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Patto di non concorrenza in busta paga: è legittimo?

9 Agosto 2021
Patto di non concorrenza in busta paga: è legittimo?

La Cassazione ha chiarito, di recente, risolvendo un annoso dibattito, che il corrispettivo per il vincolo di non concorrenzialità può essere versato anche mese per mese.

Sei stato assunto come addetto alle vendite da una società che commercializza prodotti agricoli. Nel settore in cui lavori, la concorrenza è spietata e il datore di lavoro ti ha proposto di sottoscrivere un patto di non concorrenza con il quale ti impegni a non andare a lavorare per un concorrente dopo la fine del rapporto di lavoro. Ma il patto di non concorrenza in busta paga è legittimo?

Uno degli strumenti che le imprese hanno a disposizione per proteggere il loro know how ed evitare che i propri collaboratori trasferiscano informazioni riservate ai concorrenti è il patto di non concorrenza. Si tratta di un accordo con cui il lavoratore si obbliga a non collaborare con aziende concorrenti dopo la cessazione del rapporto e, in cambio, riceve una somma di denaro. Ma quali caratteristiche deve avere tale accordo? Il corrispettivo per il patto di non concorrenza in busta paga è legittimo?

Sulla questione si è espressa, di recente, la Suprema Corte che ha risolto un vivace dibattito sorto nella giurisprudenza di merito. Come vedremo, tuttavia, la legittimità del patto di non concorrenza non è legata solo al corrispettivo ma anche ad altri requisiti. Ma andiamo per ordine.

Obblighi del lavoratore: quali sono?

Quando firmi la lettera di assunzione ti assumi determinati obblighi che sono previsti direttamente dalla legge e che si applicano anche se non sono direttamente richiamati nel contratto individuale di lavoro.

In particolare, gli obblighi del lavoratore previsti dalla legge sono:

  • l’obbligo di obbedienza [1]: il lavoratore subordinato è soggetto al vincolo di subordinazione ed al potere direttivo del datore di lavoro. Ne consegue che, nello svolgimento dell’attività di lavoro, deve rispettare le direttive datoriali;
  • l’obbligo di diligenza [2]: il prestatore di lavoro deve svolgere il proprio lavoro con diligenza e professionalità;
  • l’obbligo di riservatezza [3]: il dipendente non deve comunicare all’esterno informazioni riservate e documenti che ha appreso durante l’attività di lavoro;
  • l’obbligo di non concorrenza [4]: il lavoratore non deve fare attività in concorrenza con il datore di lavoro.

Questi doveri si applicano solo durante il corso del rapporto di lavoro. Il datore di lavoro, infatti, non può pretendere di esercitare alcun potere sul dipendente una volta che la relazione contrattuale è terminata.

Obbligo di non concorrenza: cos’è?

Tra i doveri del dipendente previsti dalla legge c’è l’obbligo di non concorrenza che si traduce nel divieto di svolgere qualsiasi attività, in qualunque forma, che si ponga in concorrenza con quella svolta dal datore di lavoro. Per fare alcuni esempi, se l’azienda in cui lavori produce software, per tutto il corso del rapporto di lavoro non potrai lavorare per altre aziende dello stesso settore, né come dipendente, né come consulente e non potrai nemmeno aprire un tuo business come libero professionista o imprenditore in quel settore.

Se violi questo obbligo rischi di subire un procedimento disciplinare che può condurre anche al tuo licenziamento, in quanto lo svolgimento di un’attività in concorrenza con il datore di lavoro può essere considerato un comportamento che lede il vincolo fiduciario che deve sempre accompagnare il rapporto di lavoro.

Patto di non concorrenza: cos’è?

