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Adozione di minore: quali sono gli ostacoli?

14 Aprile 2021 | Autore:
Adozione di minore: quali sono gli ostacoli?

Quali requisiti e condizioni servono per l’affidamento; quando la possibilità di adottare un bambino è preclusa, anche a causa di legami familiari preesistenti.

Se sei interessato ad adottare un bambino, probabilmente sai che dovrai sottoporti ad una lunga trafila di accertamenti. È un percorso lungo perché la legge tutela soprattutto gli interessi del minore da adottare anziché quelli di coloro che aspirano a diventare i suoi genitori adottivi. Spesso, emergono ostacoli e difficoltà di vario genere: di solito, non riguardano requisiti formali ma aspetti sostanziali. Tra questi c’è anche il legame affettivo del minore con la sua famiglia di origine, che potrebbe essere intenso, fino al punto di precludere l’adozione stessa.

In concreto, quali sono gli ostacoli all’adozione di un minore? Non sono quelli che potresti aspettarti, come la lunghezza del procedimento o l’accertamento dei requisiti degli adottandi. Occorre guardare principalmente dal lato del bambino da adottare. Secondo la Corte di Cassazione [1], occorre preservare la «continuità affettiva»: così gli Ermellini con una nuova e interessante sentenza hanno revocato una procedura di adozione in corso, accogliendo il ricorso presentato dai genitori naturali. Si è voluto garantire ancora i rapporti del figlio con loro, anche se essi avevano manifestato gravi carenze educative.

Ma lo stato di abbandono non è stato giudicato irreversibile; dunque, i giudici della Suprema Corte hanno confermato l’affidamento etero-familiare del bambino, perché è stato ritenuto inopportuno il suo mantenimento nel nucleo familiare di origine. Tutto ciò ha precluso alla nuova famiglia la possibilità di adottare il minore, ma gli aspiranti genitori hanno comunque mantenuto il suo affidamento temporaneo. Questa pronuncia è emblematica degli ostacoli che nella pratica si frappongono all’adozione di minori. Ora, ti spiegheremo come funziona l’adozione nei suoi vari passaggi procedimentali e quali sono le condizioni necessarie per richiederla e ottenerla.

L’adozione

L’adozione è un mezzo per dare una famiglia a minori che si trovano in stato di abbandono. La legge impone determinati requisiti agli adottanti, per salvaguardare le esigenze dei minori adottati ed il loro inserimento nella nuova famiglia.

L’adozione fa venire meno i rapporti del minore con la famiglia di origine. L’adottato diventa a tutti gli effetti figlio legittimo degli adottanti. In casi particolari, è consentita l’adozione di persone maggiori di età.

L’affidamento dei minori

L’affidamento temporaneo dei minori è una forma di assistenza per coloro che sono temporaneamente privi di un ambiente familiare idoneo e vengono perciò affidati ad un’altra famiglia oppure anche ad una persona singola, o talvolta ad una comunità o a un istituto.

L’affidamento familiare ha luogo quando la famiglia di origine del minore è impossibilitata o incapace di svolgere i compiti di cura e mantenimento della prole. Gli affidatari devono assicurare un’idonea capacità affettiva ed educativa.

Il provvedimento di affido viene emesso dal giudice, che ne stabilisce le modalità e la durata. Esso specifica anche in che modo il minore può mantenere i rapporti con la sua famiglia d’origine. La gestione di questi rapporti è generalmente affidata ai servizi sociali territoriali, che devono anche vigilare sulla corretta esecuzione del programma di affidamento.

Presupposti dell’adozione

Per divenire adottabile, il minore deve trovarsi in stato di abbandono, cioè in una situazione di grave carenza affettiva ed educativa che comporta la mancanza di assistenza morale e materiale da parte dei genitori naturali o, in loro mancanza, degli altri soggetti tenuti a provvedervi.

Se lo stato di abbandono è verificato, il tribunale per i minorenni dichiara lo stato di adottabilità del minore. Ciò può avvenire quando i genitori o i parenti non si sono presentati alla convocazione disposta dal giudice oppure quando la loro audizione ha confermato la loro inidoneità ad occuparsi del bambino. A seguito della dichiarazione di adottabilità pronunciata dal tribunale, la potestà dei genitori naturali è sospesa; viene nominato un tutore e il minore può essere adottato dalle persone legittimate.

