Prostituzione: l’obbligo di pagare le tasse è già esistente e non richiede una norma apposita.
Torna sempre, con una certa periodicità, il discorso della legalizzazione della prostituzione nel nostro Paese: un discorso che, immancabilmente, finisce sempre per sposarsi con quello del mancato gettito fiscale derivante dall’evasione praticata dalle stesse lucciole. Al di là dei luoghi comuni, però, la questione sul fatto che le prostitute non siano tenute a pagare le tasse sembra non avere alcun fondamento giuridico; perché – piaccia o meno – al di là della circostanza se il contratto con una squillo possa essere considerato nullo (avendo esso una “causa”, ossia uno scopo contrario al buon costume), esso è comunque soggetto a tassazione. In parole molto semplici, esiste già una legge che impone a chi pratica il meretricio di pagare le tasse. E si tratta della legge generale, valida per tutti i cittadini, che impone a chiunque abbia un reddito di dichiararlo allo Stato e di pagarvi le relative imposte.
La questione, peraltro, è stata affrontata qualche anno fa dalla stessa Cassazione [1], secondo cui non vi è dubbio alcuno che i proventi derivanti dalla prostituzione debbano essere sottoposti a tassazione, dal momento che, pur essendo una attività discutibile sul piano morale, non può essere certamente ritenuta illecita.
E che la prostituzione non costituisca reato – così come non commette reato chi utilizza le prestazioni delle prostitute – non è più un mistero. Lo abbiamo chiarito, tempo fa, in un articolo (leggi “Prostituzione: cosa è lecito e cosa non lo è”). Illecito è invece lo sfruttamento della prostituzione, che può avvenire anche con forme simulate: tipico è il caso del proprietario di un appartamento il quale fitti l’abitazione a una donna, consapevole dell’attività di prostituzione da questa esercitata nell’immobile, e chiedendole un canone di locazione cinque volte più alto della media.
Allora, la questione tanto dibattuta sulla necessità di legalizzare la prostituzione solo per ricavare maggiori tasse è solo una discussione fondata su luoghi comuni, ma che non risolve il problema dell’attitudine di certe professioni ad evadere comunque.
note
[1] Cass. sent. n. 20528 del 1.10.2010.
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Consiglio a tutte ex colleghe dopo la mia esperienza con la finanza e agenzia delle entrate..penso di aver imparata qualcosa che possa essere utile a voi.
Dadesso chi vuoi mettersi in regola con la propria attivita da escort, squillo,accompagnatrice, stradale, ecc… della prostituzione in generale si può. Lo stato non ha legalizzato la professione prostituta ma cè un codice attività che va benissimo il cod. 96.09.09 (Altre attività di servizio alla persona non comune altrove) è inutile continuare la bataglia che volete pagare le tasse come prostitute e che nel modulo dichiarazione rediti deve avere il nome prostituta. NON SI PUOOO! Inutile protestare contro l’agenzia delle entrate che volete il nome “prostituta” come codice attivita. Se volete veramente mettervi in regola ecco cosa de fare!
Leggete bene:
La prostituzione in Italia è già tassata, questo grazie all’articolo 36 comma 34bis della Legge 248/2006, come chiarificato dalla Cassazione con le Sentenze n. 10578/2011 e 18030/2013. Il relativo codice è quello 96.09.09 “Altre attività di servizio alla persona non comune altrove”. Cosa spettano i sex workers ad aprire la partita IVA per la rispettiva attività? 96.09.09 “Altre attività di servizi per la persona”
Il codice 960909 altre attività alla persone altrove nca(non comune altrove) è quello che usano anche ragiorini, ecc… lavoro autonomo. Puttane di lusso o meno lusso se non volete accerttamento fiscale mettetevi in regola aprendo la partita IVA 960909 con gestione separata INPS. Poi se nei ultimi 3 anni non ha apertonessuna partita IVA o società puo entrare nel regime minimo che non è male(che non supera 30 mila euro all’anno) . Altrimenti paga tutte le tasse in pieno e loro non romperano piu i coglioni a chi è in possesso della P. IVA codice attivita 960909
Gaia Montebello
Grazie Gaia per il tuo commento.