Come si impugnano le sentenze non definitive?


La parte soccombente può differire l’impugnazione di una sentenza non definitiva, riservandosi l’appello o il ricorso per cassazione.
Il procedimento civile si presenta come un serie di atti che si susseguono nel tempo fino ad arrivare alla fase conclusiva della pronuncia della sentenza. Durante lo svolgimento del processo, però, possono insorgere questioni che devono necessariamente essere risolte prima rispetto ad altre, potendo influenzare l’esito della causa. Vedi l’ipotesi di una divisione ereditaria laddove è necessario identificare tutti gli eredi prima di procedere all’attribuzione dei beni del defunto a ciascuno di essi.
Pertanto, il nostro Codice di procedura civile ha previsto le cosiddette sentenze non definitive, le sentenze di condanna generica, con le quali viene accertata l’esistenza di un diritto (an) ma non anche il quantum [1], e quelle che non definiscono il giudizio bensì si limitano a disciplinare aspetti preliminari di merito, questioni pregiudiziali al processo, questioni di giurisdizione o di competenza [2].
Come si impugnano le sentenze non definitive? Gli strumenti all’uopo previsti sono la riserva facoltativa di appello e la riserva facoltativa di ricorso contro tali pronunce. Nel primo caso, la parte soccombente può decidere di proporre appello immediato contro la sentenza non definitiva oppure può scegliere di differire l’impugnazione fino alla pronuncia della sentenza definitiva per poi impugnare congiuntamente la sentenza non definitiva e quella definitiva [3]. La riserva di appello può essere sempre proposta indipendentemente dalla natura della sentenza non definitiva pronunciata.
Nella seconda ipotesi, invece, la parte soccombente può scegliere tra l’impugnazione differita e il ricorso per Cassazione immediato solo se si tratta di una sentenza non definitiva che ha definito parzialmente il giudizio [4].
Indice
Cos’è la riserva di appello contro le sentenze non definitive?
Si ha riserva di appello quando la parte soccombente chiede di differire l’impugnazione contro una sentenza non definitiva fino alla pronuncia di quella definitiva al fine di impugnarle congiuntamente.
La riserva di appello va fatta con una dichiarazione orale, da trascrivere nel verbale di udienza, oppure scritta, con un’istanza specifica da allegare al verbale o da indicare in un atto giuridico da notificare al difensore dell’altra parte. Altresì, va manifestata, a pena di decadenza, entro il termine previsto per l’appello e, in ogni caso, non oltre la prima udienza successiva a quella in cui la sentenza non definitiva è stata pronunciata.
La riserva di appello contro una sentenza non definitiva comporta l’obbligo di proporre l’impugnazione insieme a quella contro la sentenza che definisce il giudizio o insieme a quella che la stessa parte o un’altra propone contro una successiva sentenza che non definisce il giudizio.
La riserva di appello è esclusa quando un’altra parte ha già proposto impugnazione immediata contro la sentenza non definitiva. In tal caso, la riserva non può farsi e se viene fatta, è priva di effetto.
Se non viene effettuata la dichiarazione di riserva di appello e non viene immediatamente impugnata la sentenza non definitiva, quest’ultima passa in giudicato, quindi, non è più contestabile. In tal caso, rileva come giudicato interno al processo.
Cos’è la riserva di ricorso contro le sentenze non definitive
La riserva di ricorso contro le sentenze non definitive è ammessa solo per le sentenze di condanna generica, cioè quelle con le quali è stata accertata l’esistenza di un diritto ma essendo ancora controverso il quantum della prestazione, il giudice ha disposto la prosecuzione del processo ai fini della determinazione della liquidazione. Rimane, quindi, esclusa con riferimento alle sentenze di cui al numero 4 dell’articolo 279 Codice di procedura civile, cioè quelle che non definiscono il giudizio ma decidono aspetti preliminari di merito, questioni pregiudiziali al processo, questioni di giurisdizione o di competenza. La riserva di ricorso, però, può essere fatta anche in relazione alle sentenze che decidono una o alcune delle domande senza definire l’intero giudizio.
La riserva deve essere dichiarata, a pena di decadenza, entro il termine per la proposizione del ricorso e, in ogni caso, entro la prima udienza successiva alla comunicazione della sentenza non definitiva. Le modalità della dichiarazione sono identiche a quelle già esaminate per la riserva di appello.
In caso di riserva di ricorso per Cassazione contro una sentenza non definitiva, detto ricorso deve essere proposto insieme a quello proposto contro la sentenza che definisce il giudizio o contro un’altra sentenza non definitiva successiva.
Al pari della riserva di appello, anche la riserva di ricorso non può essere fatta se un’altra parte ha proposto immediatamente ricorso avverso la stessa pronuncia. Pertanto, se la riserva viene fatta, non produce effetto.
Impugnazione immediata di una sentenza non definitiva: cosa succede
Le sentenze non definitive possono essere impugnate immediatamente nei termini consueti [5]. In caso di impugnazione immediata, è importante evidenziare che il giudice, su istanza concorde delle parti, può emanare un’ordinanza, non impugnabile, con la quale dispone che il processo sia sospeso fino alla definizione del giudizio di appello [6].
Inoltre, in caso di impugnazione immediata di una sentenza non definitiva, gli effetti della sua eventuale riforma o cassazione si riflettono sui provvedimenti e sugli atti dipendenti dalla stessa sentenza riformata (cosiddetto effetto espansivo esterno) [7].
La riforma o cassazione di una sentenza non definitiva comporta la caducazione, cioè la perdita di efficacia giuridica, della sentenza definitiva dipendente dalla pronuncia riformata o caducata. Pertanto, gli atti istruttori compiuti sulla base della sentenza non definitiva caducata diventano definitivamente inutilizzabili.
Si prenda ad esempio il caso della riforma in appello di una sentenza che ha dichiarato illegittimo un licenziamento. Il lavoratore, in conseguenza della mutata decisione del giudice di secondo grado, dovrà restituire le somme corrispostegli dal datore di lavoro in esecuzione della sentenza di primo grado.
note
[1] Art. 278 cod. proc. civ.
[2] Art. 279 cod. proc. civ.
[3] Art. 230 cod. proc. civ.
[4] Art. 361 cod. proc. civ.
[5] Artt. 325 e 327 cod. proc. civ.
[6] Art. 279 co. 4 cod. proc. civ.
[7] Art. 336 co. 2 cod. proc. civ.