Chi può adottare un minore

Possono adottare un minore i coniugi uniti in matrimonio da almeno tre anni e non separati legalmente o di fatto. Oltre a questo requisito formale, gli adottanti devono dimostrare una concreta idoneità affettiva e capacità di mantenimento del minore.

Inoltre, l’età degli adottanti deve superare quella del minore di almeno 18 anni ma non deve oltrepassare i 45 anni di differenza. Questo limite non opera se i coniugi adottano due o più fratelli o se hanno un figlio minorenne naturale o adottivo. È consentita una deroga anche nel caso in cui un solo coniuge ha un’età maggiore di 45 anni rispetto all’adottato, purché la sua età non superi i 55 anni. Solo in casi particolari, come quello di chi ha già ottenuto un minore in affido, è consentita l’adozione di persone singole.

La valutazione dei requisiti degli adottanti

La valutazione delle coppie adottanti è compiuta dal tribunale per i minorenni ed è molto approfondita. Nel procedimento, in cui vengono coinvolti i servizi sociali e sanitari, si svolgono indagini per accertare l’idoneità dei richiedenti, la loro situazione personale ed economica e le motivazioni che li hanno spinti ad adottare. Se il minore da adottare ha compiuto i 14 anni è necessario il suo consenso all’adozione.

In caso positivo, il tribunale dispone l’affidamento preadottivo, che è provvisorio e sottoposto a sorveglianza del tribunale con l’ausilio dei servizi sociali e di esperti psicologi. Si tratta di un periodo di inserimento sperimentale del bambino nella nuova famiglia. Se emergono difficoltà il provvedimento sarà revocato.

Dopo un periodo minimo di un anno dall’affidamento, il tribunale, se l’esperimento ha dato esito favorevole, pronuncia sentenza di adozione, che viene trascritta nei registri dello stato civile a margine dell’atto di nascita. Così il minore acquisisce lo stato di figlio legittimo degli adottanti e cessano i suoi rapporti con la famiglia di origine.

Quando l’adozione non viene disposta

Una recente pronuncia della Corte di Cassazione [1], che puoi leggere per esteso nel box “sentenza” in fondo a questo articolo, ha escluso la possibilità di adottare il minore se, nonostante le carenze dei suoi genitori naturali, egli risulta particolarmente legato a loro. Così la famiglia che aveva avuto il bambino in affidamento preadottivo non ha potuto ottenere la sentenza di adozione definitiva: quella emessa dal tribunale dei minorenni è stata revocata. Ai genitori adottanti non è stato neppure consentito di partecipare al giudizio, al quale ha preso parte il curatore speciale del minore.

Nella decisione dei giudici di piazza Cavour ha pesato il forte attaccamento dimostrato dal minore alla madre naturale. Questo elemento affettivo è stato ritenuto decisivo per negare l’adozione, nonostante la conclamata incapacità dei genitori biologici ad occuparsi di lui. Gli Ermellini hanno scelto la strada dell’affidamento etero-familiare, ritenendola idonea per tutelare il rapporto del bambino con la sua famiglia naturale.

D’altronde, le incapacità educative della madre e del padre non sono risultate – spiega la Corte – «irrimediabili e tali da rendere impossibile un progetto di sostegno al bambino che non passi per un suo allontanamento definitivo». Perciò è stata preferita una soluzione provvisoria anziché quella dell’adozione, che avrebbe comportato «l’irreversibile interruzione di ogni relazione del minore con i genitori». È meglio – spiega la sentenza – «prevedere un intervento di sostegno alla funzione genitoriale, anche se di periodo non breve, ed anche il mantenimento eventuale del minore in famiglia affidataria». Così, in tali casi, l’adozione di un minore risulta di fatto preclusa e impraticabile, ma rimane aperta la possibilità di proseguire l’affidamento già ottenuto.

