Un anno dopo il primo lockdown siamo punto e a capo. Solo che ora paghiamo il prezzo di 12 mesi da incubo. E la stanchezza ha preso il posto della paura.
Non tutti i mali vengono per nuocere, dice il proverbio. Se proprio l’Italia ci deve credere, lo fa sulla fiducia perché i fatti dicono che, finora, tutti i mali continuano a nuocere gravemente a questo Paese. Da ogni punto di vista: da quello sanitario, da quello economico, da quello psicologico. E ora, di nuovo, da quello sentimentale e affettivo, dopo la notizia che per la seconda Pasqua consecutiva (la terza, se si considera che anche il Natale è una Pasqua) si dovrà rinunciare a stare con i propri cari. Con i genitori anziani, con i figli che abitano a due chilometri ma in un altro Comune, con la persona che vive da sola in un bilocale da 50 metri quadri a cui si vorrebbe offrire una fetta di colomba, un bicchiere di spumante e un po’ di umana compagnia.
Un anno fa, il 12 marzo 2020, entrò in vigore il primo lockdown duro nazionale contro il Covid, con la chiusura di tutte le attività commerciali. Un anno dopo, il 12 marzo 2021, ci piomba sulla testa un altro decreto che ci fa capire come siamo messi: come allora, con la prospettiva che il peggio deve ancora arrivare. Ma con l’aggravante – non da poco – che oggi paghiamo il prezzo di tutto il male che il Covid ci ha fatto finora. Che da due mesi è iniziata una campagna vaccinale inesistente a marzo dell’anno scorso. E che, mentre altri Paesi hanno messo il turbo sulla distribuzione delle dosi, qui si sta ancora litigando su chi le deve fare, dove devono essere fatte, quando devono essere fatte, quando arriveranno le fiale che mancano, perché alcuni furbetti hanno avuto la corsia preferenziale.
Mentre decine di parlamentari chiedono di dare la priorità a deputati, senatori e sindaci, un uomo di 96 anni di Bergamo si è presentato davanti alle telecamere di Piazzapulita (La7) per chiedere come mai non è stato ancora chiamato a ricevere il vaccino. Se perfino il sottosegretario alla Salute, Pierpaolo Sileri, ha dovuto chiedere scusa e dire che si informerà sull’episodio, vuol dire che siamo ufficialmente rovinati.
Il nuovo decreto legge di Pasqua comporterà altre chiusure a raffica proprio quando alcune categorie come quelle del turismo e della ristorazione potevano recuperare una minima ma importante parte delle perdite che subiscono per decreto da un anno a questa parte. Da tempo, attendono una mano dallo Stato attraverso quelli che il Governo chiamava ristori e oggi definisce sostegni. I tempi della politica sono quelli che sono, ben diversi da quelli della fame e dei creditori che vogliono incassare i debiti. Molti di questi imprenditori ed esercenti sono ufficialmente rovinati.
Nell’ultimo anno, da quel primo lockdown nazionale del 12 marzo 2020, la pazienza e la diligenza dimostrata dagli italiani si è trasformata in disperazione. All’inizio, il «mostro» del coronavirus faceva paura a tutti e si era più disposti a rispettare le regole. Oggi, basta una domenica di sole per inondare piazze, giardini e vie della città perché il «ce la faremo» si è trasformato in un «non ce la facciamo più».
Oggi, non si parla più di «coronavirus» ma di «Covid»: si fa più in fretta a liquidare quella parola tanto scomoda, fastidiosa, di cui si sente parlare ad ogni minuto. Il Governo chiede di stare a casa e chiude, gli italiani non vogliono stare a casa ed escono. Così il Governo cerca di stringere di più le misure perché i contagi aumentano ma più stringe e più cresce la voglia degli italiani di muoversi liberamente. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: più gli italiani vanno in giro il sabato e la domenica e più il Governo decide di chiudere bar, ristoranti, centri di aggregazione, cinema, teatro, musei, negozi di abbigliamento o di parrucchiere, centri estetici, palestre, piscine. E sono i titolari di queste attività a pagare quel «non ce la facciamo più» degli italiani.
Ma c’è un ulteriore motivo per dire che siamo ufficialmente rovinati: il fatto che non tutti si rendono conto del fatto che siamo ufficialmente rovinati. Che la chiusura delle scuole per l’aumento dei contagi sta distruggendo l’istruzione dei nostri ragazzi, costretti ad una faticosa quanto poco efficace didattica a distanza. Si dice che un ragazzo sta meno attento davanti ad un computer che in aula, ed è vero. Ma provate a pensare a un docente che deve tenere a bada un gruppo di studenti dislocati ciascuno a casa sua e dall’altra parte di un monitor. Chi farà crescere un domani un Paese a cui manca la preparazione? Senza attendere un domani, il solo fatto di pensare che le scuole possano chiudere perché non si è capaci di rispettare le regole, perché non si è in grado di portare avanti seriamente una campagna vaccinale, perché si preferisce ammassarsi in città pur di uscire anziché prendere in sicurezza un caffè al bar per far lavorare il barista, ecco: il solo pensiero che tutto questo possa accadere fa pensare che siamo ufficialmente rovinati. Ma forse facciamo ancora in tempo a metterci una pezza. La Pasqua, ormai, è andata. Una prova di Maturità la si potrà dare se, guardando il mese di giugno, verrà data la priorità alle pagelle dei nostri ragazzi anziché ai dépliant delle vacanze.
note
Immagine scattata da Carlos Arija giovedì 12 marzo 2020 alle 11 del mattino nel centro di Milano, a due passi dal Castello Sforzesco.
tutto questo teatrino delle scadenze, delle prenotazioni,,tutto studiato per dilatare nel tempo la soluzione,,,perch è coloro che ci governano non hanno ordinato vaccini a sufficienza,,troppo impegnati a discutere di nuovi partiti…paese alla deriva,,nessuna soluzione fino a quando si consente a persone impreparate di improvvisarsi ministri, la dove in altri paesi per svolgere questa funzione devi aver frequentato scuole di alta amministrazione