Come si difendono i propri diritti, che differenza c’è tra un processo civile e uno penale, chi controlla i giudici e che poteri hanno.
Chi non è un giurista stenta a capire come funziona la giustizia italiana. Ad esempio, si chiederà che valore hanno le sentenze dei giudici e, in particolare, quelle della Cassazione; come mai i tempi dei processi sono così lunghi; quale importanza rivestono le decisioni della Corte Costituzionale e che differenza c’è tra una causa civile e una penale; quanto guadagna un giudice e come fare per diventarlo.
Comprendere, per somme linee, come funziona la giustizia italiana richiede davvero poco tempo. Non è necessario studiare legge, la procedura civile e quella penale. Per cui ecco tutte le informazioni che potranno servirvi in merito.
Indice
- 1 Chi esercita la giustizia in Italia?
- 2 Che differenza c’è tra una causa civile e una causa penale?
- 3 Come mai un processo è così lungo?
- 4 Perché ogni giudice può decidere come vuole?
- 5 Come funziona l’appello?
- 6 Come funziona la Cassazione?
- 7 Quando una sentenza diventa definitiva?
- 8 Che valore ha una sentenza?
- 9 Che succede se una sentenza non viene rispettata?
- 10 A che serve la Corte Costituzionale?
- 11 Per quanto tempo ha effetto una sentenza?
- 12 Si può assistere liberamente a un processo?
- 13 Ci si può difendere da soli senza avvocato?
- 14 Come si diventa giudice e quanto si guadagna?
- 15 Approfondimenti
Chi esercita la giustizia in Italia?
In Italia, l’organo a cui tutti i cittadini possono rivolgersi per far valere i propri diritti o per chiedere la punizione di chi commette reati è la magistratura, ossia i giudici.
Ci sono i giudici che decidono le cause penali, quelli preposti alle cause civili, quelli invece competenti per la materia fiscale (le cosiddette Commissioni Tributarie) e, infine, i giudici che decidono le controversie tra cittadini e Pubblica Amministrazione (i Tar).
Nell’ambito della stesso ramo della magistratura, ci possono essere giudici con competenze diverse. Ad esempio, nelle cause civili, a seconda del valore della posta in gioco, si va dal giudice di pace o dal tribunale.
Ci sono tanti organi ancora a cui il cittadino può rivolgersi per chiedere tutela in specifiche occasioni come il Prefetto, il Questore, la polizia, i carabinieri. Si tratta tuttavia di organi amministrativi, che non hanno il potere di giudicare ma possono solo intervenire nei campi di propria competenza, e comunque entro i limiti molto ristretti previsti dalla legge. Non hanno quindi alcun potere di condannare o di stabilire risarcimenti. Ad esempio, se vi rivolgete a un poliziotto per denunciare un ladro, questi non potrà, senza l’autorizzazione del giudice, consegnarvi la refurtiva. Se vi rivolgete al Questore per uno stalking che state subendo, questi può ammonire il colpevole ma non mandarlo in galera. Se vi si sta allagando l’appartamento, potete chiamare i vigili per fare un verbale, ma questi non potranno condannare il responsabile a risarcirvi i danni.
Insomma, per farvi giustizia dovete sempre e solo ricorrere a un giudice secondo le modalità che a breve vedremo.
Che differenza c’è tra una causa civile e una causa penale?
Le cause civili sono rivolte a risolvere, in genere, i litigi tra i cittadini. Il giudice verifica chi ha ragione e chi ha torto, tutelando il diritto del primo e condannando il secondo a rispettare l’altrui diritto (ordinandogli, ad esempio, di astenersi da determinati comportamenti o condannandolo a pagare una somma di denaro). Pensate al caso in cui sia controversa la proprietà di una casa.
Di solito, ci si rivolge a un giudice civile per ottenere un risarcimento del danno, per chiedere un pagamento a cui si ha diritto, per contestare un licenziamento, per divorziare, per vedersi riconosciuta la pensione, per sfrattare un inquilino, per evitare che il vicino di casa costruisca a ridosso del confine col proprio terreno, e così via.
