Transazione e conciliazione: le regole da seguire


Conciliazioni in sede protetta, impugnabilità degli accordi raggiunti, diritti indisponibili, tassazione degli importi ricevuti a titolo transattivo: questi e molti altri sono gli interrogativi che ci poniamo nelle transazioni in materia di lavoro.
Sei stato licenziato illegittimamente, hai svolto mansioni superiori maturando differenze retributive o comunque hai subito un torto da parte del tuo datore di lavoro e hai aperto una vertenza nei suoi confronti. L’azienda, al fine di evitare una causa, è disposta a trovare un accordo e avete stabilito il pagamento di una certa somma di denaro per soddisfare le tue pretese. Ma come funzionano transazioni e conciliazioni? Come trovare un accordo per chiudere definitivamente e senza future sorprese ogni rapporto con il datore di lavoro? Inoltre, ti chiedi se dovrai pagare le tasse sulla somma che riceverai e se tutte le tue pretese possono essere oggetto di un accordo con l’azienda.
Transazioni e conciliazioni in materia di lavoro sono sottoposte a particolari regole da seguire se non si vuole incorrere poi in spiacevoli conseguenze. In questa breve guida, vediamo come strutturare un verbale di accordo, dove sottoscriverlo a migliore garanzia di tutte le parti, come gestirlo dal punto di vista fiscale.
Indice
Le controversie in materia di lavoro
Si parla di vertenze di lavoro quando insorge un conflitto tra un lavoratore e un datore di lavoro in merito al rapporto di lavoro o alla sua cessazione.
Può accadere infatti che un dipendente denunci la violazione da parte dell’azienda di diritti o aspettative previste dalla legge, dalla contrattazione collettiva o da prassi aziendali, riguardanti gli aspetti economici o normativi del rapporto di lavoro. Ad esempio, si pensi al lavoratore che venga adibito per molto tempo a mansioni superiori rispetto a quelle contrattualmente stabilite e per questo maturi differenze di retribuzione mai pagate dall’azienda; oppure al lavoratore che svolga lavoro straordinario non remunerato; o, ancora, al lavoratore illegittimamente licenziato, oppure vittima di mobbing; o, infine, ad un gruppo di dipendenti ai quali non venga applicato un determinato trattamento salariale previsto dal contratto collettivo di categoria, oppure non venga garantito l’esercizio dei diritti sindacali. Sono infinite le vertenze che possono potenzialmente insorgere tra lavoratori e azienda.
A seconda che la violazione commessa dal datore riguardi un solo dipendente oppure un gruppo di lavoratori, si parla rispettivamente di controversia di lavoro individuale o collettiva.
La risoluzione giudiziale
Quando uno o più lavoratori decidono di fare causa al datore, depositano un apposito ricorso dinanzi al tribunale, con il quale rivendicano i propri diritti e chiedono tutela al giudice.
Alla prima udienza, su invito (e talvolta proposta) del giudice, le parti possono trovare subito un accordo, evitando così rischi, tempi e costi di causa.
In questo caso, verrà redatto e sottoscritto dalle parti un verbale di conciliazione giudiziale, che verrà convalidato dal giudice, ponendo fine alla vertenza e, generalmente, a qualsivoglia altra pretesa che le parti possano vantare l’una nei confronti dell’altra.
La risoluzione stragiudiziale
Se datore e lavoratore riescono a trovare una soluzione bonaria alla loro controversia prima di iniziare una causa, si parla invece di conciliazione stragiudiziale.
In questo caso, le parti firmeranno un accordo transattivo in sede protetta e cioè dinanzi alla Commissione provinciale di conciliazione istituita a tal fine presso l’Ispettorato del lavoro, oppure dinanzi ad un funzionario dell’Ispettorato del lavoro in conseguenza di denuncia da parte del lavoratore, o infine in sede sindacale, dinanzi ad un funzionario del sindacato, competente a certificare la volontà espressa dalle parti nell’accordo.
La conciliazione stragiudiziale si fa in sede protetta a garanzia dell’effettiva libera volontà del dipendente di chiudere la vertenza alle condizioni stabilite nell’accordo che sottoscrive e al fine di svolgere un controllo sul contenuto dell’accordo delle parti, entrambe attività che nella conciliazione giudiziale compie invece il giudice.
I tipi di transazione
Le transazioni individuali si distinguono in:
- transazioni semplici, quando le parti modificano alcuni aspetti del rapporto preesistente, senza intervenire sulla natura del rapporto a cui la transazione si riferisce [1]: ad esempio, al dipendente che ha svolto mansioni superiori viene in sede conciliativa riconosciuto un certo importo concordato tra le parti a titolo di differenze retributive maturate;
- transazioni novative, quando le parti manifestano la loro volontà esplicita di concludere un accordo che, al solo scopo di porre fine alla lite, sostituisce il rapporto originario con uno nuovo e indipendente [2]. Si pensi al lavoratore che impugna il licenziamento in quanto illegittimo e raggiunge un accordo in base al quale l’azienda, al solo fine di evitare una causa, senza riconoscimento delle pretese del lavoratore, si rende disponibile a pagare una certa somma di denaro per tacitarne ogni pretesa. In questo caso all’originario rapporto di lavoro esistito tra le parti, che si considera da entrambe concluso con la data del licenziamento, si sostituisce un nuovo rapporto avente per oggetto il pagamento di un certo importo da parte dell’azienda e la rinuncia del dipendente ad impugnare il licenziamento.
