Secondo un team di ricercatori di Genova, il trapianto di cellule staminali riesce a evitare che il paziente peggiori, con effetti duraturi.
Non esiste una cura definitiva dalla sclerosi multipla. È una malattia dal decorso imprevedibile, che attacca il sistema nervoso progressivamente. Negli ultimi vent’anni, però, la ricerca ha fatto passi avanti, riuscendo a rallentare di molto l’avanzata dei sintomi.
Molte persone affette da questa patologia riescono ad avere una vita normale. Come spiega l’Associazione italiana sclerosi multipla (Aism) dal suo portale, non necessariamente la sclerosi è da collegare a una condizione di grave disabilità.
Esiste una terapia in grado di riuscire a evitare che la malattia peggiori, come spiega una ricerca pubblicata sulla rivista scientifica Neurology. L’indagine è stata portata avanti dal Policlinico San Martino e dal Dipartimento di Neuroscienze, Riabilitazione, Oftalmologia, Genetica e Scienze Materno-Infantili dell’Università di Genova, con la collaborazione di venti centri italiani che hanno in cura questi malati. A condurla, il professor Gianluigi Mancardi e il dottor Giacomo Boffa.
Il loro team di lavoro si è concentrato sui pazienti che avevano ricevuto uno specifico trattamento: il trapianto autologo di cellule staminali emopoietiche. Le cellule sono del paziente stesso, che fa da donatore e da ricevente; vengono raccolte e congelate prima del trapianto.
Dall’approfondimento è risultato che il trapianto è in grado di far sì che la malattia non progredisca ulteriormente, con effetti duraturi nel tempo. «I dati dimostrano che oltre il 60% dei pazienti non ha un aggravamento della disabilità dopo dieci anni dal trapianto e in molti casi si osserva anche un miglioramento del quadro neurologico duraturo nel tempo», spiega l’ospedale San Martino in una nota.
Mancardi è uno dei pionieri del trapianto autologo di cellule staminali emopoietiche in persone affette da sclerosi multipla. Negli anni, il trattamento è molto cambiato. Mentre, all’inizio, veniva eseguito per lo più su persone con deficit già molto gravi provocati dalla malattia, ora viene anticipato e utilizzato su pazienti che mostrano di non rispondere alle terapie tradizionali attualmente disponibili. In tale situazione, spiega il professore, «il trapianto autologo è una delle opzioni più importanti».