alla polizia o ai carabinieri oppure inoltrarla alla Procura della Repubblica è possibile?

Si può fare una denuncia via Pec? Un’email – sia essa ordinaria o di posta elettronica certificata – contenente l’enunciazione di un possibile fatto di reato, potrebbe essere considerata come una vera e propria denuncia? La questione è stata di recente sottoposta all’attenzione del GIP presso il tribunale di Perugia che ha disposto, per l’effetto, l’archiviazione di un procedimento penale originato appunto da una Pec. 

Secondo il giudice umbro, non è possibile inoltrare una denuncia via Pec, né alla polizia o ai carabinieri, né alla Procura della Repubblica. Lo stesso vale per la raccomandata a.r. Questo perché l’art. 333 comma 2 del Codice di procedura penale stabilisce precise modalità attraverso cui un atto può trasformarsi in denuncia: deve essere presentato personalmente o a mezzo del proprio avvocato, al pubblico ministero o a un ufficiale di polizia giudiziaria e, se già redatto per iscritto, deve essere firmato. 

La norma quindi prevede un solo tipo di deposito della denuncia: quello fatto personalmente, o tramite il deposito di un documento già redatto e sottoscritto, o tramite una dichiarazione verbale che va poi verbalizzata dal pubblico ufficiale. 

Lo scopo della norma è molto chiaro: è necessario procedere all’identificazione del denunciante. Un’identificazione che deve avvenire senza la benché minima incertezza, come potrebbe invece succedere se la Pec dovesse essere, ad esempio, usata da una persona diversa dal suo titolare. 

Questo porta ad escludere, secondo il tribunale di Perugia, che email o raccomandate possano essere usate per depositare denunce.

Eppure, stando a quando riportato sui portali di numerosi tribunali, in diversi uffici viene ancora prevista la ricezione di notizie di reato tramite Pec. Si prenda, ad esempio, il sito della Procura della Repubblica presso il tribunale di Castrovillari (prov. CS) dove si specifica che è possibile l’invio delle denunce tramite protocollo informatico o tramite Pec. E ciò potrebbe giustificarsi in una lettura “aperta” dell’articolo 333 del Codice di procedura penale, che non prevederebbe cioè un elenco tassativo. A sostegno di questo ragionamento, ci sarebbe anche l’art. 337 comma 1 Cod. proc. pen. che ammette la possibilità di spedire per posta in piego raccomandato la querela con sottoscrizione autenticata. 

Insomma, la questione resta tutt’ora aperta e priva di una specifica regolamentazione da parte del legislatore. 

L’interpretazione del tribunale di Perugia trova tuttavia conferma in una circolare del ministero della Giustizia [2] ove, al paragrafo 3, precisa che «quanto detto conduce ad escludere la configurabilità, a fronte di denunce inviate a mezzo di posta elettronica, anche certificata, di un obbligo di valutazione ai fini dell’iscrizione di notizie di reato a carico dell’Ufficio di Procura ricevente». 

Ciò detto, che valore possono avere le denunce che, in spregio a quanto prescritto dal Codice di procedura penale, vengono trasmesse tramite Pec? Secondo il pm di Perugia queste devono essere equiparate alle denunce anonime che, come noto, non obbligano le autorità all’avvio dell’azione penale, ma fungono da mere segnalazioni. 

La stessa interpretazione era stata sposata dalla Cassazione nel 2008 con una pronuncia a Sezioni Unite nella quale si era detto che «una denuncia irrituale, che si debba perciò considerare alla stregua di una denuncia anonima, pur essendo uno scritto di per sé inutilizzabile, è tuttavia idonea a stimolare l’attività del P.M. o della polizia giudiziaria al fine dell’assunzione di dati conoscitivi atti a verificare se da essa possano ricavarsi indicazioni utili per l’enucleazione di una notizia criminis suscettibile di essere approfondita con gli strumenti legali».


note

[1] Provvedimento di archiviazione emesso dal GIP presso il Tribunale di Perugia (depositato in cancelleria il 13.11.2020).

[2] Dipartimento per gli affari di giustizia – Direzione generale della Giustizia penale del 12.11.2016, prot. 328.E.

[3] Cass. S.U. sent. n. 25932/2008, dep. 26.6.2008.

Autore immagine: depositphotos.com

TRIBUNALE DI PERUGIA

UFFICIO DEL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI

DECRETO DI ARCHIVIAZIONE

artt. 410 c.p.p.

Il Giudice,

letti gli atti del procedimento sopra a margine indicato;

esaminata la richiesta di archiviazione del Procuratore della Repubblica del 28 ottobre 2020; esaminati gli atti;

OSSERVA

La richiesta di archiviazione è fondata.

