Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 15 – 23 marzo 2021, n. 11195
Presidente Fidelbo – Relatore Aprile
Ritenuto in fatto
1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Ancona confermava la pronuncia di primo grado del 9 marzo 2018 con la quale il Tribunale di Ascoli Piceno aveva condannato F.T. in relazione al reato di cui all’art. 570 c.p. contestato con riferimento a tre diversi periodi (il primo a partire dal 14 gennaio 2011, il secondo a partire dal novembre del 2011 e il terzo a partire dal novembre del 2012), per avere violato gli obblighi di assistenza familiare non versando, per il mantenimento dei figli F. , S. e L. , alla ex coniuge T.M.V. l’importo mensile di 300 Euro stabilito a suo carico dal Tribunale civile di Roma con sentenza relativa alla separazione coniugale del (omissis) .
2. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso il F. , con atto sottoscritto dal suo difensore, il quale ha dedotto i seguenti tre motivi.
2.1.Violazione di legge, in relazione all’art. 570 c.p. e art. 1218 c.c., e vizio di motivazione, per mancanza e contraddittorietà, per avere la Corte di appello erroneamente confermato la condanna di primo grado, benché le emergenze processuali avessero dimostrato che i tre figli non si erano mai trovati in uno stato di bisogno nè agli stessi erano venuti a mancare i mezzi di sussistenza, dato che essi avevano vissuto con la madre che aveva avuto significative capacità economiche e reddituali, essendo stata pure aiutata dai di lei genitori; e che egli, pur trovandosi in precarie condizioni economiche ed avendo così violato solo un obbligo civilistico, non aveva mai mancato di garantire ai tre bambini la sua presenza e la sua attenzione, venendo incontro, per quanto gli era stato possibile, alle loro esigenze personali, mediche e scolastiche; nonché per avere la Corte territoriale sottovalutato la circostanza che, nel marzo del 2020, egli aveva trovato con la ex moglie un accordo, definendo ogni pendenza patrimoniale anche riguardante al passato.
2.2. Violazione di legge, in relazione agli artt. 190 e 468 c.p.p., anche per mancata assunzione di una prova decisiva, e vizio di motivazione, per mancanza e contraddittorietà, per avere la Corte distrettuale omesso di censurare la scelta del giudice di primo grado di revocare l’originaria ordinanza ammissiva delle prove, ritenendo superfluo l’esame di alcuni testi indicati dalla difesa, e per avere disatteso la sollecitazione alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in appello per provvedere all’ascolto di quei testimoni.
2.3. Violazione di legge, in relazione agli artt. 81 e 133 c.p., art. 521 c.p.p., per avere la Corte di appello confermato la decisione del Tribunale di condannare l’imputato ad una pena calcolata con aumenti per la continuazione tra i più reati contestati, rigettando le richieste difensive finalizzate ad ottenere una riduzione della sanzione irrogata, anche in considerazione dell’accordo raggiunto tra gli ex coniugi per la definizione di ogni rapporto creditorio tra le parti.
Considerato in diritto
1. Ritiene la Corte che il ricorso sia inammissibile.
2. Il primo motivo dell’atto di impugnazione è manifestamente infondato.
Costituiscono ius receptum nella giurisprudenza di legittimità i principi secondo i quali, in tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, l’incapacità economica dell’obbligato, intesa come impossibilità di far fronte agli adempimenti sanzionati dall’art. 570 c.p., deve essere assoluta e deve altresì integrare una situazione di persistente, oggettiva ed incolpevole indisponibilità di introiti (così, tra le molte, Sez. 6, n. 53173 del 22/05/2018, R., Rv. 274613); e che la minore età del figlio, a favore del quale è previsto l’obbligo di contribuzione al mantenimento, rappresenta in re ipsa una condizione soggettiva di stato di bisogno, che obbliga i genitori a contribuire al loro mantenimento, assicurando i predetti mezzi di sussistenza, con la conseguenza che il reato di cui all’art. 570 c.p., comma 2, sussiste anche quando uno dei genitori ometta la prestazione dei mezzi di sussistenza in favore dei figli minori ed al mantenimento della prole provveda in via sussidiaria l’altro genitore (in questo senso Sez. 6, n. 17766 del 27/02/2019, V., Rv. 275726).