Per ulteriori approfondimenti leggi il nostro rapporto su “L’adozione in Italia” e la “Guida all’adozione internazionale“.


note

[1] Cass. ord. n. 9456/21 del 09.04.2021.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 16 settembre 2020 – 9 aprile 2021, n. 9456

Presidente De Chiara – Relatore Acierno

Fatti di causa e ragioni della decisione

Il Tribunale per i minorenni ha dichiarato lo stato di adottabilità del minore B.A. , figlio di E.G. e B.E. . A sostegno della decisione ha posto in evidenza:

l’esistenza di altri due figli dei reclamanti, nati nel […] e nel […], posti in affido eterofamiliare, a causa di gravi incapacità materne; l’esistenza di gravi carenze genitoriali della madre, nella relazione con il piccolo A. , nato nel […], durante tutta la permanenza in comunità che ha ospitato madre e figlio per un anno e mezzo. In particolare, il Tribunale per i minorenni ha evidenziato che dalle relazioni dei servizi competenti emerge che la madre non sa organizzarsi per soddisfare i bisogni primari del figlio; non modifica i suoi comportamenti nonostante le segnalazioni degli educatori; continua ad essere in difficoltà nel riconoscere i bisogni del bambino; non comprende le richieste dei medici di approfondimenti diagnostici per comprendere meglio il ritardo nello sviluppo del minore; solo se sollecitata segue le indicazioni degli educatori ma non sa prevenire i pericoli cui può essere esposto; il bambino ha instaurato con la madre un pattern di attaccamento (ma anche con le educatrici ed il padre) di natura però insicura ed ambivalente a causa della ripetuta imprevedibilità della figura materna. A questo quadro va aggiunta la personalità insicura ed immatura del padre che ha dimostrato scarse risorse genitoriali. Deve, in conclusione, escludersi la modificabilità in tempi compatibili con lo sviluppo del minore del quadro critico sopra delineato anche in considerazione dell’indisponibilità di entrambi i genitori a ricevere aiuto e sostegno educativo e psicologico.

Avverso tale pronuncia hanno proposto appello i genitori del minore rilevando: che il padre conduce vita regolare e la madre è rimasta un anno e mezzo in comunità con il figlio fino a quando i rapporti non si sono interrotti a causa della decisione impugnata; che i limiti cognitivi della madre sono stati illegittimamente ritenuti un profilo di responsabilità a lei ascrivibile; che la valutazione del CTU è risultata fondata su dati astratti e si è trascurato il forte attaccamento del bambino ad entrambi i genitori; non è stato tenuto in conto il legame con i fratelli più grandi.

La Corte d’Appello di Milano ha accolto l’impugnazione ed ha revocato lo stato di adottabilità sulla base delle seguenti argomentazioni: la madre ha mostrato gli elementi di inadeguatezza genitoriale evidenziati nella sentenza impugnata ed il minore dovrà trovare una condizione abitativa e di vita esterna alla comunità stessa ma non possono riscontrarsi nei comportamenti censurati gli estremi del grave ed irreversibile abbandono morale del minore non risultando le incapacità evidenziate irrimediabili e tali da rendere impossibile un progetto di sostegno al bambino che non passi per l’allontanamento definitivo dallo stesso; la madre pur non seguendo diligentemente i consigli e le indicazioni degli operatori, tuttavia non ha mai lasciato la comunità ed il proprio figlio; al test “Separation Anxiety ha mostrato uno stile di attaccamento sicuro di tipo B e di possedere strategie di coping adeguate, pur facendo fatica ad identificarsi con il bambino ed apparendo scarsamente consapevole dei propri limiti e difficoltà. Il padre dopo un lungo periodo di dipendenza dal gioco ha assunto un comportamento regolare e pur apparendo come una persona dotata di un pensiero immaturo e deficitario non è affetto da disturbi gravi di personalità o psichiatrici. Entrambi i genitori si sono rivelati in grado di entrare in relazione affettiva con il figlio ed il B. ha dimostrato di essere maggiormente in grado di relazionarsi con il figlio nelle ultime osservazioni. Il bambino del resto è fortemente interessato alla relazione con i genitori.