Per rivolgersi al giudice civile c’è sempre bisogno di un avvocato e di anticipare le spese del giudizio; bisogna cioè fare una causa. Di regola, chi perde la causa paga anche le spese processuali all’avversario.
Il processo penale è invece quello che instaura lo Stato, a proprie spese, dietro una formale querela o denuncia di un cittadino in merito a un fatto che costituisce reato. Quindi, in questo caso, non c’è bisogno di un avvocato che avvii una causa. Lo Stato può anche agire da solo, a prescindere dalla segnalazione del cittadino: ciò avviene per tutti i delitti più gravi, che ledono un interesse pubblico: è, ad esempio, il caso dell’omicidio, della truffa ai danni dello Stato, della guida in stato di ebbrezza, del disturbo alla quiete pubblica e così via.
Scopo del processo penale non è far conseguire alla parte lesa un risarcimento ma comminare al reo la giusta punizione.
La vittima pertanto si limita, anche senza bisogno di un avvocato (e quindi senza sostenere spese), a rivolgersi ai carabinieri, alla polizia oppure alla Procura della Repubblica per sporgere la denuncia-querela. Ci sarà un pubblico ministero che avvierà le indagini preliminari, raccoglierà le prove e chiederà poi a un altro giudice (il gip) di rinviare a giudizio il colpevole. A quel punto, si svolgerà la causa penale in cui l’accusa sarà sostenuta dallo Stato mentre la difesa dall’avvocato difensore dell’imputato.
La vittima potrà restare assente limitandosi a godere della condanna del colpevole oppure potrà costituirsi con un proprio avvocato per chiedere un risarcimento del danno che, in questa sede, sarà liquidato in via provvisionale. Se vorrà, l’intero risarcimento dovrà poi avviare una seconda causa, questa volta civile.
Come mai un processo è così lungo?
Ci sono tante ragioni che impediscono a un processo di essere veloce. Il primo è costituito dalla legge. Sia la procedura penale che quella civile impongono il rispetto di determinate fasi del processo, per garantire ad entrambe le parti la possibilità di difendersi e contraddire alle “accuse” avversarie. Di queste fasi non si può fare a meno se non si vuol limitare il diritto alla difesa.
In secondo luogo, la colpa è del carico di lavoro dei giudici. Questi sono pochi e costretti a seguire numerose cause. Ragion per cui, da un’udienza a un’altra della stessa causa, possono trascorrere numerosi mesi, a volte anni.
Gli stessi giudici poi, per quanto la procedura imponga loro dei tempi certi entro cui emettere le decisioni, hanno ritenuto che tali termini non siano perentori. Ed ecco che una sentenza, anziché arrivare entro 30 giorni, può giungere anche dopo 4 mesi.
Perché ogni giudice può decidere come vuole?
Il nostro sistema giudiziario è di civil law. In pratica, la fonte delle norme sono le leggi e non le decisioni dei giudici, come in quelli di common law. Ma le leggi sono generali e astratte: regolano cioè casi molto generali. E non potrebbe essere diversamente, altrimenti avremmo un proliferare di norme per qualsiasi azione che commettiamo. Spetta all’interprete, ossia al giudice, applicare la norma al caso concreto. E in questa applicazione il giudice ha massima discrezionalità, limitata solo dall’obbligo di fornire una motivazione nella sentenza. In pratica, il giudice può avere la propria interpretazione che dissente da quella degli altri magistrati.
Un giudice può farsi influenzare da un pensiero personale e non deve applicare alla lettera le leggi. L’importante – come detto – è che spieghi l’iter logico che ha seguito in questa interpretazione ossia fornisca una congrua giustificazione del suo pensiero.
La Costituzione dice che il giudice è soggetto solo alla legge e non quindi alle decisioni di altri giudici, ivi compresa la Cassazione.
Ecco la ragione per cui, anche all’interno dello stesso tribunale, è facile trovare giudici che la pensano in modo diverso in merito all’interpretazione della medesima norma.