Il procedimento, iscritto nel registro delle notizie non costituenti reato (mod. 45), viene avviato in relazione ad alcune mail pervenute ad un indirizzo di posta elettronica della Procura della Repubblica di Perugia ([email protected]) e apparentemente provenienti dal (…)

Secondo la prospettazione del p.m. gli atti così pervenuti, per ragioni formali e prima ancora di ogni approfondimento del loro contenuto, non sono valutabili come notizia di reato ai fini dell’eventuale iscrizione nel relativo registro di cui all’art. 335 c.p.p.

La comunicazione di notizie di reato da parte dei privati deve avvenire, infatti, con modalità tali da garantire la certa identificazione del denunciante ed è questa la ratio dell’art. 333, secondo comma, c.p.p. secondo cui la presentazione della denuncia scritta da parte del privato deve avvenire personalmente o a mezzo di procuratore speciale.

La trasmissione di uno scritto via mail non può essere equiparata ad una presentazione personale dell’atto in quanto non consente la contestuale verifica dell’identità del denunciante e, dunque, condivisibilmente, il p.m. conclude per la non riconducibilità di tali scritti alle denunce i cui all’art. 333 c.p.p. (e in questo senso si richiama la circolare in tema di attuazione del registro unico penale del Ministero degli affari di giustizia, Direzione generale della giustizia penale dell’11 novembre 2011).

Certo, sia che si consideri tali esposti, secondo un’interpretazione che a questo giudice appare preferibile, alla stregua dei documenti (dunque, a tutti gli effetti materia di valutazione indiziaria e dei quali eventualmente sarà possibile verificarne la paternità ai sensi dell’art. 239 c.p.p.), sia che si proponga, come fa il p.m., la loro collocazione nell’ambito delle denunce anonime, in ogni caso, tali scritti così pervenuti potranno essere valutati eventualmente come stimolo per attività di indagine volte all’individuazione di una notitia criminis (cfr. in tema di denunce anonime, tra le altre, Cass.Pen., Sez. 6, n. 34450 del 22/04/2016).

Nel caso di specie, peraltro, ogni ulteriore approfondimento investigativo si rileva chiaramente ingiustificato tenuto conto della natura degli scritti, contenenti riferimenti confusi ad una pluralità di vicende vagamente descritte e scollegate tra loro, senza che sia consentito offrire di nessuna di queste – e nonostante le prospettazioni di gravi reati da parte dell’esponente – una qualificazione minimamente persuasiva in termini penalmente rilevanti.

Le superiori conclusioni vengono ulteriormente rafforzate dalla considerazione che tra gli allegati trasmessi vi è anche un’ordinanza di archiviazione emessa da questo ufficio in un procedimento iscritto a mod. 45 e relativo ad analoghe denunce per gli stessi fatti. A tale provvedimento si rimanda in ordine alle considerazioni di diritto quanto all’impossibilità di configurare il reato di abuso di ufficio rispetto ai provvedimenti giurisdizionali che l’esponente assume viziati, qualora non si possa prospettare persuasivamente un movente illecito in capo ai magistrati che tali provvedimenti hanno emesso.

P.Q.M.

in accoglimento della richiesta del Pubblico Ministero dispone l’archiviazione del procedimento.

Manda alla Cancelleria per le notificazioni, per le comunicazioni e per le altre incombenze di rito.

Perugia, 29.10.2020.

Procura della Repubblica presso il Tribunale di Perugia

Richiesta di archiviazione per insussistenza di una notitia criminis

In premessa, si evidenzia che nel fascicolo in esame sono confluiti plurimi esposti inviati, in modo tumultuoso, a mezzo posta elettronica (nel caso in esame, posta certificata), dal (…).

In particolare, i primi due, più corposi, risultano trasmessi il 30 giugno 2019, ma scaricati dall’ufficio solo il 7 settembre 2020.

Uno di essi contiene vari scritti che, da quanto si comprende, sembrano essere in precedenza già stati inviati a soggetti pubblici, in particolare al Ministro della salute e al Ministro della funzione pubblica.

Con i predetti si lamentano, in modo generico e confuso, presunti illeciti commessi nel settore della sanità pubblica e/o comunque da pubblici uffici, anche in danno dell’esponente, il quale si qualifica come un esperto nella materia della sanità, tanto da proporsi, in alcuni casi, quale possibile interlocutore dei ministri in indirizzo.

