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Ferie non godute: pagamento

28 Ottobre 2021 | Autore:
Ferie non godute: pagamento

È possibile convertire le giornate di ferie non godute in un’indennità alla cessazione del rapporto di lavoro?

I lavoratori subordinati hanno diritto a un minimo di quattro settimane di ferie ogni anno [1]: il diritto alle ferie, garantito anche dalla Costituzione [2], ha la finalità di consentire al lavoratore un adeguato recupero psicofisico. Per questo motivo, le ferie, salvo specifiche eccezioni, non possono essere monetizzate, cioè convertite in denaro. Ma quando può avvenire, per le ferie non godute, il pagamento?

La monetizzazione può avvenire solo in particolari ipotesi, come la liquidazione delle ferie al licenziamento, o nei rapporti di lavoro di durata inferiore all’anno, o relativamente alle giornate di ferie aggiuntive previste dal contratto collettivo applicato, rispetto alla misura minima disposta dalla legge.

Peraltro, come recentemente chiarito dalla Cassazione [3], la possibilità di convertire le ferie non fruite in denaro alla cessazione del rapporto vale soltanto per il periodo ancora pendente al momento della risoluzione del contratto di lavoro. In pratica, secondo la Suprema Corte, al termine di un rapporto lavorativo non è consentita la monetizzazione delle ferie riferibili agli anni precedenti, in quanto il datore di lavoro avrebbe dovuto assicurarne l’effettiva fruizione. Prevedere senza limiti la possibilità di convertire le ferie in denaro, anche se al momento del licenziamento o delle dimissioni, finirebbe per vanificare, di fatto, la loro finalità.

Ma procediamo con ordine, osservando entro quando devono essere godute le ferie e che cosa succede se la loro fruizione va oltre i termini massimi previsti dalla legge e dai contratti.

Entro quando vanno godute le ferie?

Il lavoratore, rispetto alle quattro settimane di ferie minime annuali, deve fruirne almeno due, possibilmente di seguito, entro l’anno di maturazione. Che cosa vuol dire? Vuol dire che, se il dipendente nel 2021 lavora tutto l’anno e quindi matura quattro settimane di ferie, il datore di lavoro deve fargliene godere almeno due entro il 31 dicembre 2021, se possibile di fila e non in modo frazionato.

Le altre due settimane devono essere fruite dal lavoratore entro i 18 mesi successivi all’anno di maturazione. Ad esempio, relativamente alle settimane maturate nel 2021, le eventuali due settimane residue devono essere godute entro il 30 giugno 2023.

I contratti collettivi possono modificare i termini di fruizione, ma devono farlo in modo da non compromettere la finalità delle ferie, che è quella di consentire un adeguato recupero fisico e psichico: se l’accordo, dunque, fissa il termine massimo di fruizione delle assenze parecchio in avanti rispetto ai 18 mesi successivi all’anno di maturazione, pregiudica lo scopo delle ferie e non consente al dipendente di riposarsi adeguatamente.

Quando possono essere monetizzate le ferie?

Le ferie possono essere convertite in denaro nei seguenti casi eccezionali:

  • se il contratto di lavoro ha una durata inferiore all’anno, perché la breve durata dell’attività garantisce comunque il recupero psicofisico del dipendente;
  • se si tratta delle ferie aggiuntive, eventualmente previste dai contratti collettivi o dalle pattuizioni individuali, rispetto alle ferie minime disposte dalla legge: in questo caso, non si viola il diritto al recupero psicofisico del dipendente perché la fruizione delle ferie minime garantisce comunque un riposo adeguato al lavoratore;
  • se non risultano fruite al termine del rapporto di lavoro: in quest’ultimo caso, però, possono sorgere dei problemi; le situazioni che possono concretamente verificarsi dipendono da chi, di fatto, ha impedito il godimento delle ferie: il datore di lavoro oppure il lavoratore che si è rifiutato di andare in vacanza.

Lavoratore che si rifiuta di andare in ferie

La Cassazione, in una recente ordinanza [3], ha chiarito quali sono le conseguenze per il lavoratore che, nell’arco dell’intera carriera, per sua scelta ha limitato il godimento delle ferie al minimo: il dipendente può perdere le ferie arretrate.

Nonostante la legge [1] preveda che il periodo minimo di ferie annuali possa essere sostituito da un’indennità, alla fine del rapporto di lavoro, non bisogna dimenticare che il divieto di monetizzazione è finalizzato a garantire il godimento effettivo delle ferie, che sarebbe vanificato qualora se ne consentisse la sostituzione con un’indennità.

In altre parole, l’indennità sostitutiva delle ferie non può essere ritenuta equivalente rispetto alla necessaria tutela della sicurezza e della salute, in quanto non permette al lavoratore di reintegrare le energie psico-fisiche.

La monetizzazione delle ferie è dunque ammissibile per le sole ferie non godute relative al periodo ancora pendente al momento della risoluzione del rapporto: non è consentita la monetizzazione delle giornate riferibili agli anni antecedenti, perché in questo modo si permetterebbe di convertire indiscriminatamente in denaro il diritto al recupero psicofisico, pur avvenendo la conversione in denaro del diritto al momento della cessazione del rapporto.

Pertanto, se è il dipendente ad essersi opposto alla fruizione delle proprie ferie, come confermato anche dalla Corte di giustizia europea [4], le giornate al termine del rapporto non possono più essere né fruite, né monetizzate.

Lo stakanovista, insomma, perde il riposo ed i soldi, ma – va sottolineato- solo se è stato sollecitato ad utilizzare le ferie e messo nelle condizioni di fruirne [5].

Datore di lavoro che si rifiuta di mandare il dipendente in ferie

Che cosa succede, invece, se è il datore di lavoro a far fruire ai dipendenti delle ferie in misura nettamente inferiore rispetto alle giornate spettanti ogni anno?

Il fatto che non sia possibile monetizzare le ferie relative ai periodi precedenti scaduti non significa che il lavoratore, al quale il godimento delle ferie sia stato negato, resti privo di tutela.

Il dipendente, sia in corso di rapporto che al momento della sua risoluzione, può infatti invocare la tutela civilistica e far valere l’inadempimento del datore di lavoro che, violando norme inderogabili, non gli ha consentito di recuperare le energie psicofisiche.


note

[1] Art. 10 DL 66/2003. È importante osservare che il decreto si applica alla generalità dei lavoratori subordinati, ma con alcune eccezioni.

[2] Art. 36 Co. 3 Cost.

[3] Cass. ord. 15952/2021.

[4] Corte di Giustizia europea, cause C-619/16 e C-684/16.

[5] Tar Valle d’Aosta, sez. Unica, sentenza n. 1/20. Dip. Funz. Pubb., Parere n. 40033 del 8/10/2012.

Autore immagine: pixabay.com


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