L’oggetto della transazione
Le parti non possono trovare un accordo su qualsiasi tipo di controversia tra loro insorta o comunque su qualsiasi aspetto del rapporto di lavoro, in quanto ci sono dei diritti che vengono considerati indisponibili e cioè di importanza tale che il lavoratore non vi può mai rinunciare, salvo ciò avvenga in sede protetta o davanti ad un giudice.
Le rinunce e transazioni che hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili di legge e dei contratti o accordi collettivi sono dunque nulle e, se già sottoscritte o comunque concordate con l’azienda, sono impugnabili dal lavoratore e annullabili entro sei mesi dalla sottoscrizione o dalla cessazione del rapporto di lavoro [3].
Si pensi ad esempio alla lavoratrice madre che rassegna le dimissioni entro l’anno di vita del bambino: le sue dimissioni dovranno essere convalidate dall’Ispettorato del lavoro al fine di controllare che effettivamente siano frutto di una decisione della lavoratrice e non mascherino invece un licenziamento, che altrimenti sarebbe nullo.
Aspetti fiscali e contributivi delle transazioni in materia di lavoro
Quando oggetto di una transazione è il pagamento da parte del datore di una certa somma di denaro, è bene fare attenzione al titolo (alla ragione giuridica) in base alla quale essa viene pagata perché da ciò dipende la misura della tassazione alla quale verrà sottoposta e, dunque, l’importo che effettivamente “resterà in tasca” al lavoratore.
Per prima cosa, è sempre doveroso precisare nel testo della conciliazione se le somme vengono pagate al lordo, oppure al netto delle imposte e a quale titolo vengono pagate. La legge [4] dispone, infatti, che sono soggetti a tassazione ordinaria tutti i redditi derivanti da rapporto di lavoro.
Il reddito da lavoro è costituito da tutte le somme e i valori, comprese le erogazioni liberali, che vengono pagate per ragioni connesse al rapporto di lavoro. Si tratta ad esempio delle somme pagate a titolo di differenze retributive maturate nell’anno di imposizione in corso: ad esempio, l’azienda nell’anno 2021 non ha pagato al lavoratore le ore di straordinario e, nel corso dello stesso anno, seppure in ritardo, gliele corrisponde in tutto o in parte.
Sono invece assoggettate a tassazione separata le somme e i valori comunque percepiti, al netto delle spese legali sostenute, anche se a titolo risarcitorio o nel contesto di procedure esecutive, a seguito di provvedimenti dell’autorità giudiziaria o di transazioni relative alla risoluzione del rapporto di lavoro. Si pensi, in questo caso, agli arretrati sugli stipendi pagati dopo anni dalla loro maturazione, a seguito di pignoramento dei beni aziendali da parte del lavoratore, oppure alle somme corrisposte al dipendente a titolo di indennità per illegittimo licenziamento.
È escluso dalla nozione di reddito il risarcimento del danno che ristora una perdita subita (cosiddetto danno emergente): si tratta, ad esempio, del risarcimento del danno alla salute, alla professionalità, all’integrità psicofisica.
Il danno emergente, tuttavia, in caso di controllo da parte dell’Agenzia delle Entrate, deve essere puntualmente dimostrato, anche se l’accordo è stato sottoscritto in sede protetta.
Sono, invece, assoggettati ad Irpef gli indennizzi risarcitori derivanti da un mancato guadagno (cosiddetto lucro cessante), in quanto pagamenti sostitutivi di un reddito che il lavoratore danneggiato non ha potuto ottenere per effetto della violazione commessa dal datore, salvo si tratti di danni dipendenti da invalidità permanente o morte: per danno da mancato guadagno si intende, ad esempio, il mancato pagamento di differenze retributive, oppure la perdita economica subita in conseguenza di una promessa di assunzione mai onorata.
Sono infine assoggettate a contribuzione previdenziale tutte le somme corrisposte al lavoratore in relazione al lavoro, ad eccezione di:
- Tfr e altre somme la cui erogazione trae origine dalla risoluzione del rapporto di lavoro;
- le indennità erogate a titolo di risarcimento danni;
- le somme provenienti da fondi previdenziali obbligatori;
- le somme a carico del datore di lavoro per il finanziamento della previdenza complementare.
note
[1] Cass. Civ., sentenza n. 5295/1978
[2] Cass. Civ., sentenza n. 4811/1999
[3] Art. 2113 Codice Civile
[4] Art. 49 e art. 51 TUIR
[5] Art. 17 TUIR