Scuola: nessuna data per la riapertura


Il ministro dell’Istruzione Bianchi: «Non dipende solo dal Governo ma da tutto il Paese». Protestano i genitori. Medici e infermieri in subbuglio.
È un vero e proprio braccio di ferro quello in corso tra il Governo ed i genitori dei bambini costretti a rimanere a casa per la chiusura delle scuole a causa del Covid. E le notizie che arrivano dal ministero dell’Istruzione non sono confortanti: una data per la riapertura ancora non c’è. Il ministro Patrizio Bianchi, partecipando ad un seminario sull’autonomia scolastica, lo ha detto chiaro e tondo: «Non c’è un orizzonte per la riapertura, è la nostra capacità di essere uniti che ci dà l’orizzonte, la responsabilità non è solo del Governo, è di tutto il Paese».
Quell’orizzonte così lontano, però, non piace ai genitori che in più città italiane hanno dato il via alla protesta contro le aule deserte e l’obbligo della didattica a distanza. Un po’ perché preoccupati di vedere i bambini isolati in casa, senza avere rapporti con i compagni se non attraverso un monitor. E un po’ perché una situazione del genere non è facile da gestire, soprattutto per chi ha figli piccoli. Le chances che papà e mamma lavoratori hanno in mano non sono molte: prendersi le ferie, chiedere un congedo o chiamare (e pagare) una baby sitter. A questo proposito, il decreto Sostegno che verrà approvato in settimana conterrà dei fondi per le famiglie e per le scuole. Ma forse non basterà a calmare gli animi di chi, nel frattempo, deve metterci una pezza. Tenendo conto, oltretutto, della raccomandazione ufficiale di non portare i bambini dai nonni per evitare altri contagi.
Ad alimentare le polemiche, la decisione di tenere a casa anche i figli del personale sanitario. Medici e infermieri sbarrano gli occhi di fronte a una decisione che potrebbe pesare su un servizio così indispensabile in questo momento come la sanità. Il ministero non vuole fare differenze: la professione dei genitori non è un motivo sufficiente per portare i bambini in aula. Se non altro, perché non c’è un decreto che lo consenta.
«Siamo sconcertati per il susseguirsi di decisioni contrastanti sulla possibilità per i figli dei medici, degli odontoiatri e dei sanitari in genere di poter frequentare la scuola in presenza», fa sapere il presidente della Federazione nazionale Ordini dei medici chirurghi e odontoiatri, Filippo Anelli. «Avevamo chiesto per l’8 marzo un cambio di passo nelle organizzazioni sociali, che consentisse alle professioniste e ai professionisti di conciliare la vita lavorativa con quella familiare: invece, i nostri figli trovano chiuse in molte regioni, e senza preavviso, le porte dei loro istituti scolastici». Anelli chiede di «ripristinare subito la delega. È un giusto riconoscimento del ruolo che, tutti in egual misura, ricoprono nella gestione della pandemia. La scuola deve accogliere i figli dei sanitari, dando modo ai genitori di continuare a svolgere la loro professione con serenità».
Dello stesso parere il sindacato degli infermieri: «La scuola in presenza, nelle zone rosse, va garantita anche ai figli del personale sanitario», sostiene Nursind. «La categoria degli infermieri, che è costituita in larga parte da donne, infatti, non può trovarsi di fronte al vicolo cieco di dover continuare a lavorare al servizio della collettività nella lotta al Covid e vedersi costretta ad abbandonare i propri figli minorenni a casa».