Di tali regulae iuris la Corte di appello di Ancona ha fatto corretta applicazione, evidenziando – con motivazione congrua, nella quale non è riconoscibile alcun vizio di manifesta illogicità – come il F. avesse in maniera sistematica disatteso l’obbligo di versamento dell’importo mensile per il mantenimento dei tre figli minori, stabilito a suo carico dal giudice della separazione; e come, in quel contesto omissivo (nella sostanza non negato dall’imputato), fossero del tutto ininfluenti tanto il fatto che il F. non aveva violato l’obbligo di incontrare periodicamente i tre bambini; quanto le vicissitudini economiche di un soggetto che, comunque, era stato dimostrato non si fosse trovato nell’assoluta impossibilità di adempiere al quel obbligo di versamento della somma mensile di mantenimento, essendo stato anzi provato che in quel periodo egli aveva acquistato un immobile, aveva avuto la disponibilità di una vettura di “fascia alta” ed aveva svolto attività lavorativa come geometra.
Per le ragioni innanzi esposte non è neppure condivisibile la tesi difensiva secondo la quale i tre figli erano stati adeguatamente mantenuti dalla madre, che aveva un proprio lavoro ed era stata aiutata dai di lei genitori; nè conduce a differenti conclusioni la circostanza che l’imputato non abbia, comunque, fatto mancare la sua attenzione verso i bambini, in quanto, al riguardo, i giudici di merito hanno fatto buon governo del criterio interpretativo fissato dalla giurisprudenza di questa Corte di cassazione, convincentemente spiegando che il genitore non può modificare arbitrariamente i contenuti dell’obbligazione economica al mantenimento posta a suo carico, ospitando i figli nella propria abitazione e provvedendo in tale periodo ai loro bisogni, trattandosi di iniziative estemporanee, in ogni caso inidonee a compensare il mancato versamento dell’assegno su cui l’altro genitore deve poter fare affidamento per il soddisfacimento delle esigenze primarie dei minori (così, ex multis, Sez. 6, n. 418 del 30/04/2019, dep. 2020, G., Rv. 278092).
3. Del tutto prive di pregio sono le doglianze formulate dalla difesa con il secondo motivo del ricorso.
La Corte di appello di Ancona ha spiegato come non fosse affatto censurabile la scelta del Tribunale di revocare l’ordinanza di ammissione delle prove ritenendo superfluo l’esame di alcuni testi, indicati dalla difesa, che avrebbero dovuto confermare che il F. aveva avuto difficoltà economiche e aveva affrontato delle spese per recarsi periodicamente da XXXX ad (OMISSIS) per incontrare i tre figli minori che vivevano con la madre: avendo il Tribunale chiarito in maniera perspicua come quelle spese di viaggio e di pernotto che il genitore avrebbe dovuto sostenere per frequentare i figli erano state già considerate dal giudice civile della separazione al momento di stabilire l’entità dell’assegno mensile dovuto dall’imputato; e come in ordine alle condizioni economiche del prevenuto fossero stati già acquisiti elementi di prova sufficienti a definire il contesto della vicenda oggetto di esame.
Ragioni, queste, che correttamente la Corte territoriale ha posto a fondamento della determinazione di non disporre alcuna rinnovazione in appello dell’istruzione dibattimentale, decisione sul punto contestata dal ricorrente in termini molto generici.
4. Anche il terzo e ultimo motivo del ricorso è manifestamente infondato.
Il ricorrente ha preteso che, in questa sede di legittimità, si proceda ad una rinnovata valutazione delle modalità mediante le quali i giudici di merito hanno esercitato il potere discrezionale loro concesso dall’ordinamento ai fini della determinazione della pena finale da infliggere all’imputato. Esercizio che deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente il pensiero del giudice in ordine all’esistenza dei presupposti di applicazione delle relative norme di riferimento.
