Blocco dei licenziamenti verso l’ampliamento


La relazione illustrativa del decreto Sostegni, contrariamente a quanto stabilito nel decreto, parla di divieto anche per chi non chiede la cassa in deroga.
Potrebbero essere molte di più del previsto le aziende a cui verrà vietato di licenziare per motivi economici fino al 31 ottobre. Lo prevede la relazione illustrativa del decreto Sostegni presentata in Senato, dove il provvedimento approvato nei giorni scorsi dal Governo e pubblicato in Gazzetta Ufficiale all’inizio di questa settimana fa il primo passo parlamentare per la conversione in legge.
Secondo il testo originale del decreto, sono bloccati i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo fino al 30 giugno nelle aziende che ricorrono alla cassa integrazione ordinaria. Per chi, invece, utilizza la cassa integrazione Covid, la cassa in deroga o l’assegno ordinario, il divieto si prolunga fino al 31 ottobre 2021. In quest’ultimo caso, si parla di aziende che normalmente non fruiscono di ammortizzatori sociali e che ora sono costrette ad appoggiarsi a forme di sostegno al reddito per via dell’emergenza coronavirus.
Il decreto prevede alcune deroghe al divieto, che riguardano le imprese:
- in fallimento senza esercizio provvisorio;
- in cessazione definitiva dell’attività d’impresa;
- in cessazione definitiva conseguente alla messa in liquidazione della società senza continuazione, anche parziale, dell’attività;
- che siglano un accordo collettivo aziendale di incentivazione all’esodo, limitatamente ai lavoratori che aderiscono e che, così, possono accedere alla Naspi.
Ora, la relazione illustrativa giunta a Palazzo Madama per la conversione in legge del decreto, e pubblicata sul sito del Senato, propone una lettura diversa. Si sostiene, infatti, che rientrano nel blocco dei licenziamenti anche le aziende che non ricorrono alla cassa integrazione in deroga, il che allargherebbe di non poco la platea.
Si tratta, appunto, di un’interpretazione del relatore che rischia – tanto per cambiare – di creare confusione. In altre parole, può darsi che il testo originale sia stato scritto male, nel senso che dica quello che non si voleva dire. Così facendo, però, il decreto originale non verrà modificato sulla carta, cioè resterà così com’è, mentre nella relazione si darà una visione che non è proprio quella riportata nel provvedimento.
Probabilmente, modificare il testo e renderlo più chiaro risolverebbe il problema dell’imprenditore che non sa se può lasciare a casa i dipendenti dopo il 30 giugno e dei lavoratori che, viceversa, non sanno se, in estate inoltrata, rischieranno o meno il posto. Anche perché una relazione illustrativa di un decreto è una semplice spiegazione e non ha alcun valore normativo. Si rischia, quindi, che si riduca a un documento inutile che ci dice: «Questo è ciò che si può fare, ma non era nostra intenzione».