Le spese restano tante, anche se la saracinesca è abbassata: dall’affitto alle bollette, dal commercialista ai dipendenti e non è finita qui.
Tempi duri per tutte le professioni. Tra chi soffre di più, sicuramente, i ristoratori. Le perdite per il settore sono state ingenti, rispetto al 2019: si parla di qualcosa come più di venti miliardi di euro andati in fumo l’anno passato, a causa delle restrizioni anti-Covid che hanno ridotto drasticamente gli incassi.
Si dirà: «sì, ma ci sono stati i ristori». O anche: «sì, ma la cassa integrazione la paga lo Stato». Un’inchiesta del Corriere della Sera, condotta da Milena Gabanelli, risponde a queste obiezioni che, in realtà, i ristoratori hanno tutto il diritto di lamentarsi.
Si arriva a questa conclusione dopo aver fatto i conti in tasca ai titolari di queste attività. Chi ha un ristorante, anche se deve tenerlo chiuso perché magari si trova in zona arancione o rossa, è costretto a sborsare comunque qualcosa come cinquemila euro al mese.
È l’importo medio – naturalmente potrà salire o scendere nei casi singoli, a seconda di una serie di variabili – che emerge tenendo conto delle spese obbligate per un ristoratore.
La prima è l’affitto: la maggior parte dei titolari di queste attività non è proprietaria dei locali, lo è solo il 39%; il restante 61% deve pagare un canone di locazione mensile.
In genere, l’affitto annuo equivale al 10% del fatturato annuo, quindi, sempre considerando valori medi, circa 40mila euro su 400mila incassati in dodici mesi. Significa tremila euro al mese circa, ma il Governo è intervenuto con il credito d’imposta per aprile, maggio, giugno, ottobre, novembre e dicembre 2020. Vuol dire che la cifra è stata versata per intero ma si è poi riavuto indietro il 60%, quindi vanno considerati sui 1300 euro mensili.
I ristoratori si sono dovuti rivolgere al proprio commercialista per sbrigare una serie di pratiche, come richieste di cassa integrazione per i dipendenti e ristori. «In media il costo di questi servizi è del 3 per cento del fatturato. Quindi: mille euro al mese su un fatturato di 400mila», ha chiarito al CorrSera Luciano Sbraga, vicedirettore Fipe e direttore del relativo Centro studi.
E ancora: il trattamento di fine rapporto ai dipendenti per circa 800 euro mensili; le bollette che si aggirano sui 500-600 euro; stesso importo per l’assicurazione; la tassa sui rifiuti, ora sospesa ma comunque da versare a breve, costerà altri 700 euro circa. Sommando a tutte queste spese Iva, Irpef e tasse varie si arriva più o meno a una media di cinquemila euro al mese con il locale chiuso.
«Con i 2,5 miliardi ricevuti finora dalla categoria con i decreti sui ristori nelle tre tranche di aprile, ottobre e dicembre 2020 non si arrivi nemmeno a pareggiare le spese – osserva Sbraga, sempre dalle colonne del Corriere -. Sarebbe servito il doppio per non rimetterci».