Il secondo, invece, anch’esso composto da una pluralità disordinata di scritti, si apre con una sorta di esposto trasmesso a questo ufficio, con cui ci si indicano, in modo altrettanto confuso e farraginoso, alcuni comportamenti ritenuti non corretti posti in essere da magistrati romani.

Al predetto scritto sono allegati numerosi altri che sembrano in precedenza trasmessi al Consiglio dell’ordine dei medici di Roma, alla Regione Lazio, ed altri enti aventi sempre ad oggetto presunte irregolarità e vicende di mala gestio nel settore sanitario.

A fatica, dalla lettura di questo secondo gruppo di mail, si comprende come l’autore dell’alluvionale produzione abbia in passato (nel 2012) presentato una denuncia alla Procura di Perugia con cui aveva ipotizzato un abuso di ufficio ascrivibile a magistrati romani per presunte negligenze connesse alla gestione del procedimento relativo alla morte del figlio.

Quel procedimento, iscritto a mod. 45, era stato definito con decreto di archiviazione, pronunciato nel medesimo anno 2012, dal gip presso il tribunale di Perugia, dott.ssa Lidia Brutti.

In data 23 settembre 2020 veniva trasmessa un’ulteriore mail, questa volta indirizzata allo scrivente, con cui, con le medesime modalità già più volte descritte, si affastellavano vicende giudiziarie recenti (caso (…)) e questioni personali, paventando, fra l’altro l’esistenza di una sorta di complotto ordito ai danni dell’esponente da una pluralità di soggetti pubblici.

Da ultimo (almeno per il momento), con un messaggio di posta elettronica del 30 settembre si avanzava sempre allo scrivente una (irrituale) richiesta di fissare un incontro presso la segreteria del Procuratore della Repubblica con il Gip, dott.ssa Brutti, estensore dell’archiviazione del 2012, per giungere ad una auspicata “riunione” dei due (??) esposti.

Ricostruito, in modo assolutamente sintetico e certamente incompleto, il quid consistam degli scritti confluiti nel fascicolo, va, in primo luogo, data risposta ad un preliminare quesito, relativo, in particolare, a come le mail inviate debbano essere qualificate dal punto di vista del codice del rito penale.

Una valutazione puramente astratta del contenuto delle stesse, a prescindere per il momento da qualsiasi considerazione sulla fondatezza e rilevanza delle affermazioni riportate, potrebbe far, infatti, pensare che quelle produzioni trasmesse rientrino nel genus della denuncia, di cui all’art. 333, comma l, c.p.p.

Con esse il soggetto intende, infatti, portare a conoscenza dell’ufficio titolare dell’azione penale notizie di reati perseguibili di ufficio.

La lettura dell’articolo del codice nella sua interezza mette, però, in discussione questa conclusione.

Il capoverso della norma stabilisce, infatti, precise modalità attraverso cui un atto può trasformarsi in denuncia, prevedendo che esso debba essere presentato, personalmente o a mezzo di procuratore speciale, al pubblico ministero o a un ufficiale di polizia giudiziaria e, se già redatto per iscritto, debba essere formalmente sottoscritto.

La ratio di quest’ultima previsione risalta in modo chiaro; il denunciante va con certezza identificato da persona qualificata (il pubblico ministero o l’ufficiale di p.g.), perché l’atto presentato impegna, anche per le conseguenze eventuali penali che ne possono derivare (art. 367 e 368 c.p.), colui che lo sottoscrive.

Fra le modalità di presentazione non è prevista, invece, la spedizione a mezzo raccomandata e nemmeno (ovviamente, non essendo tale modalità nota al momento in cui la norma fu confezionata) l’invio attraverso posta elettronica, sia essa pure certificata.

Tale mancata previsione sembra imporre una precisa conseguenza, escludere, cioè, gli atti che non siano stati depositati con le formalità previste dal capoverso della norma codicistica (e quindi, quelli inviati via mail) dal novero delle denunce, di cui all’art. 333 c.p.p., in quanto – almeno fino a quando non sarà esplicitamente regolata – questa modalità dì trasmissione non consente di identificare con certezza il soggetto che trasmette l’atto.

L’interpretazione patrocinata, oltre ad apparire conforme alla lettera e la ratio della norma, è sostenuta autorevolmente da una recente e particolarmente argomentata Circolare del Ministro della giustizia; ci si riferisce a Circolare del Ministero della giustizia – Dipartimento per gli affari di giustizia – Direzione generale della giustizia penale del 12 novembre 2016, prot. 3283.E.