Nella specie del tutto legittimamente la Corte di appello ha ritenuto di negare all’imputato un’ulteriore riduzione della pena irrogata dal giudice di primo grado, avendo evidenziato – con motivazione completa e logicamente adeguata – che la sanzione irrogata, per giunta con la riduzione per le attenuanti generiche, fosse equa rispetto a un inadempimento che aveva riguardato il sostentamento di ben tre figli minori e che il prevenuto aveva anche un precedente penale. Contesto nel quale, ad avviso della Corte territoriale, era risultato ininfluente il fatto che gli ex coniugi avessero raggiunto una intesa per definire le reciproche pendenze economiche, peraltro formalizzato, molti anni dopo la commissione del reato, in un ricorso che, finalizzato al riconoscimento di una sentenza canonica di nullità del matrimonio, non era stato ancora depositato nè vagliato dall’autorità giudiziaria civile.
5. Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed a quella di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si stima equo fissare nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e a quella della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 19 ottobre – 27 novembre 2017, n. 53572
Presidente Conti – Relatore Costanzo
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza n. 2679/2016, la Corte di appello di Bologna ha confermato la condanna inflitta a Mi. Lo Gr. dal Tribunale di Forlì ex artt. 81 e 570 cod. pen. per avere omesso di versare a Vi. Fo. quanto necessario secondo gli accordi della separazione (150 Euro mensili poi elevati a 200 dal gennaio 2006) per assicurare i mezzi di sussistenza a loro figlia No. Lo Gr..
2. Nel ricorso di Lo Gr. si chiede che la sentenza sia annullata deducendo: a) vizio di motivazione circa la sussistenza del reato dopo il mese di novembre del 2012, trascurando che Lo Gr., pur non adempiendo integralmente all’obbligo di mantenimento, ha comunque assicurato i mezzi di sussistenza (nozione diversa da quella di mantenimento) alla figlia – essendo provato che egli dal luglio 2009, oltre a pagare le spese straordinarie, ha versato 150 Euro al mese – e che la figlia trascorreva buona parte della settimana con il padre; b) violazioni di legge per la mancata dichiarazione di intervenuta prescrizione del reato relativamente alle condotte comprese fra l’aprile del 2007 e il dicembre del 2008.
Considerato in diritto
1. Nel caso di corresponsione parziale dell’assegno di mantenimento stabilito in sede civile, per affermare che sussiste il reato previsto dall’art. 570, comma 2, n. 2, cod. pen., il giudice penale deve accertare se la condotta ha inciso apprezzabilmente sull’entità dei mezzi economici che il soggetto obbligato è tenuto a fornire ai beneficiari, considerando – inoltre – tutte le altre circostanze del caso concreto (compresa la oggettiva rilevanza del mutamento di capacità economica intervenuta), in relazione alla persona del debitore, mentre va esclusa ogni automatica equiparazione dell’inadempimento dell’obbligo stabilito dal giudice civile alla violazione della legge penale (Sez. 2, n. 24050 del 10/02/2017, Rv. 270326; Sez. 6, n. 15898 del 04/02/2014, Rv. 259895).
Nella sentenza impugnata, la Corte di appello ha argomentato che “eventuali regalie o contributi economici occasionali che pure possono giovare in via mediata al minore, non gli garantiscono evidentemente il soddisfacimento di bisogni primari (…) non vi sarebbe alcuna effettiva tutela del benessere del minore se si concedesse al soggetto obbligato di stabilire arbitrariamente cosa e quanto corrispondere” e ha evidenziato che “nella fattispecie in esame la mancata corresponsione per lungo periodo dell’assegno di mantenimento prima, e l’adempimento parziale poi, costringevano Fo. Mo. a rivolgersi ai propri genitori per pagare l’affitto, le utenze domestiche, le spese alimentari”. Inoltre, ha considerato che: “in tale contesto la saltuaria permanenza della minore presso l’abitazione del padre non vale a scriminare la condotta omissiva, proprio in ragione della occasionante della frequentazione ed, al contrario, della necessità di garantire i quotidiani soddisfacimento alle basilari esigenze di assistenza di No.” (pag. 4-5). La Corte ha anche rilevato che fino al 2009 Lo Gr. percepì un stipendio di Euro 1400 mensili e anche dopo che, per sua scelta, decise di esercitare autonomamente l’attività di imbianchino, consegui comunque una remunerazione seppure saltuaria.
