La Lega attacca il Cts per lo stop allo sci; nel M5S molti dissidenti; Salvini chiede un «cambio di passo» sull’immigrazione; Bonaccini: «serve un nuovo metodo».
A poche ore dal giuramento del nuovo Governo Draghi, la politica italiana si divide ed emergono vistosi dissensi e spaccature. Il primo attacco arriva dalla Lega, che insorge contro la chiusura degli impianti da sci fino al 5 marzo: un provvedimento adottato d’urgenza nella giornata di domenica dal ministro della Salute, Roberto Speranza, sulla base delle indicazioni del Cts, il Comitato tecnico-scientifico, preoccupato dalla diffusione della variante inglese del Covid.
E proprio il Cts finisce nel mirino delle proteste: «Non si può continuare con il metodo Conte», dichiarano i capigruppo della Lega alla Camera e al Senato, chiedendo anche il risarcimento dei danni subiti dagli operatori economici del settore, che erano pronti a ripartire e all’ultimo momento hanno subito l’imprevisto stop.
Protesta anche il presidente della Regione Emilia-Romagna e della Conferenza delle Regioni, Stefano Bonaccini, che esprime «stupore e sconcerto» per la decisione del Governo «che spiazza totalmente i gestori degli impianti e chi aveva già prenotato» una vacanza sulla neve. «Non si può arrivare a decisioni del genere con così poco preavviso», dice. E avverte: «Mai più decisioni del genere con queste tempistiche, non è tollerabile. Serve un nuovo metodo».
Tutte le Regioni del Nord si associano alla linea del dissenso dal Governo: il Governatore della Lombardia, Attilio Fontana, giudica «assurda la decisione di non riaprire gli impianti di sci a poche ore dalla scadenza dei divieti»; il Presidente del Veneto, Luca Zaia, dice che «non possiamo continuare ad assistere a questo balletto di dichiarazioni, col Cts che prima dice che possono essere aperte le piste da sci e poi il niet finale»; quello del Piemonte, Alberto Cirio, si dichiara «allibito» e parla di «una mancanza di rispetto inaccettabile da parte dello Stato». Analoghe dichiarazioni arrivano dalla Valle d’Aosta, Friuli Venezia Giulia e Abruzzo.
Per rimediare, l’Esecutivo progetta un cambio di passo, non di squadra, nel funzionamento del Cts: oggi, si terrà una riunione a palazzo Chigi per attuare quella «sobrietà nelle dichiarazioni» auspicata dal presidente del Consiglio Mario Draghi, in modo da far parlare con la stampa solo un portavoce del Comitato anziché i singoli membri e da comunicare le valutazioni scientifiche prima al Governo e solo dopo all’opinione pubblica.
Ma il centrodestra attacca il Governo anche sul fronte dell’immigrazione e dell’ordine pubblico: Matteo Salvini chiede al ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, «un cambio di passo nella lotta alla droga, alla mafia e all’immigrazione clandestina» e si richiama all’«autorevolezza di Draghi, per ottenere quello che Conte non è riuscito ad ottenere».
Intanto, nel Movimento 5 Stelle, si allarga il fronte dei dissidenti. Da quanto trapela, una ventina di senatori, su un totale di 92 pentastellati, sarebbero orientati a non votare la fiducia al Governo mercoledì. In proposito, il reggente del M5S Vito Crimi preannuncia che chi non voterà a favore sarà espulso. Per aggirare la sanzione, allora, i contrari potrebbero optare per la linea dell’astensione, come prefigurano i senatori Barbara Lezzi e Emanuele Dessì. Ma questo dissenso peserebbe molto sulla tenuta della coalizione di Governo, che di fatto nascerebbe già indebolito.