Multa a locale aperto malgrado i divieti: quando è nulla


L’esercente può rimanere aperto se il Comune non spiega nel provvedimento quali sono le esigenze della chiusura: così la sanzione per mancata chiusura cade.
In periodo di emergenza Covid, fioccano le multe per i trasgressori ai divieti di chiusura imposti agli esercizi commerciali nelle varie zone rosse e arancioni d’Italia oppure nei periodi di lockdown e negli orari di coprifuoco. Molti negozi, bar e ristoranti hanno deciso di rimanere aperti nonostante le restrizioni imposte dal Governo o dalle ordinanze regionali e comunali, a costo di essere sanzionati. Così fioccano le multe, di 400 euro l’una, e le sospensioni dell’attività per almeno 5 giorni.
Molti esercenti contravvenzionati si chiedono se queste sanzioni siano legittime oppure se possano essere contestate e annullate, e in caso affermativo per quali motivi. Quando è nulla la multa a locale aperto malgrado i divieti? Uno spiraglio di soluzione arriva dalla Corte di Cassazione, che con una nuova ordinanza [1] ha stabilito l’illegittimità delle chiusure disposte dai Comuni.
Attenzione: la pronuncia non riguarda le norme restrittive anti-Covid stabilite nei Dpcm che si sono susseguiti durante la pandemia, ma una “normale” ingiunzione del sindaco che era stata adottata, in un periodo ben precedente al lockdown e all’insorgenza del Coronavirus, nei confronti di un locale che non si era attenuto agli orari stabiliti. I principi esposti dalla Suprema Corte, però, riguardano comunque le sanzioni amministrative disposte per violazione delle norme sulla chiusura degli esercizi commerciali, che sono di natura regolamentare, sicché il giudice le può disapplicare quando le ritiene in contrasto con le leggi e con la Costituzione, come è avvenuto nel caso deciso.
Indice
- 1 Violazione del divieto di chiusura degli esercizi commerciali
- 2 Sanzioni per violazione dei divieti Covid
- 3 Multe per violazione dei divieti di chiusura: come contestarle
- 4 La limitazione degli orari di apertura da parte dei Comuni
- 5 Quando le chiusure dei locali sono illegittime
- 6 I poteri di chiusura del sindaco
Violazione del divieto di chiusura degli esercizi commerciali
«Quale legale rappresentante della società o ditta, titolare di autorizzazione alla somministrazione di alimenti e bevande, non rispettava gli orari di chiusura al pubblico imposti da…»: è questa la formula ricorrente, con poche variazioni, dei verbali di trasgressione elevati dalle forze di Polizia ai trasgressori colti con l’esercizio aperto negli orari non consentiti.
In concreto, nel verbale elevato a carico del responsabile dell’infrazione cambia solo l’indicazione della norma violata: potrà essere, a seconda dei casi, il Dpcm valido su tutto il territorio nazionale, oppure un’ordinanza regionale o una delibera comunale che ha fissato criteri più restrittivi nel proprio territorio locale.
Sanzioni per violazione dei divieti Covid
In epoca di Coronavirus, le sanzioni per la violazione delle misure di contenimento, previste dai vari Dpcm che si sono susseguiti ormai da più di un anno, prevedono [2] una pena amministrativa pecuniaria minima di 400 euro e massima di 3.000 euro (ridotta di un terzo del minimo se si paga entro 5 giorni, quindi 280 euro) cui si aggiunge la sanzione accessoria, irrogata dal Prefetto, della chiusura dell’attività da 5 a 30 giorni; l’autorità che accerta le violazioni può disporre la chiusura provvisoria dell’esercizio fino a 5 giorni (questo periodo viene scomputato dalla successiva sanzione accessoria).
In caso di recidiva, quando cioè avviene la reiterazione delle violazioni (ne bastano due), la sanzione amministrativa pecuniaria è raddoppiata e quella accessoria viene applicata nella misura massima. Quindi, l’esercente colto dalle forze dell’ordine in “fragrante apertura” per la seconda volta rischia una multa di non meno di 800 euro e la chiusura del locale per un mese intero.
Multe per violazione dei divieti di chiusura: come contestarle
Le sanzioni applicate per la violazione dei divieti di chiusura sono di carattere amministrativo e possono essere contestate tramite ricorso al giudice di Pace competente per territorio o, in alternativa, all’autorità che le ha irrogate: quindi, se il verbale è stato elevato dalla Polizia municipale, si dovrà ricorrere al Comune, mentre per le multe elevate dalle forze dell’ordine a livello nazionale (Polizia di Stato, Carabinieri e Guardia di Finanza) il ricorso dovrà essere indirizzato al Prefetto.
Il termine utile per presentare il ricorso è di 30 giorni dalla consegna diretta o dalla notifica del verbale con lettera raccomandata o Pec. Se il ricorso è stato presentato all’autorità amministrativa ed essa lo respinge, verrà emessa un’ordinanza ingiunzione con un importo raddoppiato rispetto alla sanzione originaria; questo provvedimento è impugnabile davanti al giudice di Pace entro 30 giorni dalla notifica.