Il paragrafo 3 del predetto atto ministeriale conclude infatti nel senso che “Quanto detto conduce ad escludere la configurabilità, a fronte di denunce inviate a mezzo di posta elettronica, anche certificata, di un obbligo di valutazione ai fini dell’iscrizione di notizie di reato a carico dell’Ufficio di Procura ricevente”.

Come, però, qualificare gli scritti aventi contenuto di denuncia ma irritualmente trasmessi non è espressamente statuito dalla norma, e nemmeno esplicitato dalla Circolare citata, che si limita a ritenere che esse non vanno valutate ai finì dell’iscrizione.

Un indiretto riferimento sembra, però, potersi trarre dal comma 3 dell’art. 333, che, trattando delle denunce anonime, pare far rientrare in tale topos tutte quelle non ritualmente sottoscritte, secondo il paradigma del precedente capoverso.

A questa conclusione, è giunto anche un arresto della Suprema Corte di Cassazione, nella sua composizione più autorevole.

Secondo Sezioni Unite n. 25932 del 29/05/2008, (dep. 26/06/2008), Rv. 239695 – 01, infatti, “Una denuncia irrituale, che si debba perciò considerare alla stregua di una denuncia anonima, pur essendo uno scritto di per sé inutilizzabile, è tuttavia idonea a stimolare l’attività del P.M. o della polizia giudiziaria al fine dell’assunzione di dati conoscitivi atti a verificare se da essa possano ricavarsi indicazioni utili per l’enucleazione di una “notitia criminis” suscettibile di essere approfondita con gli strumenti legali.”

Quest’ultima indicazione consente di giungere ad una prima conclusione sul punto; gli scritti inviati, via mail, dal (…) seppure ai limitati fini della produzione degli effetti giuridici – vanno considerati alla stregua di “denunce anonime”.

Qualificati in tal modo, gli stessi scritti potrebbero, giusto il disposto del comma 3 dell’art. 333 c.p.p., non essere presi in considerazione, o, come affermato dalla giurisprudenza in modo assolutamente consolidato e come, in verità, implicitamente ritenuto anche nella massima sopra riportata, fungere, al massimo, da stimolo, per il p.m. o la p.g., per la ricerca di una notitia crimninis, ai sensi dell’art. 330 c.p.p.

Nel caso di specie, però, il carattere confuso, spesso incomprensibile, delle affermazioni contenute negli scritti confluiti nel fascicolo, rende del tutto improbabile proficui sviluppi investigativi, sia pure nella limitata prospettiva di individuare una notizia di reato.

Tale ultima considerazione impone, di conseguenza, l’archiviazione del procedimento, che, essendo stato iscritto a cd mod. 45 potrebbe anche essere disposta attraverso il mero invio all’archivio del fascicolo (cd autoarchiviazione), secondo una prassi, che pur non essendo esplicitamente prevista dal codice, è ormai accettata pienamente dal diritto vivente, essendo stata ritenuta legittima dalla giurisprudenza consolidata (così, ex plurimis, Sez. un. n. 34,22 novembre 2000, dep. 15 gennaio 2001, Rv 217473-01).

Le questioni giuridiche affrontate rendono, però, nel caso di specie necessario il preventivo controllo del giudice delle indagini di preliminari, funzionale a vagliare l’interpretazione proposta che esclude, nella situazione data, ricorra una notizia di reato.

Perugia, 27 ottobre 2020.

 


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2 Commenti

  1. A mio modesto parere, la posizione della Procura di Castrovillari è più giusta nonché repubblicana (vedi Art. 3 della Costituzione).
    Inoltre, che senso hanno i ministeri della Transizione digitale e della Disabilità dell’attuale governo se una burocrazia kafkiana esclude le tante persone in difficoltà dopo la pandemia? Paradossale!

  2. Aggiornamento: il sito della Procura di Castrovillari attualmente esclude le denunce presentate via PEC.

    Infatti si legge: ”
    I privati possono depositare denunce e/o querele solo cartaceamente presso l’Ufficio URP di questa Procura, dal lunedì al venerdì, dalle ore 08:00 alle ore 13:00.
    Ai privati non è consentito depositare i predetti atti via PEC (non essendo essi soggetti legittimati all’uso della PEC ai sensi del comma 4 del predetto art. 24 ed a ciò comunque ostandovi il comma 6 della medesima disposizione).
    Le denunce e/o querele inviate da parte di privati cittadini attraverso messaggi di posta elettronica, ordinaria o certificata a questa Procura della Repubblica, non sono validamente presentate e non produrranno alcun effetto giuridico, non rispondendo ai requisiti fissati dagli artt. 333, 336 e 337 c.p.p..”

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