I risultati dei testi sugli animali sono stati sorprendenti. Il prossimo passo è quello di provare il medicinale sull’uomo.
È il tipo di demenza più conosciuto: in Italia, ne soffre oltre un milione di persone, nel mondo circa 35 milioni stando a quanto riporta l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). Il morbo di Alzheimer consiste in un deterioramento progressivo delle funzioni cognitive.
Secondo dati del ministero della Salute, colpisce per lo più dopo i 65 anni e, nella stragrande maggioranza dei casi, sono le donne ad ammalarsi. Attualmente, non esiste una cura, ma la scienza ha fatto passi da gigante nell’affinare le terapie in modo tale da renderle in grado di rallentare il decorso della malattia.
Una nuova speranza, adesso, arriva dagli studi dei ricercatori dell’Università della California a San Diego e del Massachusetts General Hospital. Il team di ricerca ha appena finito di testare un farmaco su animali da laboratorio. Sui risultati incoraggianti dei primi test, è stato pubblicato un articolo sulla prestigiosa rivista scientifica Journal of Experimental Medicine.
Il medicinale, sperimentato su scimmie e roditori, non fa altro che limitare la produzione di quelle che, tecnicamente, sono chiamate placche amiloidi: accumuli di proteine nel cervello che sono il caratteristico modo di manifestarsi del morbo.
Questi accumuli uccidono i neuroni ed è così che provocano il decadimento cognitivo alla base della malattia, che a sua volta può avere numerose conseguenze: perdita di memoria, smarrimento, inclinazione a perdere oggetti, cambiamenti di umore repentini, difficoltà a parlare, a scrivere e a portare a termine anche i più banali compiti della vita quotidiana.
La novità del medicinale sperimentato dai ricercatori è nel suo modo di agire. In genere, i trattamenti terapeutici per contrastare i sintomi dell’Alzheimer si basano su farmaci che inibiscono l’enzima coinvolto nella produzione delle placche amiloidi (che si chiama gamma-secretasi o gsm).
La nuova medicina, invece, non blocca completamente l’enzima, ma lo modula. In questo modo, l’attività di gamma-secretasi viene artificialmente alterata al fine di produrre meno peptidi A-beta, direttamente responsabili dell’accumulo di proteine a livello cerebrale.
Gli esperimenti di laboratorio hanno dimostrato che dosi leggere di questo medicinale, somministrate a un modello di ratti con insorgenza precoce di Alzheimer, sono sufficienti a impedire che siano prodotti peptidi A-beta, con una riduzione molto consistente delle placche amiloidi. Inoltre, non sono stati registrati effetti collaterali tossici, il che dà buone garanzie anche sulla sicurezza del farmaco.
Nei macachi, altri animali sui quali è stato testato, il medicinale a base di modulatori della gamma-secretasi ha prodotto una diminuzione della formazione di placche amiloidi pari al 70 per cento. Non solo si restringe notevolmente il numero di questi anomali accumuli di proteine, ma anche l’infiammazione che a esse consegue e che si pensa possa, in qualche misura, contribuire all’avanzamento della malattia.
Il prossimo passo, dunque, visti i buoni risultati ottenuti, sarà quello di avviare una sperimentazione clinica del farmaco sugli uomini.