La situazione rappresentata pur presentando criticità non richiede l’irreversibile interruzione di ogni relazione del minore con i genitori potendosi prevedere di porre in essere un intervento di sostegno alla funzione genitoriale anche se di periodo non breve ed anche il mantenimento eventuale del minore in famiglia affidataria. Per queste ragioni l’adottabilità è stata revocata ma in attesa delle determinazioni da assumere ex art. 330 c.c. e ss. di spettanza del Tribunale per i minorenni L. n. 184 del 1983, ex art. 16 la Corte ha ritenuto necessario proseguire nella provvisoria sospensione della responsabilità genitoriale e nell’interruzione dei rapporti con i genitori ed i parenti ed il mantenimento del minore nella famiglia affidataria.

Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il curatore speciale del minore avv. P.L.M. . Hanno resistito con controricorso i genitori del minore.

Nel primo motivo è stata dedotta la nullità della sentenza impugnata per violazione della L. n. 184 del 1983, art. 5, comma 1, così come modificato con la L. n. 73 del 2015 per difetto di convocazione della famiglia affidataria.

La censura deve essere disattesa. Nell’incipit del primo motivo di ricorso viene evidenziato che il minore è stato “collocato presso la famiglia preadottiva”. Questa affermazione, peraltro, è coerente con l’esito del giudizio di primo grado e con le prescrizioni che la stessa Corte d’Appello ha stabilito per il tempo necessario ad assumere le “determinazioni più adeguate all’interesse del minore ex art. 330 c.c. di spettanza del Tribunale per i minorenni L. n. 184 del 1983, ex art. 16”. La norma prescrive, infatti, che ove non sussistano i presupposti per la pronuncia di adottabilità devono essere adottati i provvedimenti opportuni nell’interesse del minore dal Tribunale per i minorenni ex art. 330 c.c. Ne consegue l’inapplicabilità dell’art. 5 novellato dalla L. n. 173 del 2015, che impone la convocazione del genitore affidatario o della famiglia collocataria nel giudizio di adottabilità, ma solo ove si tratti dell’affidamento eterofamiliare e non di quello preadottivo, essendo la nuova previsione legislativa, (L. n. 184 del 1983, art. da 2 a 5) collocata all’interno del sistema normativo che si occupa di questa forma di affidamento la quale si caratterizza per offrire un sostegno temporaneo al minore privo di un ambiente familiare idoneo senza tuttavia che vengano meno i rapporti con la famiglia di origine. Tuttavia, nell’art. 4, comma 4, è previsto che la durata iniziale dell’affidamento, di 24 mesi, possa essere prorogata dal Tribunale per i minorenni. È stata proprio la frequenza di affidamenti di lunga durata, dovuta al prolungarsi della situazione d’inidoneità dei genitori biologici, a determinare l’esigenza di un intervento legislativo a tutela dei cd. minori “a rischio adozione” e delle famiglie affidatarie che hanno instaurato una relazione di natura genitoriale con il minore stesso. La L. n. 173 del 2015 ha previsto che per questi minori sia prevista la loro partecipazione al giudizio perché possa essere rappresentato nel giudizio il punto di vista peculiare della famiglia affidataria in relazione agli interessi del minore e si tenga conto del grado di stabilizzazione della relazione che si è determinata e della qualità della stessa in relazione allo sviluppo equilibrato del minore. Al contrario, la famiglia presso la quale il minore è collocato in affidamento preadottivo, successivamente alla dichiarazione di adottabilità, ancorché non passata in giudicato, non ha rapporti con i genitori biologici, i quali sono privi della responsabilità genitoriale ed è legittimata a partecipare esclusivamente al giudizio di adozione, essendo a questo risultato finalizzata la collocazione in affidamento preadottivo. Un indice normativo ulteriore di questa netta divaricazione tra le due forme di affidamento in relazione alla partecipazione ai procedimenti che conducono all’adozione del minore, è l’art. 15, comma 2, ai sensi del quale è previsto (e lo era anche prima della L. n. 73 del 2015) che “sia sentito il rappresentante dell’istituto di assistenza pubblico o privato o della comunità di tipo familiare presso cui il minore è collocato o la persona cui egli è affidato”. La norma si riferisce testualmente a chi, ente pubblico, istituzione privata, o persona fisica abbia avuto in carico il minore prima che, con l’adottabilità, si proceda ad un mutamento dello status filiale, mediante una sequenza di cui segmento decisivo è l’affidamento preadottivo.

