Come denunciare la violenza in casa


Cos’è il reato di maltrattamenti in famiglia? Chi può denunciare i soprusi commessi nei confronti dei conviventi? Cos’è il Codice rosso?
La legge non tollera l’uso della violenza, fisica o psicologica che sia. Eccezionalmente, solo per proteggere sé stessi o altri dal pericolo incombente di un’offesa ingiusta, è possibile difendersi autonomamente senza chiamare le forze dell’ordine. Al di là di queste ipotesi straordinarie, ogni forma di violenza è condannata, soprattutto se perpetrata nei confronti di soggetti di cui si dovrebbe avere cura. Con questo articolo vedremo come denunciare la violenza in casa.
L’argomento può sembrare scontato, così come la risposta. In realtà, non tutti sanno che la violenza all’interno delle mura domestiche costituisce uno specifico reato, punito molto più severamente rispetto alla violenza commessa in altro ambiente, ad esempio in strada o in un luogo privato diverso dalla propria dimora. Insomma: gli abusi domestici costituiscono un grave reato, per il quale la legge stabilisce che si possa procedere d’ufficio. Se l’argomento ti interessa e vuoi saperne di più, prosegui nella lettura: vedremo insieme come denunciare la violenza in casa.
Indice
Violenza domestica: che reato è?
La violenza in casa costituisce il reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi, punito con la reclusione da tre a sette anni, salvo aumenti in casi specifici previsti dalla legge e di cui parleremo a breve [1].
Dunque, usare violenza contro una persona abitualmente convivente rappresenta un delitto più grave rispetto alla violenza esercitata in un altro ambiente. Ciò perché gli abusi fra le mura domestiche sono più pericolosi, soggetti alla reiterazione nel tempo, spesso celati agli occhi della comunità (e delle forze dell’ordine) proprio perché commessi in ambiente casalingo.
Insomma: chi fa del male alle persone che sono più vicine perché conviventi merita una punizione più severa.
Non sempre, tuttavia, la violenza in casa è idonea a integrare il reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi. Vediamo dunque quali sono le caratteristiche di questo delitto.
Maltrattamenti in casa: quando è reato?
Il reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi presuppone una condotta ripetuta nel tempo. Non basterebbe dunque un solo schiaffo o un solo episodio di abuso psicologico per integrare questo particolare delitto.
I maltrattamenti di cui parla la legge si concretizzano in abusi, fisici o morali, ripetuti in un lasso di tempo apprezzabile.
Facciamo un esempio.
Se un padre ha schiaffeggiato il figlio per due volte in cinque anni, sicuramente non si potrà parlare di maltrattamenti in famiglia. Al contrario, se l’episodio di violenza si manifesta regolarmente, come una vera e propria abitudine, allora scatta il delitto di cui ci stiamo occupando.
Come detto, per maltrattamenti non si intendono solo le prepotenze fisiche che presuppongono l’impiego della forza, ma anche le vessazioni psicologiche. E così, l’uomo che umilia costantemente la sua compagna rivolgendole insulti e minacce rischia di essere incriminato per il reato di maltrattamenti contro conviventi.
Maltrattamenti: quando c’è convivenza?
Il reato di maltrattamenti si integra solamente se la persona offesa è un convivente, oppure soggetto sottoposto all’autorità o affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia all’autore del fatto (si pensi ad esempio all’insegnante, anche privato).
Dunque, il solo fatto di commettere uno o più atti di violenza nei confronti di una persona che si trova in casa non fa scattare il reato di maltrattamenti, se la vittima non è un convivente stabile.
Secondo la giurisprudenza, integra il reato di maltrattamenti in famiglia anche il comportamento indirizzato contro l’amante anziché contro il proprio coniuge [2]. In questa circostanza, però, è necessario che il colpevole abbia con la vittima una relazione duratura simile a quella familiare.
La stabilità della relazione, secondo i giudici, determinerebbe una serie di obblighi nei confronti dell’amante, paragonabili agli obblighi di solidarietà e assistenza tipici della comunità familiare.
Al contrario, secondo la Corte di Cassazione [3], se la relazione è cominciata da poco e la coabitazione è saltuaria, allora è difficile qualificare i soprusi dell’uomo verso la compagna come maltrattamenti in famiglia.
Insomma: una coabitazione occasionale inserita in una relazione sentimentale recente non è sufficiente per ritenere dimostrata l’effettiva sussistenza di un rapporto di convivenza caratterizzato da stabilità e da reciproca solidarietà, necessaria per integrare il reato di maltrattamenti.