Il ricorso il esame non sviluppa controdeduzioni relativamente a quanto osservato dalla Corte di appello circa le condizioni economiche di Mo. Fo., mentre rimane indimostrata l’erogazione di somme per le spese straordinarie. Pertanto il primo motivo di ricorso risulta infondato.
2. La Corte di appello ha correttamente richiamato la giurisprudenza di questa Sezione secondo cui il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare di cui all’art. 570, comma 2, n. 2, cod. pen. è reato omissivo permanente, per cui non può essere scomposto in una pluralità di reati omogenei. Infatti, poiché è sempre lo stesso il bene leso nel corso della durata dell’omissione, le cause di estinzione del reato operano non in relazione alle singole violazioni, ma solo al cessare della permanenza, che si verifica o con l’integrale adempimento dell’obbligo eluso o, in difetto, con la pronuncia della sentenza di primo grado (Sez. 6, n. 45462 del 20/10/2015, Rv. 265452; Sez. 6, n. 42543 del 15/09/2016, Rv. 2684420; Sez. 6, n. 14084 del 31/05/1989, Rv. 182322). Nel caso in esame queste condizioni non si sono verificate, mentre emerge che l’omissione si è protratta dopo l’emissione del decreto di citazione a giudizio. Pertanto, anche il secondo motivo di ricorso è infondato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 28 maggio – 27 giugno 2019, n. 28250
Presidente Tronci – Relatore Giorgi
Ritenuto in fatto
1. Con il provvedimento in epigrafe, la Corte d’appello di Caltanissetta, in parziale riforma della sentenza in data 19/09/2016 del tribunale di Enna che aveva giudicato Gi. Ma. colpevole dei reati ascrittigli, ha dichiarato assorbito il reato di cui agli artt. 3 L. n. 54/2006 e 5, 6 e 12 sexies L. n. 898/1970 in quello di cui all’art. 570 cod. pen. e rideterminato per l’effetto la pena.
La Corte, dando atto della produzione di un decreto del Tribunale per i minorenni nel quale si affermava che l’imputato incontrava la figlia con regolarità, ripercorreva nel merito le motivazioni svolte dal primo giudice in ordine alla consistenza del reato di cui all’art. 570, comma 2 n. 2, cod. pen. e riteneva non fondati i rilievi difensivi in ordine sia all’insussistenza del fatto, per avere l’imputato provveduto almeno per un periodo al versamento della somma dovuta e contribuito comunque con acquisti di libri, vestiti e generi alimentari al mantenimento della figlia, sia all’insussistenza dell’elemento soggettivo, non avendo potuto adempiere a causa dello stato di indigenza.
2. Il difensore del Ma. ha presentato ricorso avverso la citata sentenza e ne ha chiesto l’annullamento, deducendo il vizio di motivazione in relazione alla mancata considerazione dell’accordo verbale raggiunto con la moglie (di non versare somme e di occuparsi dell’acquisto di generi alimentari, capi di abbigliamento e altri beni necessari) e trasfuso nel provvedimento del Tribunale per i minorenni prodotto in giudizio, nonché alla mancata considerazione del provato stato di indigenza.
Considerato in diritto
1. I motivi di ricorso si palesano inammissibili, in quanto non dotati della necessaria specificità, non potendosi comunque proporre, quanto al sindacato sulla motivazione, come vizio di motivazione mancante o apparente la deduzione di sottovalutazione di argomenti difensivi che, in realtà, siano stati presi in considerazione dal giudice o comunque risultino assorbiti dalle argomentazioni poste a fondamento del provvedimento impugnato.
2. La Corte territoriale, premesso di condividere la motivazione del giudice di primo grado sul giudizio di attendibilità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa, ha infatti esaminato i motivi di appello sottoponendo a rigorosa analisi critica le dichiarazioni rese da Da. Ru. circa l’inadempimento da parte dell’imputato dell’obbligo contributivo a suo carico, evidenziando che la teste con precisione e coerenza aveva rappresentato le condizioni di “estremo disagio economico” in cui si era venuta a trovare con la figlia minore dopo la separazione tanto che avevano fatto fronte allo stato di assoluta indigenza solo grazie ai proventi derivanti dai lavori domestici da lei effettuati.
