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Creazione account Facebook: quando è reato?

20 Marzo 2021
Creazione account Facebook: quando è reato?

Vorrei creare degli accounts utilizzando come immagine di profilo delle foto di persone ritoccate con FaceApp (praticamente il risultato sarà una persona inventata) e con nomi e cognomi italiani che potrebbero esistere (esempio: Giuseppe Rossi). Vorrei utilizzare questi accounts per offrire un servizio online a pagamento per inserire commenti positivi alle inserzioni pubblicitarie degli utenti. L’utente quindi potrà comprare un determinato numero di commenti. Vorrei inoltre vendere questi accounts. È legale?

Una sentenza del Tribunale di Lecce del 2018 sembra condannare la condotta così come descritta nel quesito. Ma procediamo con ordine.

Al di là delle ipotesi di diffamazione, stalking, adescamento di minori, minacce e altri reati che possono essere commessi più agevolmente sfruttando un’identità falsa, ma che in realtà potrebbero integrarsi anche senza ricorrere a questo stratagemma, la creazione di un profilo falso su un social network può far incorrere nel reato di sostituzione di persona, ma solo al ricorrere di alcune condizioni.

Secondo l’art. 494 del codice penale, chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, induce taluno in errore, sostituendo illegittimamente la propria all’altrui persona o attribuendo a sé o ad altri un falso nome, un falso stato, ovvero una qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici, è punito, se il fatto non costituisce un altro delitto contro la fede pubblica, con la reclusione fino ad un anno.

Come si evince dalla portata dell’articolo, dal punto di vista oggettivo il reato si integra non solo se si “ruba” consapevolmente l’identità di altri, ma anche se ci si attribuisce un’identità totalmente falsa oppure uno stato diverso. Ad esempio, nel 2016. la Cassazione ha stabilito che il marito che si finge single per conquistare l’amante commette il reato di sostituzione di persona.

Affinché però scatti il reato occorre anche l’elemento soggettivo, cioè il dolo, consistente nello scopo di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno mediante induzione in errore. Il concetto di vantaggio non si esaurisce nella sola finalità economica ma è più ampio, coinvolgendo anche quello di visibilità online.

Alla luce di ciò, secondo un’interpretazione strettamente legata al tenore letterale della norma, la condotta prospettata nel quesito, benché consista nell’attribuirsi una falsa identità (anche se non attribuibile precisamente ad alcuno) per ottenere un vantaggio, e cioè il pagamento a fronte dell’inserimento di commenti positivi alle inserzioni pubblicitarie degli utenti, non sembrerebbe configurare il reato di sostituzione di persona perché mancherebbe l’induzione in errore: chi “acquista” i commenti è infatti a conoscenza del modus operandi di colui che crea i falsi profili.

In altre parole, difetterebbe l’elemento dell’induzione in errore: colui che paga per avere il feedback positivo è pienamente consapevole dell’operazione. Peraltro, è noto che tale operazione sia compiuta da molti soggetti pubblici, perfino politici, in genere sotto forma di acquisto di falsi followers.

Secondo la Corte di Cassazione (sent. n. 9391/2014), creare profili falsi su Facebook non è di per sé reato, anche se le regole del social vietano tale pratica. Con la medesima sentenza la Suprema Corte ha specificato che non è reato la mera creazione di fake account Facebook, non riconducibili a una specifica persona: la circostanza integra un semplice illecito civile, per violazione delle regole contrattuali, che verrebbe ad esistenza solo su iniziativa della società ideatrice del programma.

È tuttavia importante che il profilo creato non appartenga ad altri: rubare l’identità costituisce reato, così come diffondere dati personali altrui. Secondo la Corte di Cassazione (sentenza n. 33862 dell’08/06/18), «integra il delitto di sostituzione di persona (art. 494 cod. pen.) la creazione ed utilizzazione di un profilo su social network, utilizzando abusivamente l’immagine di una persona del tutto inconsapevole, trattandosi di condotta idonea alla rappresentazione di una identità digitale non corrispondente al soggetto che lo utilizza».

Anche l’impiego di una foto profilo altrui costituisce reato. Secondo la Suprema Corte, l’utilizzo abusivo dell’immagine di una persona inconsapevole è condotta idonea alla rappresentazione di una identità digitale non corrispondente al soggetto che la usa (Cass., sent. 22049/2020).

È però vero che a essere indotto in errore è colui che legge il commento reputandolo “reale”; tuttavia, non può ritenersi quest’ultimo una persona offesa oppure una vittima della condotta, almeno in senso stretto. All’utenza che legge il commento, infatti, non interessa l’identità di colui che ha espresso il proprio gradimento.

A sommesso parere dello scrivente, dunque, l’operazione, così come prospettata nel quesito, non dovrebbe costituire reato, nei limiti di quanto detto in consulenza e sempre che non vi sia il furto d’identità di persone esistenti.

Non può però essere sottaciuta la sentenza del Tribunale di Lecce (datata 12 settembre 2018) secondo cui sarebbe stato condannato per i reati di truffa e sostituzione di persona un uomo che vendeva pacchetti di recensioni false da pubblicare su TripAdvisor per screditare i ristoratori rivali.

Si tratterebbe di una sentenza senza precedenti che colmerebbe un vuoto normativo ma che, attesa la risonanza che ha avuto, dovrebbe essere vera. La notizia è stata riportata perfino dal Corriere della Sera e da La Repubblica, secondo cui è colpevole colui che vende fake reviews utilizzando false identità. Non c’è quindi motivo di dubitare della sua veridicità.

Come detto, si tratta di una sentenza unica, che al momento non trova il conforto della Corte di Cassazione ma che è probabile diverrà orientamento costante in futuro atteso il fenomeno degli account fake utilizzati per danneggiare gli altri.

Nel caso esposto nel quesito, i profili verrebbero utilizzati per pubblicizzare in positivo e non in negativo una determinata attività o un prodotto; tuttavia, l’affinità delle condotte (quella prospettata nel quesito e quella oggetto di condanna penale da parte del Tribunale di Lecce) sono troppo simili per poter consigliare di intraprendere questo percorso in sicurezza.

Se è vero che il caso affrontato dal Tribunale di Lecce riguardava commenti negativi volti a “picconare” la reputazione di determinati esercenti, è anche vero, però, che le norme che incriminano la sostituzione di persona e la truffa non richiedano che la condotta sia fatta solo per creare nocumento ad altri, essendo sufficiente anche il mero vantaggio di chi pone in essere detta operazione. Da tanto deriva che vendere fake reviews, a prescindere che siano positive o meno, costituisca reato.

Alla luce di questo nuovissimo orientamento giurisprudenziale, il consiglio è di astenersi dal realizzare la condotta ipotizzata nel quesito. La sentenza del Tribunale di Lecce appena citata, tra l’altro, non sembra lasciare spazio a escamotage che rendano legale detta attività: il fine, infatti, è di combattere la moltiplicazione di falsi profili per fini più o meno leciti.

Articolo tratto dalla consulenza resa dall’avv. Mariano Acquaviva



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