Rissa: quando c’è istigazione?


Concorso morale nel delitto di rissa: in quali casi gli incitamenti e le esortazioni costituiscono reato?
La legge non ammette l’uso della violenza, se non in casi eccezionali per legittima difesa. Ecco perché ogni tipo di condotta che presuppone l’esercizio della forza bruta è sanzionata penalmente: si pensi al reato di lesioni personali, alle percosse e alla rissa. L’ordinamento giuridico, tuttavia, non punisce solo chi prende parte materialmente al gesto violento, ma anche coloro che partecipano “moralmente” allo stesso, magari incitando la commissione del reato.
Quando c’è istigazione nella rissa? Il delitto di rissa presuppone il coinvolgimento di più persone all’interno della colluttazione. Una zuffa tra due individui non sarebbe idonea a integrare questo particolare tipo di reato.
Come vedremo, oltre ai soggetti fisicamente coinvolti nella rissa, possono rispondere penalmente anche coloro che, pur non gettandosi nella mischia, aizzano gli animi e pongono in essere condotte di incitamento al conflitto. È il famoso concorso di persone nel reato. Se l’argomento ti interessa, prosegui nella lettura: vedremo insieme quando c’è istigazione nel reato di rissa, con conseguente estensione della responsabilità penale.
Indice
Rissa: com’è punita?
La legge punisce con una multa fino a duemila euro chi prende parte a una rissa [1]. La sola partecipazione a una colluttazione, dunque, fa sorgere una responsabilità penale, anche se dalla propria condotta non sia poi derivato nessun tipo di danno.
Da tanto consegue che risponderà del reato di rissa anche l’esagitato che si getta nella mischia per il solo gusto di prenderne parte, senza però nemmeno sfiorare uno dei contendenti.
La pena è decisamente più severa se nella rissa qualcuno riporta una lesione personale oppure rimane ucciso: in tal caso, per il solo fatto della partecipazione allo scontro, la pena è della reclusione da sei mesi a sei anni. La stessa sanzione si applica se l’uccisione o la lesione personale avviene immediatamente dopo la rissa e in conseguenza di essa.
In pratica, chi partecipa a una rissa in cui ci scappa il morto o il ferito, rischia la reclusione sino a sei anni anche se non ha causato il ferimento o la morte della vittima.
Chi dei corrissanti ha invece provocato la morte o le lesioni, risponderà sia del reato di rissa che di quello di lesioni personali o di omicidio.
Rissa: quando è reato?
Il reato di rissa si integra solamente se allo scontro partecipano almeno tre persone. Non c’è rissa, dunque, se due soggetti vengono alle mani.
All’interno della rissa deve poi essere possibile individuare almeno due centri di aggressione confliggenti, cioè due fazioni contrapposte, essendo peraltro sufficiente che una di esse sia composta anche da una sola persona, purché animate dalla volontà di danneggiare l’altrui incolumità, indipendentemente da chi per primo sia venuto alle vie di fatto [2].
L’intenzione di voler prendere parte alla rissa con intenti “bellicosi” è fondamentale per l’integrazione del reato: chi si trovasse coinvolto in una rissa suo malgrado, infatti, non risponderebbe del reato, in quanto difetterebbe l’elemento psicologico del dolo, necessario per realizzare l’ipotesi delittuosa.
Come ha ricordato la giurisprudenza [3], affinché si possa rispondere del reato di rissa occorre la particolare intenzione di fare del male. In altre parole, commette il delitto di rissa colui che partecipa attivamente allo scontro con l’intento di arrecare pregiudizio ad altri.
Da tanto deriva che colui che si è trovato coinvolto in una rissa contro la propria volontà e che, anziché fuggire, si è limitato a difendersi, non risponderà del reato, in quanto la sua intenzione non è stata quella di offendere alcuno.
Istigazione alla rissa: quando è reato?
Abbiamo detto che la rissa necessita obbligatoriamente della partecipazione di almeno tre persone, le quali devono attivamente prendere parte allo scontro. Risponde del reato di rissa, però, anche colui che incita i corrissanti a darsele di santa ragione, pur rimanendo fisicamente al di fuori della colluttazione.
È il caso di quelle persone che, non limitandosi ad osservare una rissa, accerchiano i contendenti venuti alle mani perimetrando l’area di scontro, oppure di coloro che, sempre dall’esterno, aizzano gli uni contro gli altri con incitamenti ed esortazioni, rafforzando la volontà dei corrissanti.
In casi del genere, coloro che hanno fomentato la rissa rispondono di istigazione nello stesso reato, purché le sollecitazioni si traducano in un concreto contributo alla consumazione della colluttazione [4]. Approfondiamo questo specifico tema.
Istigazione: cos’è e quando è reato?
L’istigazione è una forma di concorso morale nel reato. In pratica, per la legge l’istigatore è responsabile tanto quanto colui che ha materialmente commesso l’illecito, tant’è vero che all’istigatore si estende la pena prevista per il responsabile diretto del fatto (cioè, per l’istigato).
Si ha concorso materiale nel reato, invece, quando si è parte attiva nella stessa condotta criminosa. Facciamo un esempio.
Tizio si trova in difficoltà economica. Su insistente suggerimento di Caio, ruba del denaro a Sempronio, un amico comune particolarmente ingenuo.
Si tratta di un tipico esempio di concorso morale nel reato mediante istigazione: Caio esorta Tizio a commettere un delitto. Per legge, entrambi sono perseguibili per lo stesso reato di furto.
Mario e Paolo vorrebbero farla pagare a Marco, un conoscente che ha fatto loro un grave torto. Francesco, spinto dallo stesso sentimento di odio verso Marco, incita Mario e Paolo a tendergli un agguato, cosa che puntualmente avviene.
In un caso come quello appena esemplificato, Mario e Paolo risponderanno del reato di lesioni personali a titolo di concorso materiale nello stesso, mentre Francesco sarà colpevole dello stesso reato, ma a titolo di concorso morale.
Si tratta peraltro di una distinzione puramente teorica: per la legge, infatti, non c’è differenza tra concorso morale e materiale, nel senso che ogni concorrente rischia la stessa pena.
note
[1] Art. 588 cod. pen.
[2] Cass., sent. n. 19962/2019.
[3] Cass., sent. n. 5156 del 04.05.1992.
[4] Cass., sent. n. 51103/2019.
Autore immagine: canva.com/