Il lavoratore ha diritto a svolgere, durante il rapporto di lavoro, le attività per le quali è stato assunto a tutela del suo bagaglio professionale.
Hai studiato molti anni per diventare infermiere professionista. Finalmente, sei riuscito ad ottenere la laurea in scienze infermieristiche e sei stato assunto come infermiere in una casa di cura privata. Il datore di lavoro, tuttavia, ti ha assegnato mansioni che rientrano nel profilo, più basso, dell’operatore sanitario. Ti chiedi quali sono i limiti per la modifica delle mansioni, cosa puoi fare per tutelare i tuoi diritti e il tuo bagaglio professionale.
La legge tutela la professionalità dei lavoratori prevedendo che il datore di lavoro debba assegnare loro le mansioni per cui sono stati assunti o mansioni di livello equivalente. Non è possibile, infatti, depauperare la professionalità del lavoratore adibendolo a mansioni inferiori.
In quali casi, è possibile la modifica delle mansioni e con quali limiti? Come vedremo, la legge riconosce al datore di lavoro il potere di modificare in modo unilaterale le mansioni cui è addetto il dipendente ma nel rispetto di stringenti limiti fissati direttamente dalla norma. In caso contrario, il provvedimento con cui vengono variate le mansioni è illegittimo.
Indice
Modifica delle mansioni: è possibile?
Le mansioni sono un elemento essenziale del contratto di lavoro poiché identificano la prestazione di lavoro che il dipendente dovrà svolgere in esecuzione del rapporto contrattuale. Le mansioni sono, infatti, le concrete attività che il lavoratore deve svolgere. Solitamente, l’insieme delle mansioni contrattuali è riassunto nella qualifica assegnata al dipendente che esprime il ruolo dello stesso nell’ambito dell’organizzazione aziendale del datore di lavoro.
La legge [1] prevede che il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o alle mansioni superiori cui è stato successivamente adibito. Viene, comunque, consentito al datore di lavoro di modificare unilateralmente le mansioni del dipendente (cosiddetto ius variandi) a condizione che le nuove attività assegnate rientrino nello stesso livello di inquadramento e nella medesima categoria legale delle mansioni previste nella lettera di assunzione. Se, ad esempio, un dipendente è stato assunto per svolgere una qualifica impiegatizia di cui al III livello del Ccnl Commercio, l’azienda potrà spostarlo in un’altra posizione di lavoro a condizione che la nuova qualifica rientri sempre nella categoria impiegatizia e nel III livello della scala di classificazione del personale.
Modifica in pejus delle mansioni: è possibile?
In linea generale, il lavoratore non può essere adibito a mansioni appartenenti ad un livello inferiore poiché, in questo modo, verrebbe a prodursi un danno alla professionalità del lavoratore. A questo principio si applica, tuttavia, una deroga. In caso di modifiche organizzative che incidono direttamente sulla posizione del lavoratore, infatti, la legge consente al datore di lavoro di adibire il lavoratore a mansioni appartenenti al livello immediatamente inferiore della scala di classificazione del personale e a condizione che rientrino nella medesima categoria legale. In questo caso, infatti, la legge considera prioritario tutelare il posto di lavoro del dipendente, che potrebbe essere soppresso a causa di modifiche organizzative aziendali. Tale ipotesi di demansionamento legittimo è assistita, comunque, da particolari tutele per il lavoratore.
Innanzitutto, si prevede il mantenimento del livello di inquadramento e della retribuzione originari, salva la possibilità di perdere eventuali indennità erogate per le mansioni specifiche svolte. Se, ad esempio, il dipendente svolgeva mansioni di cassiere e viene spostato ad una qualifica di livello inferiore, manterrà il livello e la retribuzione del cassiere ma perderà l’indennità di cassa poiché le nuove mansioni non implicano il maneggio del denaro.
Oltre alla predetta ipotesi. la modifica peggiorativa delle mansioni è possibile solo con il patto di demansionamento, ossia, un accordo stipulato dal datore di lavoro e dal lavoratore di fronte ad una sede protetta (sindacato, commissioni di conciliazione, Ispettorato del lavoro, etc.) che può prevedere la modifica, in senso peggiorativo per il lavoratore, delle mansioni, della categoria legale, della retribuzione, del livello di inquadramento.
Il patto di demansionamento è legittimo solo se persegue l’interesse del lavoratore a:
- salvaguardare l’occupazione;
- acquisire una nuova professionalità;
- conciliare esigenze di vita e di lavoro.
Impugnazione del cambio di mansione: come fare?
Al di fuori delle ipotesi che abbiamo esaminato ogni provvedimento di modifica delle mansioni assunto al di fuori dei limiti previsti dalla legge è illegittimo ed espone il datore di lavoro a due tipi di azione da parte del lavoratore:
- l’impugnazione del cambio di mansione: si tratta dell’azione volta ad ottenere la declaratoria di illegittimità della modifica delle mansioni ed il ripristino delle mansioni contrattuali;
- il risarcimento del danno: il dipendente, oltre a chiedere il ripristino delle mansioni previste dal contratto, può chiedere il risarcimento del pregiudizio sofferto a causa dell’illegittima modifica delle mansioni, ossia, il danno alla professionalità e l’eventuale danno biologico.
A tal fine, il dipendente può, dapprima, agire in via stragiudiziale inviando una lettera legale al datore di lavoro e, in caso di mancato esito positivo di questo tentativo, presentare ricorso al giudice del lavoro competente.
note
[1] Art. 2103 cod. civ.