Convivenza e abbandono casa familiare: rischi


Obbligo di coabitazione: cosa dice la legge? Le coppie di fatto hanno il dovere di vivere sotto lo stesso tetto? Quando scatta l’addebito della separazione?
Nel momento in cui si sposano, marito e moglie si impegnano, tra le altre cose, a vivere sotto lo stesso tetto. Si tratta dell’obbligo di coabitazione, sancito espressamente dalla legge. Questo dovere può essere eccezionalmente derogato quando sussistano delle comprovate ragioni: è il caso, ad esempio, del coniuge che deve allontanarsi per esigenze lavorative. A seguito della nota legge Cirinnà, oggi anche le coppie di fatto sono tutelate, se decidono di registrarsi in Comune. Anche per i conviventi c’è l’obbligo di coabitazione? Quali sono i rischi dell’abbandono della casa familiare in caso di convivenza?
Nel prosieguo dell’articolo analizzeremo entrambe le situazioni, e cioè cosa succede al partner che abbandona la casa in cui ha costruito la propria famiglia, sia nell’ipotesi in cui sia sposato che in quella in cui sia un convivente di fatto. Come si vedrà, le conseguenze derivanti da questa condotta sono diverse a seconda che la coppia sia unita da matrimonio o meno. Prosegui nella lettura se vuoi sapere quali sono i rischi dell’abbandono della casa familiare quando si convive.
Indice
Obbligo di coabitazione: cosa dice la legge?
Come anticipato in apertura, la legge prevede l’obbligo di coabitazione solamente per i coniugi.
Per la precisione, il Codice civile [1] dice che «dal matrimonio deriva l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell’interesse della famiglia e alla coabitazione».
Non è prevista la stessa cosa dalla legge Cirinnà [2] a proposito dei conviventi di fatto, cioè della coppia unita sentimentalmente che decide di registrare la propria unione in Comune.
Secondo la legge, si intendono per «conviventi di fatto» due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile.
In merito alle coppie regolarmente conviventi, dunque, non si fa nessuna menzione all’obbligo di coabitazione.
Per approfondire questo specifico argomento, si consiglia la lettura dell’articolo Coppie non sposate: diritti e doveri dei conviventi.
Abbandono tetto coniugale: rischi
L’abbandono immotivato della casa familiare da parte del coniuge può comportare due gravi conseguenze:
- l’addebito della separazione;
- il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare.
L’abbandono del tetto coniugale comporta l’addebito della separazione se tale condotta è stata la causa del naufragio matrimoniale. In altre parole, se la fine dell’unione è dipesa proprio dal fatto che il coniuge è andato via di casa senza un giustificato motivo, allora si rischia l’addebito della separazione. L’addebito comporta la perdita dei diritti successori e del diritto a essere mantenuti economicamente.
L’abbandono del tetto coniugale non è ragione di addebito se gli sposi erano in crisi già precedentemente e il fatto di aver lasciato casa è solo la conseguenza della fine dell’unione. Ad esempio, la moglie vittima di tradimento è legittimata a lasciare la casa coniugale.
L’abbandono del tetto coniugale è reato se, a questa condotta, faccia seguito un totale disinteressamento per le sorti della famiglia [3].
Chi lascia la propria casa e, al contempo, non fa nulla per provvedere alla famiglia (ad esempio, rifiutando di aiutare economicamente i figli oppure il coniuge privo di lavoro), sottraendosi ai propri doveri di assistenza morale e materiale, allora commette reato.
Abbandono casa familiare in caso di convivenza: rischi
Diversa è la situazione nell’ipotesi in cui l’abbandono della casa familiare provenga da persona convivente non sposata.
Come detto nel primo paragrafo, la legge non contempla l’obbligo di coabitazione a carico dei conviventi, nemmeno se questi si sono registrati in Comune.
Secondo la Corte di Cassazione [4], la convivenza effettiva non è nemmeno requisito per beneficiare del risarcimento dei danni nel caso di morte dell’altro partner derivante dall’illecito altrui (ad esempio, in caso di sinistro stradale). Ciò perché, secondo la legge Cirinnà, quello che caratterizza i conviventi di fatto è lo stabile legame affettivo di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale. Nulla di più.
Cosa succede, allora, se il convivente va via di casa? L’abbandono della casa familiare determina, di fatto, la cessazione della convivenza.
Per legge, la convivenza può terminare sia per volontà di entrambi i partner che di uno soltanto. È una decisione libera, che può essere presa in qualsiasi momento, senza bisogno di firmare nulla.
Sebbene non ci sia una disposizione di legge che obblighi i conviventi a vivere sotto lo stesso tetto, è pur vero che la stessa denominazione (“conviventi”) presuppone che la coppia coabiti.
Di conseguenza, il partner che decide di andare via di casa definitivamente pone in essere un atto che, di per sé, pone fine alla convivenza. Non c’è bisogno di nessuna dichiarazione formale.
Le cose sono diverse se i conviventi hanno firmato un contratto di convivenza, cioè un accordo con cui disciplinano i loro rapporti patrimoniali. In questo caso, il contratto può essere cessato in qualsiasi momento, anche per volontà di uno solo dei due, seguendo però la stessa procedura stabilita per la sua stipula, ossia recandosi dall’avvocato o dal notaio.
A quel punto, il contratto non è più vincolante ma restano da rispettare le clausole eventualmente previste per il caso di scioglimento della convivenza. Si pensi ad esempio all’obbligo di pagamento di un mantenimento o di un risarcimento, alla divisione dei beni e della casa, ecc.
note
[1] Art. 143 cod. civ.
[2] Legge n. 76/2016.
[3] Art. 370 cod. pen.
[4] Cass., sent. n. 9178/2018.
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