Dinanzi a questa multiformità di vedute, il cittadino ha una sola tutela: il ricorso alla Cassazione che, come detto, ha la funzione di garantire l’uniforme interpretazione della legge. Quindi, il cittadino che perda una causa per via della non corretta linea interpretativa sposata dal tribunale, ha sempre il ricorso in Cassazione come ultima chance per tutelarsi.
Di qui possiamo rispondere a un’altra tipica domanda: chi controlla i giudici? In realtà, nessuno controlla i giudici nella loro attività interpretativa. Esiste il Csm, ossia il Consiglio Superiore della Magistratura, che serve solo a verificare eventuali responsabilità disciplinari.
Come funziona l’appello?
Per quasi tutti i processi la legge riconosce due gradi di giudizio. In buona sostanza, chi non è soddisfatto della sentenza di primo grado può andare in secondo grado (ossia in appello) per chiederne la riforma. Il magistrato di secondo grado analizza nuovamente l’intera vertenza e la giudica di nuovo.
La sentenza di appello può confermare la sentenza di primo grado oppure riformarla completamente o solo in parte. Chi perde in primo grado può quindi vincere in secondo oppure può perdere di nuovo. Non è prevista una “bella” come nelle partite di calcio.
Come funziona la Cassazione?
Il giudizio in Cassazione non è propriamente un terzo grado di giudizio, non comporta infatti una nuova revisione dell’intero processo (come invece succede in appello dove, come si è detto prima, si può ricorrere per qualsiasi tipo di censura). Può ricorrere in Cassazione solo chi ritiene che il giudice di primo o di secondo grado non abbia interpretato bene la legge oppure non abbia applicato correttamente le norme sulla procedura.
La Cassazione è un giudice che valuta solo alcuni specifici vizi indicati dalla legge. Non è detto pertanto che, dinanzi a una sentenza di secondo grado che dà torto a una parte, questa possa sempre ricorrere in Cassazione. Lo potrà fare solo se il giudice ha commesso determinati errori.
Quando una sentenza diventa definitiva?
Una sentenza è definitiva quando sono stati esperiti tutti i mezzi di impugnazione, come appunto l’appello e l’eventuale ricorso per Cassazione. Ma può diventare definitiva anche quando sono scaduti i termini per fare appello o ricorso per Cassazione senza che tali procedure siano state intraprese. Ad esempio, se trascorrono 30 giorni dalla sentenza di primo grado, non si può più fare appello e la sentenza diventa definitiva. Se trascorrono 60 giorni dalla sentenza di appello senza che ci sia il ricorso per Cassazione, la sentenza diventa anch’essa definitiva.
Una sentenza, una volta divenuta definitiva, si dice che è passata in giudicato.
Che valore ha una sentenza?
Le sentenze hanno valore solo tra le parti in causa e non per tutti i cittadini come invece le leggi. Quindi, quando si legge sui giornali che è uscita un’importante sentenza, questa in realtà ha un’importanza relativa. Per esempio, se un giudice riconosce a un lavoratore il diritto a una prestazione nei confronti dell’azienda, tutti gli altri dipendenti non potranno bussare alla porta del proprio datore per chiedere lo stesso trattamento; dovranno prima avviare una causa affinché anche a questi un tribunale riconosca lo stesso diritto.
Ciò vale anche per le sentenze della Cassazione: hanno cioè valore solo tra le parti. C’è però un’importante differenza tra le sentenze di primo e secondo grado e quelle della Cassazione. La Cassazione ha, come detto, il potere di censurare gli errori sull’interpretazione della legge commessi dagli altri magistrati. Pertanto, ad essa il nostro ordinamento riconosce la funzione di uniformare l’interpretazione del diritto, visto che ogni giudice ha il potere di interpretare la legge per come meglio crede. Quindi, la pronuncia della Cassazione ha un valore più autorevole rispetto a quelle dei giudici di primo e secondo grado (specie se si tratta di sentenze emesse a Sezioni Unite). Ho detto “autorevole”, ma non vincolante. Pertanto, nessun giudice è costretto a interpretare la legge per come indicato dalla Cassazione e ci potrà sempre essere chi dissenta da essa. Insomma, il processo è un po’ un terno al lotto.
Che succede se una sentenza non viene rispettata?
