I vicini molesti e l’obbligo di allontanamento


Condominio, al molestatore seriale si può applicare il divieto di dimora?
Lo stalking condominiale è una realtà, prova ne sono i numerosi precedenti giudiziari che mettono alla sbarra i vicini molesti, colpevoli di atti persecutori ai danni di uno o più condomini.
Di norma, il comportamento sfocia in una querela e, all’esito delle indagini, in una condanna penale. Ma, il giudice potrebbe anche disporre il divieto di praticare le zone abitualmente frequentate dalla vittima (ad esempio, disponendo l’obbligo di mantenersi a una distanza di almeno 50 metri dall’edificio in cui quest’ultima abita).
Il problema però è che, in ambito condominiale, un tale limite si risolverebbe nell’impossibilità di accedere al proprio domicilio, stante la comunanza delle parti comuni con la parte lesa. Di qui la questione se, in caso di stalking condominiale e di vicini molesti, possa valere l’obbligo di allontanamento previsto in genere per gli altri casi di stalking.
La questione è stata risolta da una recente sentenza della Cassazione [1]. Ecco qual è stato il pensiero espresso dai giudici supremi.
Indice
Lo stalking condominiale: cos’é?
Il reato di stalking (articolo 612 bis del Codice penale) è molto diffuso nel condominio. Esso consiste nelle condotte reiterate e minacciose che cagionano nella persona offesa uno di questi tre effetti:
- o un grave stato di ansia e di paura;
- o un fondato timore per l’incolumità propria o di un familiare;
- oppure un cambiamento delle proprie abitudini di vita.
Basta quindi uno di questi tre eventi per la condanna. Come chiarito dalla Cassazione [2], il reato di stalking c’è anche quando la vittima non cambia le sue abitudini di vita. Gli atti persecutori prevedono eventi alternativi: perché scatti la condanna, non è necessario che allo stato di ansia e di paura indotti nella vittima si associ il mutamento di abitudini.
La caratteristica dello stalking condominiale non attiene alla struttura del reato, che resta identica a quella generale appena descritta, ma riguarda la vittima che è un vicino di casa, dimorante nello stesso edificio. Dunque, la vicinanza tra quest’ultima e l’aggressore rende il comportamento di quest’ultimo ancora più pericoloso perché a stretto contatto.
Proprio per questo, si è ritenuto di dare una risposta incisiva a tali situazioni, catalogando gli atti persecutori in ambito condominiale come vero e proprio stalking. Anche i continui dispetti e le pressioni esercitate dai vicini di casa possono pertanto rientrare nello stalking condominiale.
Stalking e divieti
Sullo stalking, che non di rado è l’anticamera di una violenza dalle conseguenze estreme, la Cassazione ha con il tempo stretto le maglie. Non c’è solo il divieto di bazzicare nelle zone abitualmente frequentate dalla vittima: nel reato è rientrato anche il divieto di sguardo [3], perché fissare negli occhi in modo intimidatorio, la persona che si dovrebbe evitare è un modo per minacciarla e intimorirla. In questo contesto, un avvertimento è stato però lanciato anche alle parti lese: non possono essere concilianti con i loro persecutori.
Si segnala un’altra interessante pronuncia, secondo cui [4] lo stato di tensione e disagio psicologico venutosi a creare nella relazione di vicinato non basta a far scattare il divieto di dimora per gli atti persecutori dello stalker, se la sua condotta non ha determinato un cambiamento di abitudini di vita dei vicini. Va in senso contrario una sentenza precedente [5] secondo cui, in tema di atti persecutori, è legittima l’adozione della misura cautelare del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa anche nel caso in cui la condotta sia consistita solo in minacce a distanza, quando sussiste il fondato timore di una progressione criminosa.
Stalking condominiale e divieto di avvicinamento alla vittima
Secondo la pronuncia della Cassazione qui in commento, nello stalking condominiale non può essere applicata la misura cautelare del divieto di avvicinamento, se questa si traduce nel divieto di rientrare in casa.
Non si può infatti, secondo tale pronuncia, imporre al persecutore, per quanto penalmente responsabile, di andare a vivere altrove.
La Cassazione ha sottolineato, in tale occasione, la necessità di conciliare i diversi interessi in gioco: tutelare la persona offesa ma senza sacrificare ogni libertà del reo. E, nello specifico, si trattava del diritto fondamentale di usare la propria abitazione.
Del resto, l’unica limitazione di tale tipo prevista dalla nostra legge è la reclusione; per cui, se il giudice ritiene di non dover applicare tale misura, non può prevedere delle forme alternative come appunto l’abbandono della propria abitazione.
Insomma, nel caso di stalking condominiale, l’applicazione della misura cautelare del divieto di avvicinamento alla persona offesa deve essere calibrata conciliando la prospettiva di tutelare la persona offesa con un adeguato ma non eccessivo sacrificio della libertà del responsabile, onde non può trasmodare in una limitazione di un diritto fondamentale, quale quello collegato all’uso della propria abitazione. Da queste premesse, la Corte ha annullato con rinvio l’ordinanza cautelare che, con lo stabilire il divieto di avvicinamento entro la distanza di cinquanta metri, finiva con l’impedire all’indagato la possibilità di accedere alla propria abitazione, in termini tali da avere costruito una misura cautelare diversa e più grave – il divieto di dimora – in assenza della rituale richiesta del pubblico ministero.
Stalking condominiale e carcere
Ciò nonostante, le conseguenze del reato di stalking commesso all’interno del condominio sono assai gravi perché nei confronti del colpevole può essere emessa un’ordinanza di custodia cautelare in carcere. È la conclusione della Corte di cassazione [6] che ha confermato la misura cautelare della custodia cautelare in carcere nei confronti di alcuni condòmini che avevano pesantemente minacciato i vicini, all’interno delle parti comuni condominiali, in modo da cagionare un fondato timore per l’incolumità loro e dei loro familiari e da fare cambiare le loro abitudini di vita.
La Corte di Cassazione afferma che la custodia cautelare in carcere disposta nei confronti degli imputati molestatori era giustificata poiché gli stessi compivano anche atti incendiari e di danneggiamento degli immobili dei vicini, tali da determinare nel condominio un grave clima di intimidazione.
note
[1] Cass. sent. n. 3240/2019.
[2] Cass. sent. n. 35778/2016.
[3] Cass. sent. n. 5664/2015.
[4] Cass. sent. n. 12799/2017.
[5] Cass. sent. n. 4301/2015.
[6] Cass. sent. n. 28340/2019.
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