L’obbligo di non concorrenza previsto direttamente dalla legge, al pari degli altri doveri del lavoratore, si applica solo durante il rapporto di lavoro. Ma cosa succede in caso di cessazione del rapporto di lavoro? Il lavoratore potrebbe approfittare delle conoscenze acquisite mentre era dipendente per andare a lavorare presso un’azienda concorrente e trasferire le informazioni in suo possesso, procurando così un danno concorrenziale all’ex datore di lavoro. Per questo nasce il patto di non concorrenza [5] con cui le parti estendono il divieto di fare concorrenza al datore di lavoro anche dopo la cessazione del rapporto di lavoro. Si tratta di un accordo che deve essere stipulato per iscritto e che può essere inserito direttamente nella lettera di assunzione oppure stipulato in un accordo a sé stante.

Patto di non concorrenza: quali requisiti?

Il patto di non concorrenza, per essere valido, deve:

  • essere stipulato in forma scritta;
  • avere una durata massima di 5 anni per i dirigenti e di 3 anni per le altre categorie di lavoratori da calcolarsi a partire dalla data di cessazione del rapporto di lavoro;
  • individuare con precisione l’ambito geografico in cui si applica;
  • definire l’oggetto dell’accordo, ossia, le attività vietate per l’ex dipendente;
  • prevedere un corrispettivo a favore del lavoratore che sia congruo con l’ampiezza del vincolo assunto (sotto il profilo geografico, temporale ed oggettivo).

Se questi requisiti non sono rispettati, il patto di non concorrenza è nullo e può essere impugnato dal lavoratore.

Patto di non concorrenza in busta paga: è legittimo?

La legge prevede che il patto di non concorrenza debba indicare il corrispettivo versato al dipendente a fronte dell’impegno assunto. Obbligarsi a non fare concorrenza al proprio ex datore di lavoro per un certo numero di anni, infatti, è un sacrificio molto forte che deve essere adeguatamente remunerato. La disposizione, però, non dice nulla sulle modalità di pagamento di questo corrispettivo, limitandosi ad esigere che il prezzo pagato sia congruo.

La congruità del corrispettivo deve essere valutata in relazione all’ampiezza del vincolo di non concorrenza assunto dal dipendente. Il corrispettivo pattuito per un patto di non concorrenza relativo al territorio europeo e di durata triennale dovrà essere, dunque, superiore rispetto al prezzo pagato per un vincolo che si estende all’Italia e che dura per un anno. Il parametro per verificare la congruità del corrispettivo è la retribuzione percepita dal lavoratore al momento della cessazione del rapporto di lavoro.

Occorre ora chiedersi in che modo deve essere pagato il corrispettivo. Nella prassi esistono due modalità:

  • pagamento in costanza di rapporto: il corrispettivo viene erogato mese per mese, in busta paga;
  • pagamento in un’unica soluzione al momento della cessazione del rapporto di lavoro.

La giurisprudenza si è divisa sulla possibilità di pagare il corrispettivo del patto di non concorrenza direttamente in busta paga, mese per mese. Secondo alcuni giudici il patto di non concorrenza che prevede questa modalità di erogazione è nullo per indeterminatezza del corrispettivo il cui ammontare sarebbe legato alla durata del rapporto di lavoro, ovvero, ad un dato che non è conoscibile sin dall’inizio. Secondo tale orientamento il prezzo deve essere determinato sin dall’inizio e pagato tutto in un’unica soluzione.

La Cassazione [6] ha, di recente, respinto questa interpretazione. Secondo gli Ermellini pagare il corrispettivo per il patto di non concorrenza durante il rapporto non significa che il relativo ammontare non sia determinabile in base a parametri oggettivi.

Ciò non significa nemmeno che il corrispettivo pagato in busta paga è sempre congruo e valido ma occorre verificare, caso per caso, se questa modalità di pagamento consente comunque di determinare l’importo complessivo del prezzo.


note

[1] Art. 2094 cod. civ.

[2] Art. 2104 cod. civ.

[3] Art. 2105 cod. civ.

[4] Art. 2105 cod. civ.

[5] Art. 2125 cod. civ.

[6] Cass. 5540/2021.


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