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Rifiuto del trasferimento: conseguenze

2 Agosto 2021
Rifiuto del trasferimento: conseguenze

Il lavoratore che è stato trasferito in un’altra sede di lavoro non può opporsi alla modifica del luogo di svolgimento della prestazione di lavoro ma può impugnare il provvedimento datoriale.

Hai ricevuto una lettera con cui il datore di lavoro ti comunica che la tua nuova sede di lavoro sarà in un’altra unità produttiva aziendale ubicata a oltre 300 km dalla tua residenza. Ritieni che questo provvedimento sia illegittimo e ti chiedi se puoi rifiutarti di prendere servizio nella nuova sede oppure se devi trasferirti e poi impugnare il trasferimento.

La modifica della sede di lavoro determina, in alcuni casi, un vero e proprio sconvolgimento nella vita del dipendente e della sua famiglia. Cosa fare dopo aver ricevuto la lettera di cambiamento del luogo di lavoro? Si può procedere al rifiuto del trasferimento? Quali conseguenze possono scattare?

La giurisprudenza si è pronunciata molte volte su questo tema e, anche se si devono registrare delle oscillazioni nelle posizioni espresse, prevale l’idea che il lavoratore non possa rifiutarsi di essere trasferito ma deve impugnare il provvedimento innanzi al giudice del lavoro.

Sede di lavoro: cos’è?

La sede di lavoro è uno degli elementi essenziali del contratto di lavoro e identifica il luogo fisico in cui il lavoratore deve recarsi per eseguire la prestazione di lavoro prevista nel contratto di lavoro. La lettera di assunzione deve, dunque, indicare in modo specifico e dettagliato la città, l’indirizzo e l’edificio in cui il dipendente deve recarsi, durante l’orario di lavoro, per svolgere le mansioni contrattuali.

Trasferimento: cos’è?

Durante il corso di svolgimento del rapporto di lavoro possono subentrare delle esigenze che rendono necessario modificare il luogo di lavoro del dipendente.

In alcuni casi il datore di lavoro ha l’esigenza di inviare il dipendente temporaneamente in missione per svolgere la prestazione di lavoro in un luogo diverso da quello previsto dal contratto. In tale fattispecie, si parla di trasferta o missione, ossia, di una modifica meramente temporanea del luogo di lavoro.

In altri casi, invece, il datore di lavoro ha l’esigenza di trasferire il dipendente stabilmente in un’altra unità produttiva. Il caso più lineare è quello della chiusura di una delle sedi aziendali e del conseguente trasferimento dei dipendenti addetti alla stessa. In altri casi, pur in assenza di una chiusura totale della sede, l’azienda ha necessità di spostare uno o più dipendenti da un’unità aziendale ad un’altra.

Trasferimento: quando è legittimo?

La legge [1] prevede che il trasferimento del lavoratore debba fondarsi su comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive aziendali. Ne consegue che la modifica stabile della sede di lavoro deve avvenire solo se l’azienda è in grado di dimostrare le ragioni oggettive che l’hanno resa necessaria.

Il trasferimento deve essere comunicato al lavoratore per iscritto e la legge non prescrive l’indicazione specifica delle ragioni che lo hanno determinato. I contratti collettivi, spesso, prevedono che il datore di lavoro debba rispettare un determinato periodo di preavviso nella comunicazione del trasferimento nonché erogare al lavoratore trasferito una serie di indennità economiche per supportare economicamente i costi legati alla ricollocazione in un’altra città.

Rifiuto del trasferimento: quali conseguenze?

Il lavoratore che riceve la lettera di trasferimento si chiede come deve comportarsi. In particolare, le opzioni sono essenzialmente due:

  1. rifiutare il trasferimento in quanto ritenuto illegittimo;
  2. prendere servizio nella nuova sede di lavoro e, successivamente, impugnare il trasferimento per farne valere l’illegittimità.

In linea generale il lavoratore dovrebbe dare seguito al trasferimento e, contestualmente, impugnarlo per ottenere una sentenza del giudice che ne dichiari l’illegittimità e che condanni, dunque, il datore di lavoro a ripristinare la vecchia sede di lavoro. Il lavoratore, infatti, non può dare per scontato che il trasferimento è illegittimo ma solo il giudice può effettuare questo accertamento.

Il Codice civile [2], infatti, prevede la possibilità di rifiutare l’esecuzione di una prestazione in caso di inadempimento della controparte solo se il rifiuto non è contrario alla buona fede.

Nel caso del trasferimento, secondo la Cassazione [3], la legittimità del rifiuto sussiste solamente se la modifica della sede di lavoro reca un grave pregiudizio a danno del lavoratore stesso.

In particolare, secondo le pronunce più recenti [4] il rifiuto del lavoratore può essere considerato legittimo se concorrono le seguenti condizioni:

  • comportamento del datore di lavoro che non offre le motivazioni del trasferimento nonostante la richiesta di chiarimenti da parte del lavoratore;
  • distanza dell’unità produttiva di destinazione;
  • comportamento del lavoratore che comunica le ragioni per le quali rifiuta il trasferimento e offre la propria prestazione lavorativa presso l’unità produttiva originaria.

Occorre, comunque, considerare che il rifiuto del trasferimento espone il dipendente al licenziamento per assenza ingiustificata.


note

[1] Art. 2103 cod. civ.

[2] Art. 1460 cod. civ.

[3] Cass. n. 11408 dell’11.05.2018.

[4] Cass. n. 434 del 10.01.2019.


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