La Corte ha preso in esame, peraltro, il provvedimento del Tribunale per i minorenni citato dal ricorrente, rilevando che la procedura in questione non aveva riguardato i profili economici connessi alla separazione coniugale intervenuta fra i genitori.
3. Con motivazione altrettanto corretta, perché in linea con la giurisprudenza di questa Corte che pone a carico dell’imputato un onere di specifica allegazione (Sez. 6, n. 5751 del 14/12/2010, P., Rv. 249339; Sez. 6, n. 2736 del 13/11/2008, L, Rv. 242853), e incensurabile sul piano della logicità delle conclusioni, la Corte territoriale non ha ritenuto affatto comprovata una condizione incolpevole dell’imputato tale da esimerlo dall’obbligo di contribuzione, secondo un assunto difensivo inidoneo a dimostrare che la incapacità contributiva fosse assoluta ed esente da profili di colpa. Sotto tale specifico profilo la Corte ha evidenziato da un lato che gli acquisti saltuari in favore della figlia erano comunque sintomo di capacità economica e dall’altro che la riduzione dell’assegno da duecento a cento Euro, stabilita con provvedimento giurisdizionale del 2012, non è indice di assoluta indigenza ma riflette piuttosto la verifica effettuata dal giudice civile circa la capacità di poter sopportare un tale esborso.
4. Alla stregua di tali parametri, l’iter argomentativo della sentenza impugnata, anche con riguardo ai passaggi denunciati come viziati, non si presta a censure poiché il ricorrente, ribadendo dati meramente congetturali, si è limitato infatti a riprodurre con i motivi di ricorso le stesse censure che sono state puntualmente esaminate e disattese nella sentenza impugnata con motivazione coerente e adeguata, non sottoposta ad autonoma e argomentata confutazione.
Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed a versare a favore della Cassa delle ammende una somma, che si ritiene congruo determinare in duemila Euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle ammende.
Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 5 novembre 2020 – 12 gennaio 2021, n. 893
Presidente Fidelbo – Relatore Villoni
Ritenuto in fatto
1. Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Palermo ha ribadito la responsabilità di G.C. in ordine al reato di cui all’art. 570 bis c.p., eliminando dalla pena congiunta, condizionalmente sospesa, di un mese e quindici giorni di reclusione ed Euro 150,00 di multa inflittagli in primo grado la frazione detentiva, fermo restando il beneficio di cui all’art. 163 c.p..
2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato che deduce i motivi di censura di seguito indicali.
Violazione di legge e vizi di motivazione in relazione all’applicazione degli artt. 1, 5, 47 e 570 bis c.p., per avere la Corte di merito errato nel ritenere che non avesse integralmente adempiuto all’obbligazione su di lui gravante versando somme inferiori a quelle dovute, avendo per contro fornito la prova documentale degli adempimenti, in alcuni casi non disponendo delle risorse economiche per adempiere e comunque essendosi sempre occupato di tutte le esigenze della prole durante i periodi di permanenza presso di lui.
Violazione di legge e vizi di motivazione in ordine alla mancata applicazione dell’art. 131 bis c.p., negata dalla Corte territoriale in ragione della ritenuta abitualità della condotta e senza considerare che l’omesso versamento dello assegno di mantenimento non era stato totale ma parziale, oltre al fatto di avere direttamente provveduto alle necessità dei minori nei citati periodi di permanenza presso di lui.
Vizio di motivazione in relazione al risarcimento del danno liquidato alla parte civile costituita, in ragione della mancata esplicitazione delle ragioni di sussistenza del danno morale e a dispetto della sussistenza della prova dello avvenuto versamento dell’assegno di mantenimento dal mese di marzo 2014 a quello di maggio del 2015 ed oltre.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è fondato nei termini di cui in motivazione.
2. La contestazione mossa al ricorrente e per la quale ha riportato condanna nei due gradi di merito del giudizio riguarda la decurtazione in misura della metà dell’assegno di mantenimento di Euro 300,00 mensili stabilito dal Presidente del Tribunale di Sciacca in sede di separazione personale dalla moglie C.D. con provvedimento del 11/03/2014 e nell’omesso versamento delle spese straordinarie, fissate a suo carico in misura del 50%, dalla predetta data fino al 15/05/2015.