Maltrattamenti domestici: quando la pena è aumentata?
La pena della reclusione da tre a sette anni prevista per i maltrattamenti è aumentata nei seguenti casi:
- se il fatto è commesso in presenza o in danno di persona minore, di donna in stato di gravidanza o di persona portatrice di handicap;
- se il fatto è commesso con armi;
- se dal fatto deriva una lesione personale grave, gravissima o perfino la morte.
Violenza in casa: chi può denunciare?
Il reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi è procedibile d’ufficio. Ciò significa che chiunque può sporgere denuncia alle forze dell’ordine, anche persona totalmente estranea alle violenze e al nucleo familiare.
Se il vicino di casa si accorge che dall’appartamento accanto provengono urla disperate, potrebbe egli stesso segnalare il fatto alle autorità.
Il fatto che il reato di maltrattamenti sia procedibile d’ufficio è molto utile per tutte le vittime che hanno timore di segnalare i soprusi che patiscono quotidianamente per via di pericolose ritorsioni del convivente. In casi del genere, è possibile ad esempio raccontare a una persona di fiducia ciò che accade tra le mura domestiche, così che sia quest’ultima a sporgere denuncia.
Violenza in casa: come denunciare?
Gli episodi di violenza domestica possono essere denunciati in qualsiasi modo:
- presentandosi personalmente presso un presidio delle forze dell’ordine (carabinieri, polizia, ecc.);
- delegando un avvocato a sporgere denuncia;
- affidandosi a persona di fiducia affinché il fatto sia portato a conoscenza delle autorità;
- telefonando direttamente al 112;
- segnalando gli abusi mediante l’app Youpol.
Violenza domestica: cos’è il Codice rosso?
Gli episodi di violenza domestica rientrano per legge nel cosiddetto Codice rosso [4]. Cos’è e in cosa consiste il Codice rosso? È una procedura d’urgenza che la legge ha introdotto nel 2019 per offrire una tutela tempestiva alle persone vittime di violenza di genere e/o familiare.
In pratica, la denuncia per maltrattamenti in famiglia obbliga la polizia a comunicare immediatamente la notizia di reato alla Procura della Repubblica territorialmente competente.
Il pubblico ministero, ricevuta la denuncia, ha tre giorni di tempo per assumere informazioni direttamente dalla persona offesa o da chi ha denunciato i fatti di reato. Così facendo, il pm potrà valutare fin da subito se sussistono gli estremi per chiedere al giudice l’emissione di una misura cautelare (come l’allontanamento da casa di cui parleremo nel prossimo paragrafo).
Il termine di tre giorni può essere prorogato solamente in presenza di comprovate esigenze di tutela di minori o della riservatezza delle indagini, pure nell’interesse della persona offesa.
Allontanamento dalla casa familiare: cos’è?
Come anticipato nel precedente paragrafo, la procedura del Codice rosso dovrebbe facilitare l’applicazione e il rispetto della misura cautelare dell’allontanamento dalla casa familiare.
L’allontanamento dalla casa familiare, in quanto misura cautelare, può essere disposta dal giudice quando il magistrato del pubblico ministero, sulla scorta delle sue indagini, ne abbia fatto richiesta.
In pratica, l’allontanamento dalla casa familiare prescinde da una sentenza di condanna: essa viene disposta già durante la fase delle indagini preliminari qualora si ritenga pericolosa per le vittime la permanenza in casa del soggetto indagato.
Secondo la legge [5], con il provvedimento che dispone l’allontanamento il giudice ordina all’imputato di lasciare immediatamente la casa familiare ovvero di non farvi rientro, e di non accedervi senza l’autorizzazione del giudice. La violazione di quest’ordine costituisce reato, punito con la reclusione da sei mesi a tre anni [6].
Ma non è finita. La legge ha pensato anche alle esigenze dei familiari che rimangono in casa, i quali potrebbero trovarsi in difficoltà economiche a causa dell’allontanamento dell’unica persona che era fonte di reddito.
In questi casi, il giudice, sempre su richiesta del pm, può ingiungere il pagamento periodico di un assegno a favore delle persone conviventi che, per effetto della misura cautelare disposta, rimangano prive di mezzi adeguati.
note
[1] Art. 572 cod. pen.
[2] Cass., sent. n. 7929 dell’1 marzo 2011.
[3] Cass., sent. n. 2911 del 25 gennaio 2021.
[4] Legge n. 69 del 19 luglio 2019.
[5] Art. 282-bis cod. proc. pen.
[6] Art. 387-bis cod. pen.