Deve in conclusione, essere rigettata la censura di nullità della pronuncia impugnata per non essere stata chiamata a partecipare ed a presentare memorie la famiglia che ha il minore in affido preadottivo.

Nel secondo motivo viene dedotta la violazione della L. n. 184 del 1983, artt. 8 e ss. nonché il vizio di motivazione per avere la Corte ritenuto accertata l’incapacità genitoriale tanto da confermare l’interruzione dei rapporti tra il minore ed i suoi familiari e del mantenimento del bambino presso la famiglia affidataria. La decisione è illogica perché la Corte d’Appello pur avendo astrattamente fatto corretta applicazione dei principi in tema di accertamento dello stato di abbandono ha fondato la propria decisione su aspetti sentimentali e mere speranze di recupero. I genitori biologici non hanno dimostrato di aver recuperato capacità e competenze nè sono in grado di offrire ad A. uno stabile e adeguato contesto familiare, in tempi compatibili con le esigenze del minore stesso.

La censura non supera il vaglio di ammissibilità perché diretta a contestare il merito della valutazione svolta dalla Corte d’Appello sulla capacità genitoriale degli appellanti attraverso un giudizio alternativo ed opposto, fondato sulla valorizzazione di profili che il giudice del merito, pur esaminando, ha ritenuto incensurabilmente recessivi. La Corte ha escluso che i due genitori biologici abbiano determinato una situazione di irreversibile abbandono, evidenziando l’importanza della relazione affettiva della madre con il minore, il sincero attaccamento al figlio e la conduzione di una vita finalmente regolare da parte del padre. Entrambi, secondo il giudizio insindacabile della Corte territoriale, perché esaurientemente e coerentemente argomentato, sono stati in grado (il riferimento temporale è all’ultima relazione dell’(OMISSIS) ) di entrare in relazione affettiva con il figlio, rilevando in particolare che il padre è apparso maggiormente in grado di relazionarsi con il figlio. La Corte ha infine rilevato, fondandosi sugli accertamenti peritali, che la separazione di A. dalla madre possa determinato uno stress intenso incidente sul rischio evolutivo, da compensare con cure sostitutive. Peraltro la Corte ha anche sottolineato le criticità dei genitori biologici operando un bilanciamento del complessivo materiale probatorio non sindacabile in sede di giudizio di legittimità.

Nel terzo motivo viene censurata sia sotto il profilo della violazione di legge che dell’omesso esame di un fatto decisivo relativo alla mancata elaborazione e rappresentazione di un progetto di recupero della funzione genitoriale da parte degli appellanti. Ha sottolineato la parte ricorrente che l’assenza di progettualità è stata così evidente da indurre la Corte a rimetterla all’autorità giudiziaria mediante le prescrizioni consequenziali alla revoca dell’adottabilità.

Anche questa censura deve ritenersi inammissibile in quanto diretta come la precedente a sostituire al giudizio comparativo svolto dalla Corte d’Appello propri indicatori valutativi della capacità genitoriale degli appellanti, quali la mancata indicazione di un progetto di recupero della genitorialità rivolto alla vita futura con il figlio minore. Non si ritiene, tuttavia, che il giudizio sullo stato d’abbandono possa essere determinato in via prevalente od esclusiva dalla capacità di proporre un progetto di vita futura con il minore, anche in relazione alla stessa formulazione della L. n. 184 del 1983, art. 1 che prevede il sostegno pubblico alle situazioni di criticità in funzione del mantenimento delle relazioni genitoriali. Dal giudizio, incensurabilmente svolto dalla Corte d’Appello sulle capacità genitoriali degli appellanti, è emerso un nucleo positivo che esclude lo stato di abbandono, anche in relazione all’attaccamento del bambino ai genitori biologici, ed in particolare alla madre, ma nello stesso tempo, coerentemente con il paradigma dell’art. 1, la necessità di un intervento integrativo delle capacità deficitarie, anche mediante l’affido eterofamiliare, ritenendosi corrispondente all’interesse del minore, la conservazione del legame affettivo e relazionale con i genitori.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. In relazione all’andamento del giudizio di merito ed in considerazione della delicatezza dell’accertamento posto a base del giudizio si ritiene di compensare integralmente le spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e compensa le spese processuali.

In caso di diffusione omettere le generalità.


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