Con il gravame l’imputato aveva dedotto che dall’istruttoria era emerso che, ad eccezione di quello dovuto per il mese di dicembre 2014 (peraltro in seguito corrisposto in forma rateale), aveva sempre versato l’assegno nel periodo considerato, decurtandolo unicamente nei mesi estivi, quando aveva ospitato i figli presso la propria abitazione e provveduto in maniera diretta alle loro esigenze di vita.
La Corte di appello non ha ritenuto decisive ai fini del proscioglimento tali emergenze probatorie, posto che l’eliminazione della frazione di pena detentiva è stata disposta in base al principio stabilito da Sez. U, sent. n. 23866 del 31/01/2013, S., Rv. 255269 in tema di trattamento sanzionatorio del reato di omessa corresponsione dell’assegno di separazione ai sensi del cbn. disp. della L. n. 54 del 2006, art. 3, L. n. 898 del 1970, art. 12 sexies e art. 570 c.p., comma 1, ma non v’è dubbio che la mitezza della pena irrogata (Euro 150,00 di multa condizionalmente sospesa) testimonia un apprezzamento di scarsa gravità della condotta.
Reputa, pertanto, il Collegio come la sentenza non possa esser censurata sotto il profilo dell’astratta sussistenza degli elementi costitutivi del reato in addebito, atteso ad es. che l’imputato non ha nemmeno contestato di avere omesso il pagamento della metà delle spese straordinarie di sua competenza, pur allegando di avere provveduto alle complete esigenze di vita dei figli minori S. ed E. quando nell’estate del 2014 li aveva temporaneamente ospitati presso la propria abitazione.
3. La sentenza impugnata mostra, invece, il fianco alla doglianza formulata con il secondo motivo di ricorso, concernente la denegata applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis c.p., per speciale tenuità del fatto.
I giudici di appello si sono limitati in maniera apodittica e quindi in assenza di reale motivazione (art. 125 c.p.p., comma 3) ad opporre il carattere abituale della condotta contestata, omettendo a parere del Collegio di procedere al necessario approfondimento valutativo imposto dalla peculiarità della fattispecie, contrassegnata dalla limitata durata dell’arco temporale in cui si è manifestato l’inadempimento, dalla prova positiva dell’avvenuto assolvimento all’obbligazione quanto meno per la frazione riferita al versamento dell’assegno di mantenimento, dalla prestazione in forma diretta del sostegno economico in favore dei minori nei periodi in cui (metà luglio, metà agosto e cinque giorni nel dicembre del 2014) si erano trasferiti presso l’abitazione dell’imputato in corrispondenza della peraltro ammessa decurtazione dell’importo dello emolumento, dal soddisfacimento in quei periodi di tutte le esigenze di minori, la cui incidenza sulla ripartizione delle spese straordinaria è rimasta di fatto non verificata.
La rivalutazione degli indicati profili di fatto, estranea alle attribuzioni di questa Corte di legittimità, ma necessaria ai fini dell’apprezzamento dei presupposti di operatività della speciale causa di non punibilità (in tal senso v. Sez. 6, sent. n. 39337 del 23/06/2015, Di Bello, Rv. 264554) impone l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte territoriale.
L’accoglimento di tale motivo importa l’assorbimento dell’ultimo, atteso che l’eventuale declaratoria di non punibilità per particolare tenuità del fatto non consentirebbe di decidere sulla domanda di liquidazione delle spese proposta dalla parte civile, potendosi far luogo alle statuizioni civili nel giudizio penale solo in presenza di una sentenza di condanna o nelle ipotesi previste dall’art. 578 c.p.p. tra le quali non rientra quella di cui all’art. 131 bis c.p. (Sez. 5, sent. n. 6347 del 06/12/2016, dep. 10/02/2017, La Mastra, Rv. 269449), potendo i diritti del danneggiato trovare eventuale tutela nell’azione da proporre in sede civile, attesa l’efficacia della sentenza irrevocabile di proscioglimento pronunciata per particolare tenuità del fatto nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno promosso nei confronti del prosciolto o del responsabile civile citato o intervenuto nel processo penale ai sensi dell’art. 651 bis c.p.p., comma 1.
P.Q.M.
annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Palermo.