La limitazione degli orari di apertura da parte dei Comuni
Gli Enti locali possono disciplinare il funzionamento degli esercizi commerciali nei propri territori, comprese le attività di somministrazione di alimenti e bevande, regolando gli orari di apertura e chiusura al pubblico ed altre modalità di svolgimento delle prestazioni ai clienti o di tenuta dei locali. Lo prevede la Costituzione italiana, disciplinando la potestà legislativa concorrente tra Stato e Regioni ed il principio di sussidiarietà [3], e una norma di legge statale [4] ha stabilito i limiti e prescrizioni delle attività commerciali del settore alimentare e di somministrazione di alimenti e bevande.
Su questa normativa nazionale di settore si appoggiano le varie leggi regionali ed i regolamenti comunali, o anche le ordinanze dei sindaci, che nell’ambito delle rispettive attribuzioni fissano gli specifici orari di apertura e di chiusura, valevoli anche per circoscritte zone territoriali ed alcuni periodi dell’anno. Di conseguenza, le violazioni dell’obbligo di chiusura negli specifici orari stabiliti vengono sanzionate con le modalità fissate in tali provvedimenti: gli importi variano in base a ciò che l’Ente locale ha stabilito e, spesso, sono superiori a quelli fissati dalla normativa nazionale sull’emergenza Covid-19.
Quando le chiusure dei locali sono illegittime
La Corte Costituzionale [5], già nel 2017, aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale delle disposizioni normative regionali che introducevano vincoli alle attività commerciali, poiché in contrasto con la normativa nazionale [6] che, dal 2011 in poi, aveva eliminato i principali limiti concernenti gli orari di chiusura.
Da qui la Cassazione, nella nuova sentenza cui abbiamo accennato [1], ha potuto affermare l’illegittimità degli atti amministrativi o regolamentari attuativi delle disposizioni regionali che non si sono attenute alla normativa statale. Sembra complicato, ma si tratta di capire il principio di gerarchia delle fonti del diritto: ogni norma ha un livello, un vero e proprio grado, e deve muoversi nello spazio che gli è attribuito e concesso dalla norma di grado superiore; non può superarlo, a pena di invalidità. Così una norma sottordinata, come un regolamento comunale, non può derogare ad una norma che è ad essa sovraordinata, come una legge regionale, ma anche quest’ultima deve sottostare alla normativa di legge nazionale, la quale, a sua volta, deve rispettare i principi fissati dalla Costituzione, cui devono conformarsi tutte le fonti inferiori.
Anche le norme sanzionatorie rientrano in questo meccanismo: in uno Stato di diritto, a differenza delle monarchie assolute e dei sistemi feudali, nessuna pena può essere applicata se non c’è un provvedimento normativo che la prevede. Ad esempio, tutte le sanzioni penali sono riservate allo Stato, mentre quelle amministrative possono essere disposte anche dagli Enti locali territoriali: Regioni, Province e Comuni (più altre autorità, come le Aziende sanitarie o le Agenzie fiscali, che qui non rilevano ai fini del nostro argomento).
Nella vicenda esaminata dalla Suprema Corte, la conseguenza pratica è stata che un regolamento adottato da un Comune dell’Emilia-Romagna con delibera, che richiamava una legge regionale giudicata illegittima dalla Corte Costituzionale, è stato disapplicato «in quanto illegittimo ai fini dell’esercizio dell’azione sanzionatoria amministrativa»: in poche parole, la multa formulata su tali basi all’esercente è nulla e i giudici di piazza Cavour hanno così annullato l’ordinanza ingiunzione che aveva applicato la sanzione di 500 euro per mancata chiusura di un locale di somministrazione alimenti e bevande.
I poteri di chiusura del sindaco
Gli Ermellini hanno fatto però «salvo l’esercizio del potere del sindaco di adottare ordinanze contingibili ed urgenti» in base al Testo Unico degli Enti Locali [7], con cui possono essere imposti orari di chiusura degli esercizi commerciali, purché tali ordinanze siano adeguatamente motivate e temporalmente limitate. Così, ad esempio, potrà ritenersi legittima un’ordinanza del sindaco che dispone la chiusura di bar, pizzerie, pasticcerie, yogurterie e ristoranti per 15 giorni a causa di ravvisate esigenze sanitarie e di tutela della salute pubblica (come un’epidemia in atto), che dovranno essere compiutamente esposte nel provvedimento, per dimostrare le ragioni di effettiva necessità di limitare la libertà di azione degli esercenti.
note
[1] Cass. ord. n.6895/21 del 11.03.2021.
[2] Art. 4 D.L. 24 marzo 2020, n. 19, richiamato dai provvedimenti successivi, fino al D.L. 23.02.2021 n.15, su cui si innesta l’attuale Dpcm del 02.03.2021 valevole fino al 06.04.2021.
[3] Art. 117 Cost.
[4] Art. 3 D.L. n.233/2006.
[5] C.Cost. sent. n. 239/2016 e sent. n. 98/2017.
[6] D.L. n.201/2011 (decreto “Salva Italia”).
[7] Art. 50, comma 5, D.Lgs. n. 267/2000.