Sberle al figlio: si tratta di maltrattamenti in famiglia


Per la Cassazione, la violenza non rientra nei metodi leciti di educazione dei figli e si va oltre l’abuso dei mezzi di correzione.
La Cassazione è in disaccordo con chi pensa che, ogni tanto e quando ci vuole, un bel ripasso ad un figlio a suon di sberle è il metodo educativo più efficace. Sulla validità del sistema si potrebbe discutere per ore. Ma è il sistema in sé che la Suprema Corte boccia sostenendo che l’uso della violenza verso i figli deve essere considerato una forma di maltrattamenti in famiglia e non un semplice abuso dei mezzi di correzione.
Con una sentenza appena depositata [1], la Cassazione ha ricordato – semmai ce ne fosse bisogno – che la violenza non rientra tra i metodi leciti di educazione dei figli. Lo ha fatto esaminando il caso di una coppia di genitori che non si ponevano troppi problemi a punire la figlia dodicenne a suon di botte, mandando nel panico anche l’altra figlia di tre anni, terrorizzata dal clima di paura e di violenza e pronta a ripararsi dietro la sorella più grande quando le cose si mettevano male. Entrambi i genitori sono stati condannati per il loro comportamento, tenuto in un contesto di grave disagio sociale provocato per l’abuso di alcol da parte del padre e per le precarie condizioni di salute della madre.
Una situazione che ha reso la ragazzina prigioniera dei suoi genitori, pronti a punirla severamente e a malmenarla nel caso in cui non si occupasse a dovere delle faccende domestiche.
Al di là dei casi estremi, comunque, la Cassazione ha ribadito la gravità del ricorso alla violenza come forma di correzione e di educazione dei figli. Già il Codice penale punisce chiunque abusa dei mezzi di correzione o di disciplina «in danno di una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia» con la reclusione fino a sei mesi «se dal fatto deriva il pericolo di una malattia nel corpo o nella mente» [2]. Se, invece, dal fatto deriva una lesione personale, la pena oscilla tra tre e sette anni. Reclusione fino a otto anni, invece, se ne consegue la morte.
Tuttavia, secondo la Cassazione, quando i genitori prospettano e usano violenza nei confronti dei figli come metodo correttivo, si configura il reato ben più grave – per modo di dire – dei maltrattamenti in famiglia [3], che viene visto come aggravante del reato di abuso dei mezzi di correzione. In questo caso, il Codice punisce chiunque maltratta una persona della famiglia o comunque convivente o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, con la reclusione da tre a sette anni.
Ci sono, però, delle «aggravanti nell’aggravante». La pena, infatti, aumenta fino alla metà se il fatto è commesso in presenza o in danno di persona minore (come nel caso della sentenza in commento), di donna in stato di gravidanza o di persona con disabilità. Si rischia ancora di più se la vittima dello «sfogo» dei genitori è minore di 14 anni e se dal fatto derivano delle lesioni.
Da aggiungere, infine, che il minore di 18 anni che assiste ai maltrattamenti si considera persona offesa dal reato. In questo caso, ben si può dire che si debba ritenere persona offesa la bambina di 3 anni costretta ad assistere ai maltrattamenti nei confronti della sorella maggiore.
note
[1] Cass. sent. N. 7518/2021.
[2] Art. 571 cod. pen.
[3] Art. 572 cod. pen.
Io sono sempre stata contraria alle sberle ai figli. Non vale il detto che i figli crescono meglio con qualche schiaffo. Se gli insegniamo sin da piccoli a subire la violenza in famiglia, anche se si tratta di un semplice schiaffo non doloroso, loro accumuleranno rabbia e magari finiranno per diventare adulti violenti e penseranno che con la violenza si possono risolvere i problemi e si può “raddrizzare” una persona. Oppure finiranno per crescere e magari subire dal proprio partner violenze e a pensare di essersele meritate per qualche comportamento sbagliato
Qualcuno confonde i concetti, vedo. Vi è una differenza abissale dal coprire di botte un figlio perché si è genitori alcolizzati, al somministrare invece una sana sculacciata educativa al figlio che dopo ripetute osservazioni con tanto di spiegazioni dolci persevera a far quel gli pare. Affermare che una sculacciata sia una forma di violenza è un non-senso che, secondo me, andrebbe scardinato dalla società moderna in quanto oggi domina la mentalità lassista che accomuna la stragrande maggioranza dei genitori i quali non sculacciano mai i figli perché “è vietato” e in nome della “disciplina dolce” tirano su questo oceano di mostri malati di cannabis e sesso perverso che affligge la gioventù moderna.
Ci sono altri modi per insegnare l’educazione ai figli e la violenza non è uno di questi! Si possono creare delle strategie che possano consentire al bambino di replicare un comportamento positivo ed evitare i comportamenti che possano rappresentare un problema. Ma tutto deve partire dai genitori che devono seguire la medesima linea educativa e trovare delle soluzioni e delle giuste punizioni a fronte della disobbedienza del piccolo
Nel 2020 parliamo ancora di schiaffi e altre forme di punizioni corporali per insegnare al proprio figlio come ci si comporta? Non siamo mica all’età delle caverne. Bisogna trovare il giusto modo di comunicare con il bambino e fargli capire ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.
Ci sono tante storie di piccoli che sono vittime dei maltrattamenti in famiglia perché i genitori fanno uso di droghe, abuso di alcol e non sono in grado di crescere un figlio e allora scaricano la loro frustrazione e il loro malessere su queste povere creature innocenti. A questi genitori, incapaci di ricoprire il loro ruolo genitoriale, non glieli farei neppure vedere i figli!