Mobbing del superiore e responsabilità del datore: Cassazione


Il datore di lavoro è responsabile nel caso di inerzia qualora sappia del comportamento mobbizzante di un superiore gerarchico ai danni del dipendente?
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Mobbing: esclusa la responsabilità del datore che non è a conoscenza delle condotte persecutorie
La responsabilità del datore di lavoro – su cui incombono gli obblighi ex art. 2049 c.c. – non è esclusa dalla circostanza che la condotta di mobbing provenga da un altro dipendente, posto in posizione di supremazia gerarchica rispetto alla vittima, ove il datore di lavoro sia rimasto colpevolmente inerte nella rimozione del fatto lesivo (esclusa nella specie la responsabilità del datore che non era stato messo a conoscenza delle presunte condotte persecutorie nei confronti della dipendente).
Cassazione civile sez. VI, 11/06/2021, n.16534
La responsabilità per mobbing non configura un’ipotesi di responsabilità oggettiva
Nell’ipotesi in cui il lavoratore chieda il risarcimento del danno patito alla propria integrità psico-fisica in conseguenza di una pluralità di comportamenti del datore di lavoro e dei colleghi di lavoro di natura asseritamente persecutoria, il giudice del merito è tenuto a valutare se i comportamenti denunciati possano essere considerati vessatori e mortificanti per il lavoratore e se siano causalmente ascrivibili a responsabilità del datore che possa esserne chiamato a risponderne nei limiti dei danni a lui specificamente imputabili.
(Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata per non aver analiticamente accertato se l’atteggiamento persecutorio lamentato da una lavoratrice – asseritamente integrante “mobbing” – fosse causalmente riferibile, ed in che misura, al comportamento del diretto superiore o di altri organi del datore di lavoro, né quali effetti delle singole condotte ascritte si fossero concretamente prodotti nei riguardi della lavoratrice).
Il c.d. danno da mobbing appartiene alla categoria della responsabilità contrattuale. Infatti in base all’art. 2087 c.c. tra le obbligazioni contrattuali poste a carico del datore durante un rapporto di lavoro vi è anche quella di garantire l’integrità psicofisica del lavoratore.
La natura contrattuale e non oggettiva di tale responsabilità comporta che il datore di lavoro non risponde delle condotte persecutorie perpetrate dai colleghi della vittima o dai suoi superiori qualora riesca a dimostrare la non imputabilità del danno.
Cassazione civile sez. lav., 03/03/2016, n.4222
Inerzia datore di lavoro dinanzi al mobbing da parte di superiore gerarchico
La circostanza che la condotta di mobbing provenga da altro dipendente in posizione di supremazia gerarchica rispetto alla vittima, non vale ad escludere la responsabilità del datore di lavoro su cui incombono gli obblighi di cui all’art. 2049 c.c., ove questo sia rimasto colpevolmente inerte alla rimozione del fatto lesivo o che abbia tollerato la condotta mobbizzante.
Corte di cassazione, sezione VI civile, sentenza 15 maggio 2015 n. 10037
La circostanza che la condotta di mobbing provenga da un altro dipendente posto in posizione di supremazia gerarchica rispetto alla vittima non vale a escludere la responsabilità del datore di lavoro – su cui incombono gli obblighi di cui all’articolo 2049 del Cc – ove questi sia rimasto colpevolmente inerte nella rimozione del fatto lesivo, dovendosi escludere la sufficienza di un mero (e tardivo) intervento pacificatore, non seguito da concrete misure e da vigilanza.
Corte di cassazione, sezione VI civile, sentenza 25 luglio 2013 n. 18093
Per mobbing si intende comunemente una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell’ambiente di lavoro, che si risolve in sistematici e reiterati comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e l’emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio fisiopsichico e del complesso della sua personalità.
Ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro sono, pertanto, rilevanti: a) la molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, che siano stati posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio; b) l’evento lesivo della salute o della personalità del dipendente; e) il nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e il pregiudizio all’integrità psicofisica del lavoratore; d) la prova dell’elemento soggettivo, cioè dell’intento persecutorio. La domanda di risarcimento del danno proposta dal lavoratore per il mobbing subito è soggetta a specifica allegazione e prova in ordine agli specifici fatti asseriti come lesivi.
Cassazione civile sez. lav., 31/05/2011, n.12048
Quando il mobbing provenga da un dipendente posto in posizione di supremazia gerarchica rispetto alla vittima, non può bastare ad escludere la responsabilità deI datore un mero intervento “pacificatore”, non seguito da concrete misure e da vigilanza.
Cassazione civile sez. lav., 09/09/2008, n.22858