Uno studio olandese svela che la carica virale cresce con l’età, quindi è molto più alta in coloro che sono più avanti con gli anni.
Il Coronavirus non è uguale per tutti: aggredisce più i vecchi che i giovani e c’è un motivo preciso, per questo. A spiegarlo è uno studio portato avanti da un gruppo di ricercatori olandesi.
Le loro analisi di laboratorio hanno fotografato un dato: la carica virale – cioè il numero delle copie di materiale genetico del virus contenute in un millilitro di materiale biologico – è direttamente proporzionale all’età. Ovvero: più si va avanti con gli anni, più la carica virale sale.
Un vero e proprio «gap generazionale», che conferma come il virus sia più incline ad attaccare le persone in età avanzata che non i giovani. Certo: questo non vuol dire che chi ha una carica virale alta contrae anche l’infezione in modo più grave. Non esiste alcuna equazione tra maggior «concentrazione» del virus e maggior pesantezza dei sintomi.
È invece probabile che una più alta carica virale indichi anche una maggiore contagiosità, anche se il tema è ancora in fase di approfondimento. Per ora, quello che emerge con nettezza dallo studio olandese è che nei bambini fino ai 12 anni, la carica virale può essere perfino 16 volte più bassa di quella degli ultraottantenni.
Se fosse confermato il legame tra carica virale e infettività, questo vorrebbe dire che i bambini under 12 hanno un ruolo davvero limitato nella diffusione del contagio, come già emerso in ricerche precedenti.
Lo studio olandese pone anche qualche dubbio sulla validità dei test antigenici nei bambini, visto che, con una carica virale così bassa il rischio di falsi negativi diventa concreto.
Quel che è certo, affermano gli studiosi, è la «chiara relazione tra età e carica virale Sars-CoV-2 e in particolare i bambini sotto i 12 anni mostrano cariche inferiori rispetto a quelle degli adulti, indipendentemente dal sesso o dalla durata dei sintomi».