Immaginiamo che un giudice condanni una persona a risarcire il danno a un’altra ma che questa non lo faccia nonostante la sentenza. La controparte potrà avviare, a quel punto, una procedura detta esecuzione forzata rivolta a pignorare i beni del debitore e rivenderli tramite il tribunale, in modo che, col ricavato, possa soddisfarsi.
Dunque, più in generale, tutte le volte in cui una sentenza non viene eseguita spontaneamente dalla parte sconfitta, si deve ricorrere all’ufficiale giudiziario per la fase “esecutiva”, quella cioè che esegue con la forza l’ordine del giudice.
A che serve la Corte Costituzionale?
La Corte Costituzionale non è un giudice che definisce le controversie tra cittadini. La Corte Costituzionale – anche chiamata Consulta per via del nome del Palazzo in cui risiede – giudica se le leggi emesse dallo Stato rispettano o meno la Costituzione.
Se, nel corso di una causa, il giudice o una delle parti si accorge che la legge da applicare potrebbe violare uno o più degli articoli della nostra Costituzione, rinvia gli atti alla Corte Costituzionale affinché giudichi la legittimità di tale norma.
Quindi, la Consulta ha il potere di cancellare le leggi che ritiene incostituzionali. Le sue sentenze, a differenza di quelle di tutti gli altri giudici, hanno efficacia per tutti i cittadini italiani. Difatti, dopo una pronuncia della Corte Costituzionale, le legge incostituzionale viene definitivamente cancellata dal nostro ordinamento e ciò vale nei confronti di chiunque, anche di chi non ha partecipato alla causa.
Per quanto tempo ha effetto una sentenza?
Una sentenza dura in eterno e vale sia per le parti in causa che per i loro eredi. Quindi, se una sentenza decide la proprietà di una casa a favore di una persona, gli eredi di entrambe le parti dovranno rispettare tale decisione. E ciò vale anche nei confronti di coloro che abbiano acquisito la proprietà di tale diritto con atti di donazione o compravendita.
Si può assistere liberamente a un processo?
Qualsiasi cittadino può entrare in un tribunale per assistere a un’udienza, a meno che non si tratti di un’udienza a porte chiuse, che il giudice decide caso per caso per tutelare di solito la privacy delle parti (ad esempio, un processo di tutela di un minore).
Il cittadino che entra in un tribunale non può però parlare liberamente con un giudice, il quale può essere interpellato solo nel rispetto delle procedure previste dalla legge, ossia durante le cause. Difficilmente, un giudice dà udienza a un privato che bussi alla sua porta.
Ci si può difendere da soli senza avvocato?
Salvo casi eccezionali, in Italia non ci si può difendere da soli senza un avvocato: e ciò vale sia nelle cause civili che in quelle penali.
È possibile ad esempio difendersi da soli nei ricorsi contro le multe, nelle cause civili di valore fino a 1.100 euro o in quelle per questioni fiscali fino a 3.000 euro di valore. Neanche la separazione e il divorzio si possono fare senza avvocato, a meno che non ci si rivolga al sindaco.
Come si diventa giudice e quanto si guadagna?
Per diventare giudici bisogna intraprendere un percorso di laurea in legge e passare poi il concorso. Dopo tre anni dalla nomina si può diventare magistrati di tribunale, mentre dopo undici anni dall’ingresso ufficiale nella magistratura si può essere nominati magistrato di Corte d’Appello e, dopo altri sette anni, si può essere dichiarati idonei ad essere nominati giudice di Cassazione.
Il magistrato di tribunale percepisce 3.200,00 euro netti al mese, che aumentano fino a 3.500,00 euro netti.
Il magistrato di Corte di Appello percepisce circa 4.500,00 euro netti al mese. Il magistrato di Corte di Cassazione percepisce netti circa 6.000,00 euro al mese.
Lo stipendio del giudice amministrativo va dai 5.000 euro netti al mese fino a 15.000 euro a fine carriera.
Approfondimenti
Quando il giudice se ne frega di ciò che dice la Cassazione
Quando e chi può rivolgersi al Giudice di Pace